Dopo gli studi in architettura e visual media design, Kurt Hentschläger inizia la sua carriera nel 1983, esponendo in area viennese oggetti meccanici ottico-visivi e dedicandosi, in seguito, a forme time-based, principalmente video e animazione digitale. Sul finire degli anni Ottanta è membro di Pyramedia, un collettivo multidisciplinare, attivo a Vienna dal 1989 al 1992, fondato dall’autore, insieme a: Bruno Klomfar, Ulf Langheirich, Gebhard Sengmüller e Petra Rosa Suess. Il gruppo, che si definisce ‘laboratorio di arte mediale ed elettronica,’ declinata in differenti forme - video analogico, installazione, fotografia, performance multimediali, progetti di telecomunicazione - è attivo anche nella
produzione e nell’organizzazione di eventi sperimentali.
A partire da questo periodo, la carriera artistica di Hentschläger incontra quella di Ulf Langheinrich, artista visivo, fotografo e musicista originario della Germania Est, di base nella capitale austriaca dal 1988, dove inizia presto ad esporre opere pittoriche e disegni, produrre colonne sonore per cinema e teatro, nonché concerti sperimentali per Kunstradio. La collaborazione tra Hentschläger e Langheirich prosegue nel 1991 con la fondazione del duo Granular Synthesis: un progetto che determina un legame tra i due autori che si protrae ben oltre la durata effettiva del loro connubio, terminato nel 2003, sia perché le esperienze maturate in questi dieci anni costituiscono la matrice per le successive ricerche soliste di entrambi ma anche perché Granular Synthesis rappresenta uno dei nomi di riferimento per la scena del live media. Il trattamento parcellizzato del dato audiovisivo e la produzione di dispositivi spaziali progressivamente sempre più immersivi, sono i principali elementi della loro produzione. Uno stile i cui presupposti sono fissati fin da Piranha, primo lavoro realizzato nel 1991, a cavallo tra la conclusione dell’esperienza di Pyramedia e l’inizio di Granular Synthesis. Si tratta di un breve video presentato lo stesso anno all’interno di una mostra collettiva presso il Kampnagel KX di Amburgo. Gli autori utilizzano immagini di footage tratte dal B-Movie Piranha (1978), nelle quali l’attacco dei piranha è reso attraverso inquadrature subacquee, strette sul corpo della persona divorata. Il
climax dell’estratto è rielaborato attraverso la frammentazione e ricomposizione sincopata delle immagini di viso, tronco e arti della vittima, determinando un inasprimento del senso di ansietà già presente nel sample. Allo stesso tempo, l’esplosione del montaggio e la lacerazione del flusso di immagini in pulviscoli di millisecondi, è un processo metaforico del processo di violenta disgregazione del corpo raffigurato attuato sul corpo della materia audiovisiva.4 La tecnica di montaggio stroboscopico, già analizzata e descritta nel corso del capitolo precedente, è definita dal duo come montaggio di re-synthesis, ad indicare come il processo di rielaborazione constante dello stream di materiali video preesistenti rappresenti non solo una tecnica di editing ma un processo ricorsivo di sintesi e quindi attribuzione di nuova natura ai materiali utilizzati. Tale effetto è ottenuto, dal 1997 circa, principalmente grazie al Vcode9 – un sampler software che da due sorgenti video PAL parallele produce un flusso unico e sincopato, permettendo di ri-elaborare lo scorrimento temporale del dato audiovisivo.5 Lo strumento lavora intersecando i due stream – sia audio che video – e interpolando singoli frame bianchi e neri. Come racconta l’artista:
Questo ci ha aperto le porte del paradiso del flicker. Il software che abbiamo sviluppato e programmato rappresenta anche uno strumento audiovisivo real time, che può essere cioè suonato come un dispositivo musicale, in modo performativo, improvvisato. Allo stesso tempo consente di essere controllato attraverso una partitura compositiva estremamente preciso. Lo abbiamo impiegato sia in istallazioni che in live performance. Non avevamo più bisogno di procedere con un meticoloso lavoro di montaggio frame by frame, avevamo un modo molto più intuitivo di accedere al materiale video.6
Il metodo messo a punto permette di lavorare, sia dal vivo che in studio, in modo chirurgico sul materiale preesistente – in genere realizzato appositamente dagli autori – nel quale l’intermittenza è atto di discretizzazione della materia
4 Sherman T., The development and applications of a perpetual moment machine, in Granular Synthesis, (a cura di), 1998, pp. 29-39.
