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2.1.2 | Sconfinamenti tra soggetto e ambiente: il meccanismo immersivo

 

La nozione di immersività è utilizzata frequentemente nella media art per descrivere le circostanze ambientali caratteristiche di alcune declinazioni contemporanee dell’audiovisivo espanso e, insieme, alcuni tratti del coinvolgimento del pubblico. Malgrado la sua ricorrenza d’uso, individuare, sia pure approssimativamente, una definizione del concetto di immersività può

                                                                                                               

36 “And just as we cannot ordinarily control the rhythm of our heartbeat or circulation, the film doesn't have access to these things except in a few cases and special circumstances, as when experiemental filmmakers turn their attention inward, meditation on the inner mechanism of cinema like yogis who seek conscious control over their heartbeats and body temperature”. Barker M. J., 2009, p. 127. (mia traduzione).

risultare complesso. L'origine del termine è legato agli ambiti della 'realtà virtuale', ma la sua consuetudine non sembra coincidere con il riferimento a mondi virtuali, non solo per quanto riguarda l'audiovisivo e gli ambiti artistici ma anche, ad un ampio spettro di esperienze mediali contemporanee - quali informazione, musica, urbanistica, archiviazione, scienza, rete e video game.38 Sembra opportuno affrontare l'immersione o immersività non come fenomeno connesso ad una specifico tecnologico o ad un particolare linguaggio, quanto piuttosto come particolare espressione del rapporto tra soggetto e ambiente. Tale prospettiva di analisi permette di guardare al concetto d’immersione come elemento propulsore di evoluzioni comuni a più linguaggi e discipline. Lo storico di media art Oliver Grau ha costruito un excursus che connette varie tappe della storia delle arti visive, del cinema delle scienze e dell'entertainment, dimostrando che modalità immersive del vissuto spaziale hanno preceduto di molto gli esperimenti specifici della realtà virtuale degli anni Ottanta e Novanta, individuando caratteristiche costanti e comuni a più aree d’interesse. Grau ha individuato i momenti di passaggio fondamentali e mappato le varietà che lo sviluppo tecnologico attuale sta generando, grazie anche ad una forte correlazione con le scienze e il media design.39 Lo studioso sottolinea come le manifestazioni artistiche più recenti vadano lette nel contesto della relazione tra essere umano e immagine, rispetto alla tensione ad essere 'dentro l'immagine' comune a molta storia delle arti visive. Una traiettoria la cui origine è da far risalire alla creazione di spazi illusori nelle pitture murarie delle ville pompeiane, passando per le architetture gotiche, gli affreschi rinascimentali e i soffitti delle chiese barocche, fino alla tradizione del panorama. La tecnica cinematografica dà un grande impulso a questo percorso, con lo stereoscopio, il Cinéorama, le televisioni stereoscopiche, i Sensorama e il Cinema Espanso; tappe che conducono, quasi in continuità, al 3-D, Ominimax e IMAX cinema.

Restringendo l’attenzione al campo delle arti visive, non si può esimersi dal fare riferimento, parlando di relazione tra soggetto e spazio, all’analisi condotta

                                                                                                               

