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CAPITOLO QUINTO

5.4 La credenza religiosa e il post mortem

5.4.2 La credenza degli adult

Come fra i giovani anche fra gli adulti, la prospettiva rispetto alla vita dopo la morte cambia in base al diverso modo di vivere la religiosità, risultando più ferma fra praticanti e militanti e presentandosi con un certo scetticismo fra i non praticanti. È forse questa una delle questioni della fede che mette più a nudo le insicurezze dei credenti e la crescente affermazione del self-service, meccanismo attraverso cui il corpo di credenze ufficiali della religione viene arricchito o impoverito, a seconda dei punti di vista, dalle individuali convinzioni e interpretazioni dei “fedeli” i quali rendono variegata e composita la dimensione della religiosità che va così a far parte di un contesto che Garelli, Guizzardi e Pace definiscono contrassegnato da “un singolare pluralismo”.293

Anche qui la descrizione di ciò che s’immagina attenda l’umanità è molto soggettiva, non sempre corrispondente a quanto affermato dalla teologia classica. Ad accomunare i praticanti e i militanti è la credenza- convinzione che qualcosa ci sia, ma su cosa sia e come sia sono molte immagini che vengono presentate.

Nella visione di Aldo la vita dopo la morte esiste e rappresenta il raggiungimento della felicità, non di quella effimera e passeggera che si

179 conosce ordinariamente ma di qualcosa di più grande che prende corpo in una condizione di benessere e pienezza costante resa possibile dalla vicinanza a Dio e dalla fine delle “prove” terrene alle quali Lui stesso ci sottoporrebbe:

Certo che ci credo... C’è, sicuramente, una condizione di pace che noi non troviamo sulla terra perché seguiamo un percorso in cui Dio ci mette alla prova... ma non è il fatto che più si è provati e più si è premiati... perché Dio salva anche chi, nell’ultimo istante veramente, si pente e si rivolge a Lui... Ecco io credo che, sostanzialmente, Dio offre a ciascuno di noi una possibilità... cioè, non è detto che solo perché ho condotto una vita che io posso ritenere, presumibilmente gradita a Dio, sia realmente così, cioè… poi nel momento in cui ci presenteremo di fronte a Lui avremo chiaro, veramente, che cos’è stata la nostra vita nei vari passaggi che abbiamo attraversato...

(Aldo, 53 anni, credente praticante)

La fase di “trapasso” e il raggiungimento del cospetto divino, secondo Aldo, rappresentano il momento in cui si diventa coscienti di come si è vissuto, è il momento in cui tutto ciò che durante la vita era incomprensibile e contorto diventa chiaro. Torna inoltre l’idea di un Dio misericordioso che vorrebbe salvare tutti: un Paradiso molto affollato e un Inferno quasi deserto. Più “mondana” è, invece, la descrizione fatta da Teresa che afferma di credere che ci sia una vita ultraterrena, prima di tutto perché, questa certezza le permette di liberarsi da molte angosce:

Vivendo alcune situazioni ti rendi conto che, in effetti, la morte è solo un passaggio e... allo stesso tempo la sicurezza, ecco, di avere una resurrezione non ti fa... non ti porta più quell’angoscia terribile... io… dopo la morte di mio nonno ho avuto come... una presenza... una cosa... in fondo bella sia per lui che per noi che siamo rimasti perché è come avere una persona che prega per te... Cioè, è sempre brutto il distacco, per carità, però… hai questa speranza, questo… questa proiezione che… che poi ci sarà una vita migliore e quindi... questa certezza non ti fa stare proprio… in un’angoscia... fatale.

(Teresa, 43 anni, credente praticante)

In seguito all’esperienza di un lutto si forma la convinzione che ci sia un dopo, un posto anche per chi lascia la terra. Riflettendo su come potrebbe essere questa dimensione altra, Teresa aggiunge:

Sicuramente sarà una cosa idilliaca, bella... di piena pace, un posto dove c’è tanta luce... ecco c’è una serenità che uno non ha mai provato in vita, insomma... Non lo so... poi, nell’Inferno… forse non ci credo tanto perché… (sorride), ma non ci voglio credere! (ride) Altro che non ci credo, non ci voglio credere! Perché dico che insomma… il Padre Eterno è così grande, così buono infondo che non ci lascia andare in un posto così brutto, anche se noi ce lo meritiamo, se uno si comporta male in vita, vive nel peccato... io credo che Lui troverà un modo, una forma... (sorride)… boh, non lo so, non ci voglio credere all’inferno!