5 McLean B., FEED, Journal Seamus, vol. 19, n.2, 2008, pp. 26-7 6 Cfr. Intervista con l’artista in appendice.
fluida del video digitale, ricavare monadi a partire dalla compattezza che caratterizza la forma elettronica, pur nella sua immaterialità. Come per gli autori di flicker film, basti pensare a Kubelka e all'insistenza sul fotogramma come particella elementare del linguaggio cinematografico, anche i Granular Synthesis lavorano su elementi discreti ma in scala microscopica.
L’insistenza sul trattamento temporale e metrico avvicina le loro ricerche a quelle di alcuni filmmaker austriaci con i quali condividono coincidenze cronologiche e geografiche, quali ad esempio Martin Arnold o Peter Tscherkassky.7 Va detto che questi punti di contatto, come pure quelli esistenti con altri momenti della storia dell'audiovisivo, possono essere individuati solo ampliando il punto di vista tanto da includerli in una prospettiva storica e contemporanea più vasta di quanto venga fatto comunemente dagli studi di media art; al tempo stesso questi riferimenti non sono mai evidenziati direttamente dai due autori, né sono sufficienti ad attenuare la portata originale e le specificità della loro prassi estetica, fortemente radicate nella matrice digitale della materia audiovisiva e del processo attuato nella sua trasformazione.
Una differenza di base, in particolare rispetto al cinema strutturalista, sta nel ruolo del flicker nel processo di analisi della materia audiovisiva: nel film il flicker è agito per manomettere l'illusione di continuità e rivelare la natura discreta della pellicola e del tempo filmico convenzionale, formato da moduli isolati di per sé e che la differente temporalizzazione rende fenomeno continuo; i Granular Synthesis partono invece da un flusso unico immateriale e continuo, il segnale video digitale, nel quale il flicker genera una discretizzazione. Ciò che il flicker rivela in questo caso non è la struttura intrinseca della materia ma la sua proprietà potenziale, cioè è la mutevolezza della codifica e la possibilità di attuare tale trasformazione in vivo e ricorsivamente. Un precedente storico dell’utilizzo della stroboscopia come organizzazione di un flusso immateriale nel tempo è rintracciabile piuttosto nelle ricerche dei Vasulkas, pionieri nella storia della media art audiovisiva. Come per i Granular Syntesis, anche nel loro caso si evidenzia un lavoro sul dispositivo tecnologico, in questo caso analogico, che permette di
7 Per una ricognizione esaustiva dei principali autori del cinema sperimentale austriaco, sia storici che contemporanei cfr. Tscherkassky P., 2012.
