Dall’occhio al corpo. La percezione come sistema embodied e
l’emanazione soggettiva dello spazio
Il panorama di progetti artistici contemporanei è ampiamente costellato di progetti che si presentano come dispositivi percettivi, nei quali cioè il coinvolgimento percettivo dello spettatore non rappresenta un aspetto fenomenico corollario della fruizione ma piuttosto un elemento di senso prioritario del progetto estetico. Il caso delle opere di flicker, in virtù della centralità assunta dal progetto percettivo ed individuale dello spettatore, rappresentano un caso utile ad interrogarsi su alcuni cambiamenti in atto nello statuto di opera d’arte.
Cosa ci dice la pulsazione sullo schermo, la sola reiterata sequenza di luce e non luce? Qual è il contenuto di un ambiente in cui solo segno è la frequenza del suono e della luce? In realtà, la domanda andrebbe capovolta: queste particolari pratiche ci chiedono più di quanto non esprimano. Il caso di Ambiente Stroboscopico del Gruppo T, ad esempio, è particolarmente esplicativo - quasi didascalico - nel manifestare un meccanismo che, con funzioni e modalità diverse, accomuna molte opere basate sulla percezione, estendibile quindi oltre il caso specifico dei lavori stroboscopici. L’installazione, infatti, stabilendo una radicale riduzione della forma, esclude qualsiasi interferenza da parte di altro segno ma non rinuncia completamente alla rappresentazione di quello che è il fulcro generatore di senso nell’opera. Anche se l’environment è dominato dalla rigida ritmica di luce, la struttura del dispositivo è una spirale nel quale il fruitore trova al centro il proprio corpo, se stesso in quanto soggetto esperiente, rappresentato o per meglio dire riflesso, in una nuova forma, dovuta alla distorsione percettiva di cui sta facendo esperienza immanente. In un meccanismo di feedback l’ambiente/opera attiva un evento percettivo e insieme rimanda al soggetto il suo effetto. Questa rappresenta una possibile modalità di porre il soggetto, il suo corpo esperiente e il processo percettivo, attivato in vivo, come contenuti stessi dell’opera. In modo antitetico, ZEE, installazione del media artist Kurt Hentschläger, azzera qualsiasi appiglio di
rappresentazione e con essa le coordinate ‘naturali’ attraverso le quali il soggetto propriocepisce il sé nella relazione con l’ambiente. La particolare specie di progetti artistici resi oggetto della ricerca, sono tra gli esempi possibili di quello che Carla Subrizi ha definito un rovesciamento di prospettiva: non più oggetto da guardare ma situazione attraverso la quale guardare il mondo e – aggiungeremmo – il soggetto/fruitore che agisce questo sguardo:
Se l’opera non è più un luogo che si offre alla contemplazione, se non resta appartata e anzi si fa sentire nella vita che è etica, politica, coscienza, esperienza, l’opera si rivela come un’entità relazionale, un nodo più che un traguardo visivo, un punto intermedio più che un obiettivo verso il quale si conclude la visione. In essa non viene trasfigurato il reale, in essa non si cercano i simboli o le rappresentazioni della realtà. L’immaginario non resta relegato allo spazio definito di un’opera che con la realtà rimane in un rapporto illusivo, di distanza. L’opera agisce, non è soltanto il risultato di un’azione ma è stimolo di una reazione.1
Il corpo esperiente è spesso il catalizzatore di questa trasformazione e attore della reazione potenziale progettata dall’autore. Rispetto a caratteristiche proprie dei progetti estetici di flicker vengono individuati due aspetti del dispositivo percettivo che sono significativi nel riconfigurare l’identità del progetto estetico su un piano generale, che definiscono cioè i casi particolari in esame e al tempo stesso suggeriscono delle tendenze estendibili alla produzione artistica recente:
- il superamento del predominio dell’occhio nell’esperienza visiva a favore di una concezione del processo percettivo esteso e incarnato;
- l’immersività come condizione di sconfinamento nel dualismo soggetto-ambiente.
1 Subrizi C., 2000, pp. 5-20. Si veda anche la nozione di ‘appropriazione di autorialità’ da parte dello spettarore cui si fa riferimento nell’introduzione, nota n. 5. Cfr. Diodato R., Lo spettatore virtuale, in A. Somaini, 2005, 269-281. Cfr. anche Estetica del Virtuale, Bruno Mondadori, 2005.
Per affrontare questo percorso l’analisi estetica va ricondotta alla sua radice etimologica – aesthetikòs, ciò che riguarda la percezione – cioè occuparsi di funzioni strettamente connesse alla sfera del sensibile per decifrare i modi attraverso i quali l’opera instaura particolari forme di soggettività, di relazione tra soggetto e realtà fenomenica prodotta dall’opera e non ri-prodotta né rappresentata.
Lo studio delle pratiche non può quindi esimersi dal confrontarsi con un più ampio panorama di riflessione sulla percezione, la sensorialità e il corpo, ponendosi in posizione dialogica rispetto aree extra-artistiche del sapere percettivo, in particolare, quelle scientifiche.
Un dialogo non indirizzato ad un’assimilazione ma che anzi permetta di individuare convergenze possibili e limiti determinati da specificità sul piano epistemologico di entrambe le aree del sapere. Allo stesso tempo, lo scetticismo spesso radicato nel campo della critica e delle teorie dell’arte nei confronti delle contaminazioni con le ‘scienze esatte’ e il rischio di ‘riduzionismo’ – certamente presente – non sono ragioni sufficienti per non tentare uno sguardo verso l’altra sponda del sapere sul sensibile. Perché, come già ricordato, integrare il fondamento fisiologico di alcuni meccanismi permette di decifrare non il senso dell’opera nel suo complesso ma il modo con il quale l’opera produce senso. Le reazioni percettive e la contingenza sensibile consentono, infatti, di riconoscere una parte della poetica del corpo esperiente e quindi della soggettività coinvolta nella fruizione dell’opera, ricorrente in vari ambiti sia nei film studies che nelle teorie dell’arte e della media art, ma disseminate e raramente poste a confronto sul piano operativo del sensibile. Infine, come dimostra la ricorrenza dell’interesse da parte degli autori nei confronti del flicker e della sua fisiologia, gli artisti hanno intrapreso questo percorso spurio già da diverso tempo oppure, indifferenti alla frammentazione del sapere sul corpo che sia la scienza che l’estetica hanno tracciato a partire dall’epoca moderna, non hanno mai smesso di percorrere.