38 D'Orazio F., Immersività, in Abruzzese A., pp. 271-275 39 Grau O., 2004.

da Claire Bishop nel celebre saggio Installation Art: A Critical History.40La studiosa definisce l'opera di installation art a partire dal coinvolgimento diretto richiesto al fruitore, in quanto è sua specificità presupporre la presenza interna di un attante che che non è solo recettore ma dà senso e forma compiuta all’opera installativa.41Altro punto d’interesse è la natura effimera evidenziata dalla studiosa, la transitorietà che rende ciascuna opera un evento a sé, nato da un particolare e spesso irripetibile dialogo con fattori endogeni legati a luoghi e momenti specifici.42 Ad una conformazione dello spazio mutevole ed effimera corrisponde un soggetto che fruisce decentrato e attivo, partecipante: sono questi i due elementi che Bishop individua come costanti nella varietà di conformazioni assunte dalla installation art e che la pongono, fin dalle proprie origini, come esemplificative di una riformulazione nel legame soggetto-spazio. A partire dalla tradizione rinascimentale, infatti, la percezione dello spazio è determinata da un punto di vista 'ideale', che guida la dislocazione del soggetto, il corpo come sistema di misura univoco e proietta nel mondo uno sguardo matematico, che codifica l’esperienza sensibile dell’ambiente in una rappresentazione razionalizzata dello spazio.43 Molti momenti della storia dell’arte del Novecento si sono spinti verso la messa in discussione del paradigma prospettico, ma è tra gli anni Sessanta e Settanta, periodo che corrisponde alla nascita dell’installation art e al consolidarsi della corrente dell’Expaned Cinema, che sorgono le tensioni destrutturanti più radicali, nel mondo delle arti ma anche in seno all’architettura e al design e che, non a caso, coincide con l'emergere delle teorie post-strutturaliste sul decentramento del soggetto. Questa concezione, antitetica all’ordine prospettico, vede un soggetto frammentato, moltiplicato, decentrato appunto, per il quale la relazione con il mondo/spazio dell’opera è fondata sulla compresenza di punti di osservazione. In coincidenza con quanto evidenziato in merito all’Expanded Cinema, Bishop distingue le pratiche ambientali non a partire dalla propria costituzione o struttura mediale, quanto piuttosto attraverso uno sguardo fenomenico, basandosi cioè sulla ricaduta esperienziale e percettiva dell’opera.

                                                                                                               

40 Bishop C., 2005.

41 Ibid., p. 6. 42 Idem.

Individua quattro modi principali di esperienza e altrettante tipologie di soggetto/fruitore che esperisce e quindi si configura come motore dell’opera stessa.44 Tra queste, l’immersività corrisponde alla categoria del Mimetic Engulfment, meccanismo mimetico tra soggetto e ambiente, l’assimilazione del primo nel secondo. La studiosa definisce il momento immersivo come una perdita delle coordinate spaziali che è anche perdita della consapevolezza del sé come entità disgiunta dall’opera. Viene quindi a crearsi una distruzione dei confini tra il soggetto e ciò che comunemente viene inteso come realtà esterna.45 La studiosa assume una posizione apertamente critica nei confronti di questo tipo di esperienza e delle opere che la determinano, colpevoli, a suo avviso, di attuare una distruzione del soggetto percepiente al punto tale da ridurre la consapevolezza del fruitore e assimilarlo allo spazio circostante.46 Per queste ragioni tale particolare forma dell’esperienza ambientale indurrebbe ad una regressione, in una supposta evoluzione della spettatorialità, ad un soggetto non percettivamente attivo bensì sottomesso all'assimilazione de-soggettivizzante con l’opera. Data l’autorevolezza del contributo della studiosa e l’assiduità che il concetto di immersivo ha assunto nel campo dell’arte contemporanea, non solo mediale, si è ritenuto utile partire da questa posizione radicalmente critica nei confronti di tale fenomeno e confutarne le conclusioni appena riassunte, alla luce di caratteristiche proprie delle opere di flicker. Pur concordando con l’osservazione della Bishop rispetto al livello fenomenologico dell’esperienza, rappresentato dalla permeabilità del confine tra soggetto e spazio come tratto distintivo di queste particolari forme estetiche, due sono i nodi rispetto ai quali l’analisi della studiosa si rivela impropria a descrivere la complessità di relazioni percettive e la dimensione della fruizione determinate da questo tipo di pratiche.

Anzitutto la concezione dello spazio, che, malgrado i presupposti iniziali del suo discorso stabiliscano una decisa frattura tra le pratiche installative e la regolazione dello spazio propria del paradigma prospettico, non tiene conto della

                                                                                                               

44 La studiosa suddivide le pratiche installative in quattro macro aree di riferimento: The Dream Scene, Heightened Perception, Mimetic Engulfment, Activated Spectatorship, in Bishop C., 2005, rispettivamente: pp. 14-47, 48-81, 82-101, 102-127.