intervenire nel dominio dell’immateriale, di scomporlo e ricomporlo in altra forma dalla natura ritmica. Anche i Vasulkas, infatti, elaborano un’apparecchiatura che permette di interpolare due sorgenti video, il Field Flip/Flop Switcher, uno dei primi prototipi di videosequencer8 impiegato in particolare in Noisefield (1974). Malgrado il funzionamento letterale dei due strumenti non sia assimilabile - il Field Flip/Flop permette un passaggio repentino tra due flussi ma non la loro interpolazione in microelementi discreti, caratteristica invece del funzionamento del software Vcode9 – si può osservare una similitudine nei due processi attuati, che vedono entrambi una discretizzazione a partire da una materia che è flusso immateriale e invisibile: flusso di pura energia elettrica nel caso dei Vasulka - gli elettroni del segnale video analogico -, flusso di stringhe di informazioni tradotte in impulsi elettrici, nel caso dei Granular Synthesis.9 In entrambi, la sperimentazione e l’impiego del dispositivo tecnologico, permette di tradurre l’immaterialità e darle forma percettibile.10 Nel paragrafo dedicato all’installazione NoiseGate-M6 (1998) è stata affrontata la distinzione tra i due momenti della produzione del duo austriaco. Procederemo quindi ripercorrendo alcune delle opere rappresentative seguendo tale biforcazione, del tutto artificiosa e a posteriori, ma utile guida per
attraversare complessivamente il loro lavoro.
La prima fase, ricordiamo, vede protagonista il corpo rappresentato nella sua forma iconica, nella quale s’inscrive l’atto decostruttivo stroboscopico, tendente all’astrazione. A sua volta, questa trasformazione alchemica dalla materia alla non materia, attiva un processo di rispecchiamento e un meccanismo di feedback tra corpo mostrato e corpo del fruitore. Corpo che è espressione e metafora incarnata di una condizione della soggettività, presentato secondo due modi specifici:
8 Progettato nel 1974 da George Brown in collaborazione con i due autori. Cfr. Gazzano M. M., Sulle tracce del fuoco degli dei, in M. M. Gazzano, (a cura di), M. M. Gazzano, (a cura di), Steina e Woody Vasulka. Video, media e nuove immagini nell’arte contemporanea, Edizioni Fahrenheit 451, Roma, 1995.
9 Spiegl A., Frankensteintechnodrug – Mythos Information. Welcome To The Wired World, Gerbel K, Weibel P., (a cura di), 1995, pp. 380-383.
- sineddotico: nel quale l’individuo è presentato attraverso la sola testa, ad indicare la sede identitaria del soggetto, riferendosi al forte valore simbolico che questa parte riveste nella relazione tra essere umano e mondo, come di nucleo nevralgico della vista e dell’udito, della cognizione e della parola;
- de-soggettivizzato: come insieme di arti, tronco acefalo privo di testa e di espressione.
Questi due modalità rispecchiano la storica dicotomia tra mente e corpo, pensiero e sensibilità, presente nelle culture occidentali, storicamente radicata e che la condizione di vita contemporanea spesso estremizza ulteriormente. 11
La riduzione sineddotica è caratteristica ad esempio di Modell 3 (1992-93),12 perfomance a quattro canali video che inaugura lo stile Granular Synthesis, dopo il meno noto Piranha, e rende la trasformazione del corpo un atto estemporaneo dis-funzionale, in termini di spazio e tempo, sottraendo al fruitore l’esperienza diretta del tempo reale: i quattro schermi posti di fronte al pubblico mostrano la destrutturazione delle riprese video del performer Michael Kramer, effettuare in real time in una stanza attigua. Uno stretto primo piano moltiplicato caratterizza Modell 5 (1994-95),13 nel quale il senso di alienazione è articolato in una gamma amplificata di valori e frequenze di flicker, determinando un crescendo di violenza della pulsazione che è percussione invasiva e precisione chirurgica insieme: il viso della performer Akemi Takeya è trasfigurato, oltre l’umano, maschera in costante mutazione. Il suono è anch’esso carne lacerata, progressiva possessione dell’umano da parte del tecnologico, escrescenza che dall’organico mutato in macchina. Il clima di costrizione del corpo è intensificato da un tempo ricorsivo, basato sulla circolarità ossessiva del loop sonoro. Anche la struttura della
11 Ad esempio, nota l’artista, nella condizione spesso schizofrenica del nostro quotidiano per cui trascorriamo lunga parte delle nostre giornate di fronte ad uno schermo, in uno stato di completa sottrazione della complessità di funzioni del corpo nello spazio, per poi scaricare in tempi compressi sole attività del corpo in quanto involucro, come il culto dell’attività ginnica e della cura estetizzante della forma, alle quali la dimensione mentale resta estranea. Kurt Hentschläger, in Borş S., Sensory Geographies. A Conversation with Kurt Hentschläger, 2013.