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È più facile immaginare il paradiso, sempre come il raggiungimento di una serenità piena della quale si è alla ricerca da quando si nasce, mentre si rimuove quasi l’idea dell’inferno. Si preferisce aver fede immaginando un Dio misericordioso più che giustiziere e punitivo, il destino di chi accoglie Dio e di chi lo rifiuta, di chi si comporta bene e di chi, invece, non lo fa, sarebbe dunque il medesimo, perché questo Padre buono non vuole condannare nessuno. Le posizioni espresse dai nostri intervistati confermano quanto rilevato da alcune autorevoli ricerche nazionali294, dalle quali si

evince una percentuale relativamente ristretta di persone che affermano di credere in un’altra vita dopo la morte (41,5%), rispetto alla larga maggioranza di quanti si affermano credenti-cattolici (88%), di questi, inoltre, quasi la metà non crede all’inferno o “non vuole crederci” proprio come Teresa.Non credere nell’inferno o il completo disinteresse a riguardo, dichiarano sicuramente una discrasia tra il credo cattolico e quello dei nostri intervistati ma designano anche il rifiuto di credere in un Dio vendicativo e punitivo.

Simile la posizione espressa da Silvia, anche lei praticante che afferma:

Nell’aldilà, sì ci credo, perché penso che la nostra vita terrena così sia un mistero e che non finisce qui ma che ci sia un’altra dimensione... su come sarà, se ci andremo tutti o no... su questo non lo so, non mi so dare una risposta... ci penso ma non so rispondermi o la rimuovo come domanda... io per il momento cerco di impegnarmi in positivo, poi il resto si vedrà...

(Silvia, 60 anni credente praticante)

Silvia crede che ci sia qualcosa dopo la morte perché, altrimenti la vita stessa non avrebbe un senso, rispetto, invece, all’eventualità di un premio o di una condanna eterna non si esprime, essendo una questione alla quale non sa rispondere preferisce non porsela affatto. Intanto, cerca di impegnarsi in positivo senza interrogarsi troppo sul dopo.

I dubbi, anche in questo caso aumentano fra le fila dei non praticanti, proprio come rilevato fra la generazione più giovane:

Sono un po’ indecisa... non si... cioè... voglio credere nel Paradiso... ma non sono proprio convinta al 100%... Io ho studiato scienze naturali, così ti spiego il perché, abbiamo toccato con mano la scienza... ci voglio credere perché ci voglio credere ma gli studi mi hanno portato a credere tutt’altro... e, quindi, sono un po’ combattuta... mi piacerebbe esserne proprio certa perché… è bello, comunque, credere che la vita non è finita ma che continua poi in un altro mondo che non è quello terreno...

(Gina, 39 anni, credente non praticante)

Per Gina sono stati decisivi gli studi in scienze naturali che l’hanno portata a mettere in discussione la credenza nell’aldilà, nonostante vorrebbe crederci fermamente, ritenendo che sarebbe più bello vivere con questa convinzione. Si riconferma l’immagine del cattolico non praticante che crede in Dio avendolo come punto di riferimento e di appoggio nella vita quotidiana ma tale credenza crolla rispetto all’idea di incontrarlo o di

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Cfr. V. Cesareo et al., La religiosità in Italia, op. cit. I dati rilevati dal gruppo di ricerca guidato da Vincenzo Cesareo nel 1995 sono stati riconfermati da ricerche più recenti, a tal proposito si rimanda a S. Abruzzese, I valori degli italiani e degli europei: il caso della

181 raggiungerlo in un’altra vita. A marcare notevolmente questo elemento è Francesco:

Vedi, io ci credo davvero in Gesù Cristo, in quello che è stato... nella resurrezione... ma per noi non credo che ci sia nient’altro oltre questa vita, sembra un contraddittorio, no? Io penso che la fede in Dio serve come filone trainante per operare del bene, cioè, far sì che nella comunità, nel mondo... ci sia pace, ci sia rispetto, ci siano questi valori, però… con il tempo si diventa razionali perché… non puoi prescindere da quello che succede giornalmente, tanti bambini che muoiono, tanta gente che… dico possibile che? Se c’è un Dio perché nessuno fa niente? Mia moglie dice che Dio non guarda le cose terrestri, a livello materiale, però c’è tanta ingiustizia, no? Io ti voglio fare un esempio... fai il conto di quanta gente perversa e malvagia c’è stata, per esempio durante il nazismo, e di quanto a lungo vivono queste persone... allora io mi chiedo, questa giustizia divina dov’è? Io la vorrei vedere... e vorrei proprio credere all’aldilà per questo, per vedere questa giustizia!

(Francesco, 50 anni, credente non praticante)

È espressa innanzitutto “l’utilità sociale” della fede, nella sua valenza normativa e di controllo. Essa è definita “filone trainante per operare il bene” in vista di quel premio finale che si dovrebbe guadagnare sulla base delle proprie azioni. La credenza nell’al di là, è ritenuta utile per vivere meglio nella società, per rendere migliori gli individui qui ed ora, spingendoli a costruire rapporti pacifici orientati, principalmente, al rispetto degli altri. Partendo da questa considerazione generale, l’intervistato, pensando alla sua personale credenza sottolinea la difficoltà oggettiva di credere ciecamente nella vita eterna e nell’esistenza stessa di Dio, messa in crisi da tutti gli eventi spiacevoli dei quali quotidianamente si viene a conoscenza.

In riferimento a ciò, la speranza di Francesco non è associata alla paura della morte ma al desiderio di giustizia verso quanti commettono del male durante la loro vita. Il suo pensiero va alle atrocità naziste e “all’indifferenza” di Dio rispetto a quanto succede nell’al di qua. Proprio sulla base di questa presunta indifferenza divina scaturiscono le sue perplessità rispetto al’esistenza dell’aldilà.

Dubbiosa anche Carla 54 anni che, tuttavia, come gli altri “scettici” esprime il desiderio di voler credere:

Questo è un dubbio che io ce l’ho. Anche se ho letto molti racconti di persone che sono state in coma, ho avuto testimonianza di persone che hanno visto questa luce, questa cosa... e certe volte vorrei crederci, dico: “Ma, forse è vero” però questo è un dubbio che ho avuto sempre e credo che nessuno lo risolverà mai finché non andrò io a vedere questa cosa... anche se poi, alla fine, quando vado a salutare mio padre al cimitero gli dico: “Papà, pensaci tu”, quindi inconsciamente è come se ci credessi ma se mi fermo a pensarci, no... mi vengono tanti dubbi...

(Carla, 54 anni, credente non praticante)

Ciò che le è stato consegnato lotta con quanto ha sperimentato nel corso della vita: crescendo risulta sempre più difficile dare per scontate quelle verità ricevute come assolute nel corso della prima socializzazione. Ricordando suo padre scomparso, tuttavia, gli si rivolge esprimendo

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un’intrinseca speranza che lui si trovi da qualche parte e che possa vegliare su di lei. Credere in una vita dopo la morte non è ritenuto irrazionale o illogico, semplicemente, è messo in luce il desiderio di far propria una credenza e di razionalizzarla nella propria esperienza proprio come qualcosa che si possa vedere e toccare. È la razionalizzazione delle credenze che, se da un lato aumenta lo scetticismo, dall’altro rafforza e rende più stabili le cose in cui si sceglie di credere.