45 Bishop C., 2005, p. 84. 46 Bishop C., 2005, p. 101.

natura plasmabile che la nozione di spazio ha assunto nelle pratiche ambientali contemporanee. Come sottolinea Nicolas De Oliveira, altro autore di riferimento rispetto alla questione ‘spaziale’, l’ambiente delle opere immersive differisce dallo spazio oggettivo: esso è piuttosto un 'non luogo', un campo di forze caratterizzato da discontinuità e indeterminatezza, che sommergere di stimoli il soggetto ma è al tempo stesso definito e generato dall'esperienza individuale. Il soggetto frammentato determina, attraverso il proprio vissuto percettivo, una molteplicità di configurazioni spaziali sincroniche e potenziali.47 Al decentramento post-strutturalista del soggetto corrisponde, in particolare nelle pratiche ambientali contemporanee, un decentramento dello spazio stesso. Ricalcando il processo descritto dal filosofo Paul Virilio, secondo cui l’ordine e la fissità del modello prospettico sono soppiantate da uno spazio accidentale, discontinuo ed eterogeneo.48 In secondo luogo, l’idea di fruitore che si evince dall’analisi di Bishop, rispetto a questa particolare macro area delle pratiche installative, è un soggetto disembodied: non si tiene conto, quindi, della complessità simultanea e ricorsiva di stratificazioni sensorie inscritte nel corpo che, come visto nella parte precedente del paragrafo, l’esperienza percettiva presuppone. L’immersione corrisponde, al contrario, ad un’esperienza basata su un meccanismo di feedback costante tra soggetto incarnato e spazio:

[…] L'immersione consiste nella progettazione di un'esperienza il cui senso viene costantemente rinegoziato attraverso la performatività e quindi la corporeità del soggetto immerso nell'ambiente. “Spazio” e “Corpo” sono il nucleo del concetto di immersione. Non è un caso che essi siano anche il cuore del concetto di esperienza. La radice indoeuropea della parola “esperienza” è per (in greco peira). La stessa radice è comune anche a perao che significa “passo attraverso” e a péras - “limite”. Lo spazio nasce dal limite. […] Ma il limite e lo spazio esistono a loro volta solo a partire dall'esperienza del “corpo” che ne è la matrice.49

                                                                                                               

47 De Oliveira N., Oxley N., Petry P., (a cura di), 2004. 48 Ibid., p. 49.

Nel corpo e nella sua azione esperiente e attiva lo spazio viene emanato. Ancora una volta il flusso dell’analisi sulle opere di flicker incontra il corpo come sede di relazioni, non solo quindi endogene, relative cioè alla configurazione di tempi e modi dei processi percettivi e cognitivi, ma anche di aperture che rendono il passaggio di dati esperienziali tra soggetto e ambiente retroattivo e sciolgono il confine tra il dominio interno ed esterno al soggetto.50 In antitesi con quanto affermato da Bishop, nelle pratiche audiovisive contemporanee il soggetto esperiente o immersant estende la propria dimensione percettiva incarnata all'ambiente, controllando contemporaneamente il suo punto di vista soggettivo e l’immagine percettiva dello spazio intorno. Il fruitore è quindi, è al tempo stesso, soggetto percepiente e fonte di emanazione dello spazio percepito.51 Molte delle opere incluse nella ricerca, che per coerenze terminologiche con la storia dell’audiovisivo di ricerca e della media art abbiamo definito audiovisivo espanso, saturano lo sconfinamento del limite tra corpo e spazio, tanto da spostare il meccanismo di espansione dal dato audiovisivo al corpo, alla ricerca, nei casi più radicali di sperimentazione sulla fenomenologia del flicker, del collasso dello spazio, ad una tabula rasa entro la quale testare il processo di emissione dello spazio, a partire da quello che Foucault ha definito corpo utopico: ‘punto zero del mondo' che non è luogo ma è in potenza tutti gli altrove del mondo, tutti i luoghi possibili reali o immaginari.52 Mentre il soggetto a cui guarda Bishop corrisponde ad un corpo monade, definito dallo spazio e da esso segregato nella sua interezza a soggetto propriocepiente, il corpo nello spazio immersivo è un corpo che definisce lo spazio e corrispondente ad un soggetto disseminato e a una soggettività transitoria, che estende le proprie funzioni sensorie in reiterati processi di riconfigurazione del sé e dello spazio a partire dagli stimoli ambientali.53