12 Prodotto da PYRAMEDIA, con il supporto del Ministero per l’istruzione e l’arte del governo austriaco/ WUK-Werkstätten and Kulturhaus.
13 Commissionato dall’HTBA (Hull Time Based Arts) di Hull, Inghilterra e coprodotto da PYRAMEDIA,Fischer Film, Vienna, e Medienwerkstatt, Vienna.
componente audio è basata, infatti, sulla ripetizione martellante e violenta del sample, ridotto a microbattito penetrante, come in Sweetheart (1997),14 in cui gli echi della voce di Takeya rompono per pochi istanti il ronzio, passeggera emersione di una traccia di naturalità. Nella loro prima produzione un solo lavoro presenta il corpo come anatomia acefala. Si tratta di We Want God Now (1996),15 video installazione monoschermo che proietta l’inquadratura fissa sul tronco del performer: il movimento del protagonista senza volto è condizionato dalle limitazioni del quadro, racconta, nella frammentazione del flicker, la costrizione del corpo, che si percuote in un moto quasi involontario contro i confini dello schermo. Il nucleo tematico del lavoro è quindi rappresentato dalla relazione con lo spazio e il riferimento alla bidimensionalità e alla strettezza della cornice. In questo caso è esperita e sofferta dal corpo del performer che sembra tentare fughe irrefrenabili dal margine, tentativi rispetto ai quali la ripetizione del loop amplifica la mancanza di vie d’uscita. Oltre che dall’inquadratura, l’ingabbiamento del corpo - espresso dal soggetto nel video ma metaforico della condizione del fruitore - è reso anche dalla moltiplicazione degli schermi frontali, presente ad esempio nelle opere sopracitate, Modell 3 e Modell 5. La bidimensionalità del polittico e la costrizione del perimetro del quadro intorno a ciascuno schermo, mostra come la ripetizione del singolo modulo non costituisca una liberazione dell’immagine nello spazio ma unicamente la ripetizione ossessiva della stessa ontologica limitatezza. Il multischermo non ha, quindi, funzione illusoria di espansione quanto di verifica empirica di una frustrazione: non è la ripetizione delle superfici a consentire la via d’uscita dalla cornice e il presupposto di uno spazio dell’immagine ampificato e diffuso. Un’osservazione che è possibile desumere da questo corpus di lavori e che è quasi – per sottrazione – una dichiarazione della poetica ambientale caratteristica della fase successiva del lavoro di Granular Synthesis, nella quale lo schermo è trasformato da superficie bidimensionale a una tra le componenti di orchestrazione
14 Prodotto e commissionato da ORF, televisione nazionale austriaca (video PAL, colore, suono, 15’).
15 Progettato originariamente come parte di una performance della compagnia britannica MAN ACT, rielaborato originariamente come installazione monocanale basata su un video loop (video PAL, colore, sound, 60’). Commissionato da MAN ACT, Cardiff, Gran Bretagna, con il supporto di Werkleitzgesellschaft, Werkleitz, Germania. Performer: Michael Ashcroft. Riprese video: Roland Denning.
architettonica dell’ambiente.