Fra i non praticanti, Edoardo esprime una forte convinzione, superiore a quella espressa da alcuni praticanti, e basata proprio su un processo di razionalizzazione alimentato da studi personali nei quali ha trovato conferma la sua credenza:

Sì ci credo... per me l’Inferno è la mancanza della grazia, della luce divina... come dice Dante ma come dicono tanti mistici, noi siamo emanazione divina, quindi, una volta che noi ci spogliamo da questo corpo, da questo vestito che ci portiamo addosso, l’essenza, l’emanazione, il soffio, lo spirito, l’anima... chiamiamola come la vogliamo chiamare, ritorna di nuovo a casa e, in funzione, alla pienezza delle luce divina o alla mancanza della luce divina avremo il nostro cosiddetto premio... io non credo che l’inferno sia fiamme, fuoco ecc., ma che sia mancanza della luce divina e quindi sofferenza del nostro essere che non può partecipare alla luce divina.

(Edoardo, 54 credente non praticante)

Riflettere sulle dimensioni della propria esperienza religiosa, per questo intervistato, consiste, spesso, nello spiegare delle convinzioni teo- filosofiche, nate da studi personali più che da un’esperienza concreta di vita. Il paradiso è inteso come ritorno dell’anima a Dio mentre l’inferno rappresenta la negazione di questo ricongiungimento.

I più convinti del gruppo, comunque, restano i militanti. L’esperienza religiosa di questi soggetti è segnata, spesso, da una convinzione elaborata ed interiorizzata al punto da essere vissuta come certezza tant’è che, dopo aver ascoltato il racconto della loro esperienza, chiedere se si credesse o meno in una vita dopo la morte, talvolta è sembrata una domanda superflua:

Eh certo che ci credo! Beh, se non credessi in questo, che senso avrebbe la mia fede? La fede è questo: l’attesa fiduciosa di vedere Dio e di stare con Lui, questa è la fede, nel momento in cui noi raggiungeremo questo stato, non ci sarà più la fede ma ci sarà la certezza concreta e reale che ciò in cui abbiamo creduto è vero ma io so già che è così.

(Anna, 47 anni, credente militante) Beh, è ovvio che ci credo... ma sull’inferno e il paradiso ho un mio modo di pensare e di vedere: io penso che lo spirito non soffre, è la materia che soffre, quindi io ritengo che se ci sono peccati si devono prima... scontare qua su questa terra... io credo che il male commesso si paghi qui perché non può essere lo spirito solo che soffre... sarebbe una sofferenza troppo lieve secondo me, comunque sia, credo che ci sarà questo incontro con Dio che ci riempirà dopo la vita su questa terra... vivere avendo come orizzonte questo incontro con Dio credo che significhi spendere la propria esistenza al meglio, fare la volontà di Dio e stare bene.

183 Credere nella vita dopo la morte è scontato ed è vissuto come certezza, razionale e consapevole; non credere in questo vanificherebbe la fede stessa intesa come cammino per raggiungere Dio e poter vedere con assoluta chiarezza tutto ciò in cui, al momento, si crede senza aver né visto, né conosciuto.

Credere fermamente in questa meta ultima, a prescindere dalla visione che si ha di essa, inoltre, rappresenta una spinta decisiva per “vivere la propria vita al meglio”, in essa si trova il senso ultimo della propria esistenza e di tutto quanto si vive nella quotidianità.

Ha riflettuto molto in merito anche Maria, 48 anni che dice:

Si, si certo ci credo... ma vorrei avere una consapevolezza maggiore di come sarà, forse c’è un rinnovarsi della vita fino a che, evidentemente, la nostra anima non raggiunge la pace per restare nelle sfere celesti... Sicuramente credo che ci sia... non dico l’Inferno, ma una situazione brutta perché… credo che esista il male così come esiste il bene, ma poi, se l’inferno non ci fosse, qual è lo scopo di avere anche un senso cristiano oppure passare dall’altra parte? Una differenza ci deve essere... e allora credo che Dio ci dà una possibilità, sia in terra, perché anche nel comportamento più maligno ti dà la possibilità di vedere e di cambiare. Sia dopo morto, perché se tu hai delle persone che pregano per te, che ti vogliono bene, io credo che l’anima faccia questo passaggio dalla zona più brutta... non mi piace dire Inferno e Paradiso, ma da una zona più lontana ad una zona più vicina a Dio.