                                                                                                               

50 Ibid., p. 273.

51 Bay-Cheng S., Kattenbelt C., Lavender A., 2010, p. 46. 52 Foucault M., Utopie. Eterotopie, Cronopio, 2005. 53 Cfr. Caronia A., 1996; Rella, F., 2000.

2. 2 | L'audiovisione

Un tema che le pratiche audiovisive di flicker, sia storiche che contemporanee, chiama in causa è quello delle relazioni tra suono e sorgente visiva, con una forte ricorrenza sul concetto di ritmo, definito dallo studioso francese Michel Chion, come elemento cardine dei meccanismi di transensorialità. Procederemo, quindi, ad inquadrare questo soggetto nel campo più ampio della storia delle sperimentazioni tra musica e visione, dalle arti visive alla composizione musicale, mettendo in luce quanto il lavoro degli autori abbia progressivamente integrato la ricerca su dispositivi di sintesi audiovisiva nei percorsi artistici, concentrandoci, successivamente, su alcuni contributi di tipo teorico che confrontano la questione anche rispetto alle condizioni sensoriali del sonoro e del visivo, così come sono affrontate dalle scienze contemporanee. Un riferimento rilevante nella prospettiva del nostro discorso è il saggio The Question of Thresholds: Immersion, Absorption, and Dissolution in the Environments of Audio-Vision del sound designer e studioso Chris Salter, in particolare per il fatto di aver stabilito, in linea con l'impostazione generale di ampia parte di questa ricerca, un confronto tra le conclusioni e i contributi di riferimento sul tema, avanzate da artisti e teorici, dell'arte e l'ambito delle neuroscienze, con una particolare apertura alla teoria delle cross-modal perceptions e della multisensory integration. Salter, inoltre, dedica una sezione del suo studio proprio alla fenomenologia audiovisiva generata specificatamente dal flicker, evidenziando la ricorrenza dell'uso di luci pulsanti e flash in opere incentrate sulla mescolanza tra fenomeni sonori e visivi.54 A chiusura del paragrafo, è offerto un

                                                                                                               

focus su tre autori – Kubelka, Conrad e Sharits - il cui lavoro può essere considerato una teoria condotta attraverso la prassi dell'operare artistico: in ciascuno di essi l'opera è film ma allo stesso tempo messa in atto e verifica di una ricerca sulle possibilità sonore del flicker, ciascuno con la propria specifica indagine. Sembra interessante, ai fini di questa ricerca, sviluppare l'argomento anche in base agli scritti e le ricerche dei tre autori per due ordini di ragioni: anzitutto essi provengono, secondo percorsi diversi, da una formazione di tipo musicale, hanno quindi spesso affrontato la questione del suono con competenze in grado di produrre posizioni teoriche e critiche di grande interesse. Inoltre, proprio per l'impronta empirica e fenomenologica che caratterizza il flicker, la sperimentazione diretta dell'artista, la sua particolare attenzione alla dimensione della ricezione e la partecipazione all'evento percettivo messo in atto nell'opera, costituiscono una fonte di conoscenza utile anche ai fini di studio e ricerca accademici.

2.1 | Contaminazione tra linguaggi del suono e della visione: un