Questa seconda parte, collocabile tra la fine degli anni Novanta e il 2003, si articola secondo alcune caratteristiche, spesso coincidenti e per nulla sequenziali. Anzitutto la prevalenza dell’astrazione sulla forma umana, che è sempre presente ma non nello schermo: l’attenzione si sposta, infatti, dal corpo nel video al corpo del fruitote nello spazio. Questo processo avviene in modo discontinuo: in molti lavori si trovano, come già visto per NoiseGate (1997-99), dei richiami a progetti della fase precedente, basati sulla forma iconica del corpo. I due autori mettono in atto, infatti, una sorta di costante riscrittura e al contempo analisi della propria produzione. Il riuso di materiali e la creazione di micro-cicli sono aspetti presenti anche nel lavoro di Hentschläger successivo a Granular Synthesis. Se la forma del corpo appare all’interno degli ultimi lavori, in linea con quanto visto nel caso di Noiesegate, lo fa non come presenza incarnata e in mutazione ma come spettrale. Un esempio sono le apparizioni fantasmagoriche del viso della cantante e performer Diamanda Galas nel live POL (1998-2000) 16 o nel caso dell’installazione video FORM (1999),17 che, a partire da campioni del video WWGN – We Want God Now, rielaborati fino a rendere il corpo del performer un perimetro bidimensionale in movimento, costruisce un dialogo pulsante tra forma e sfondo. Estratti dallo stesso video sono utilizzanti in altre opere a carattere immersivo e astratto, quali AREAL (1997) e SINKEN (1999). 18
Accanto alla tensione alla quasi astrazione, appaiono lavori di completo azzeramento della forma, puro flicker infinitesimale, che spesso corrispondono a campiture monocrome e che la pulsazione millimetrica rende texture animate, superfici vibranti amplificate nell’ambiente. Tra queste, l’installazione multicanale FELD (2000),19 prima opera interamente astratta di Granular Synthesis, viaggio
16 Commissionato e prodotto dall’Hull Time Based Arts di Hull, Gran Bretagna, coprodotto da Ars Electronica, Linz e ZKM, Karlsruhe, a cura di Mike Stubbs. Performer: Diamanda Galas. Riprese video: Florian Michel. Direttore della fotografia:Wolfgang Lehner.
17 Commissionato da Robert Lepage per Zulu Time, a cura di Robert Lepage e Richard Castelli (video PAL, colore, sound, 9’).
18 Il progetto prevede proiezioni video su doppio schermo, mentre la partitura musicale è eseguita dal vivo da un’orchestra. Commissionato da Art Zoyd e Orchestre National di Lille nell’ambito del programma Dangerous Visions. Curatori: Richard Castelli, Michel Des Borderies, Gérard Hourbette. 19 L’installazione prevede quattro proiezioni da DVD (video PAL, colore, sound, 35’).
percettivo intenso, forse l’esempio di flicker più vicino ai lavori successivi di sola luce di Hentschläger.
Insieme all’astrazione, un secondo aspetto che identifica la seconda fase è la progettazione di dispositivi immersivi, elaborati secondo due modalità: attraverso la riduzione dello spazio a black box, come in FELD e LUX (2003),20 e/o più frequentemente, attraverso l’orchestrazione di schermi surround.
Ne è un esempio l’allestimento del live POL, composto da sette schermi disposti a semicerchio e in cui l’effetto d’immersione e attorniamento è accentuato dallo scorrimento sequenziale del flusso visivo tra gli schermi. In questa tendenza rientra anche <360> (2002)21 che, come dichiarato fin dal titolo, è un dispositivo ambientale circolare, costituito interamente di schermi, quasi una variazione dei dome e dei padiglioni elaborati dagli autori di Expanded Cinema. In questa serie di lavori il suono è anch’esso organizzato spazialmente e in senso immersivo, declinato in landscape di basse frequenze persistenti e riverberate, che attraversano la pelle del pubblico e vibrano nei corpi. La spazializzazione è in genere ottenuta attraverso la disseminazione nell’allestimento di discrete quantità di loud e low speaker e, soprattutto subwoofer, come in <360> in cui il perimetro circolare disegnato dagli schermi corrisponde a gruppi audio modulari di tre elementi, formando un impianto che permette di muovere il suono ad anello intorno al pubblico e insieme creare specifici punti di ascolto, allo scopo di diversificare l’effetto a seconda del movimento indipendente del fruitore nello spazio.