(Maria, 48 anni, credente militante)

Nemmeno Maria ha dubbi sul fatto che ci sia un’altra vita dopo la morte ma non sa rappresentarsela, la immagina in modi diversi, prende le distanze dalla classica contrapposizione fra Inferno e Paradiso, preferendo parlare di contrapposizione fra Bene e Male. L’attenzione è posta, ancora, sulla possibilità dell’uomo di scegliere da che parte stare. Proprio sulla base di questa libertà di scelta trova giustificazione la credenza che esista “una situazione brutta” distante da Dio e che segni la differenza tra chi ha scelto di vivere “cristianamente” e chi, invece, ha scelto di stare “dall’altra parte”. L’idea di fondo è che sia il soggetto a scegliere e ad assumersi le responsabilità e le conseguenze delle proprie scelte, in un’ottica tipicamente moderna, come, potrebbe sottolineare Peter Berger. Dio è pensato, anche qui, come misericordioso e padre benevolo che vuole salvare tutti i suoi figli, inoltre la speranza di salvezza non è più commissurata all’agire del singolo nel suo periodo di vita terrena. C’è una dimensione di salvezza collettiva in cui anche l’azione, la preghiera di altri può contribuire a salvare un’anima, la salvezza si può ottenere per merito di altri. In questo senso, Maria condivide l’idea cattolica secondo cui le preghiere dei vivi per i morti possano contribuire alla salvezza delle loro anime.

Più dura la posizione di Luigi, 42 anni che dice:

Sicuramente il fatto che esista una realtà come l’inferno per me è un fatto acclarato già dal fatto che se tu sperimenti la morte da vivo, è chiaro che se non muori in grazia di Dio morirai, sicuramente, in una situazione di disagio eterno… sarà uno stato… non so come definirlo ma… sicuramente si continua a non vivere quello stato di grazia che non si è vissuto nemmeno in vita… poi io credo, come diceva, Giovanni Paolo II, uno dei più grossi

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inganni, uno dei più gravi errori che si fanno oggi è quello di far credere alle nuove generazioni che il demonio non c’è, ma se il demonio non c’è, non c’è nemmeno l’inferno e nemmeno il paradiso… allora finirebbe tutto con la morte, siccome non finisce tutto con la morte, grazie a Dio, si rinasce al cielo…si gode della pienezza della luce di Dio… io ho visto morire molte persone, persone disperate ma anche persone che morendo incontrano la volontà di Dio e che sono estremamente serene… questo è, morire sapendo che Dio è Padre, che Gesù Cristo ti ama e che la Resurrezione c’è, perché Lui ce l’ha dimostrata e ci dice che l’ultimo giorno resusciterà i vivi e i morti…

(Luigi, 42 anni, credente militante)

Per Luigi, è scontato che chi non muore in grazia di Dio, chi quindi, muore in peccato mortale senza essersi pentito e confessato, perirà all’inferno, inteso come “situazione di disagio eterno”. Sottolinea inoltre, che sia un grave errore ignorare o sottovalutare l’esistenza del male perché questo sminuirebbe il peso del peccato e la necessità del pentimento.

Altro elemento posto in essere da Luigi è la possibilità di percepire, i segni del destino dell’aldilà, già nell’al di qua, osservando, ad esempio, le circostanze in cui si muore. In questo Luigi, ci rimanda a Weber che ne

L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, insiste sull’importanza e sulla

forte influenza nella vita “mondana” dei segni dell’aldilà, seppur partendo da presupposti diversi ovvero quelli della predestinazione non chiamati in causa da Luigi che, invece, ritiene che tutti possano avere la possibilità di cambiare il proprio destino.

Si riconferma maggiore convinzione fra quanti hanno ri-elaborato la propria credenza, razionalizzandola e intellettualizzandola mentre, fra quanti non hanno attraversato questo percorso di razionalizzazione della fede, è emerso un più marcato scetticismo o una credenza abitudinaria mai messa in discussione ma mai confermata sulla base di un’intima convinzione personale.