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CAPITOLO QUINTO

5.4 La credenza religiosa e il post mortem

5.4.3 La credenza degli anzian

Fra gli appartenenti alla fascia d’età compresa fra i 66 e gli 80 anni, sono ancora i credenti praticanti e militanti a presentare maggiore convinzione rispetto all’esistenza di un’altra vita dopo la morte, a differenza di giovani e adulti, però, sono più conformi alla descrizione istituzionale classica delle dimensioni ultraterrene, si crede nell’inferno, nel purgatorio e nel paradiso, senza intraprendere contorti ragionamenti attraverso i quali tentare di costruire un’immagine dell’aldilà secondo percezioni, speranze o attese elaborate secondo più o meno accentrati livelli di libertà della dottrina.

Angela abbraccia fedelmente la visione istituzionale:

Certo, certo... io ci credo, ne sono certa, Dante ce li ha descritti ma poi sappiamo dei veggenti di Fatima o anche di quella ragazza di Mirto Crosia che ha avuto un’apparizione e la Madonna gli ha fatto vedere l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso... e quando ha visto l’Inferno piangeva proprio disperatamente...

(Angela, 79 anni, credente praticante)

L’idea che esista l’inferno non è messa da parte, Angela ci crede basandosi su quanto rivelato da alcune presunte apparizioni mariane che

185 avrebbero messo in condizione di vedere con i propri occhi le dimensioni ultraterrene verso le quali la chiesa cattolica ci dice che camminano gli uomini e dalle quali quella che più rimane impressa, non a caso, riguarda proprio l’inferno, descritto come un posto spaventoso.

Come Angela, anche Eugenio, è legato alla credenza tradizionale dettata dalla dottrina cattolica:

Sì, se uno ha fede... deve credere per forza, se non ha fede allora non crede nemmeno nell’inferno e nel paradiso, io credo come tutti quelli che devono credere, chiaramente se io credo a San Francesco, se credo a Gesù Cristo, se vado a messa...vuol dire anche che credo al paradiso e pure all’inferno per questo cerco di comportarmi in un certo modo e di chiedere perdono quando sbaglio... perché ci credo e per cercare di fare la volontà di Dio.

(Eugenio, 78 anni, credente praticante)

Affermare di avere fede significa anche dover credere nell’al di là e

dover orientare i propri comportamenti in base a questa credenza.

Secondo Eugenio si tratta di un dovere che, in un certo senso, chiude gli spazi al self service religioso per affermare un concetto di appartenenza che va oltre visioni e aspettative personalmente elaborate.

Credere nel Paradiso spinge a comportarsi meglio ma allevia anche le paure derivanti dal pensiero della morte:

Sì, certo...io ci credo... davanti a Dio è meglio arrivarci in pace che... la morte è uguale per tutti, per chi ha soldi e per chi non ne ha... è la stessa per chi ha un patrimonio in banca e per chi, invece, non ha una lira, anzi ha pure qualche debito, però non è la stessa per chi ha Dio nel cuore e per chi non ce l’ha! È diverso... ci si arriva diversi, poi, chissà... magari, Dio ci perdona tutti... però, io credo che dopo la morte si raggiunge Dio e ci voglio arrivare come si deve al suo cospetto... per questo è importante confessarsi, fare la comunione ed essere sempre vigili... e allora con la fede nel cuore, nemmeno la morte ci può fare così tanta paura, o no?

(Salvatore, 66 anni, credente militante)

La possibilità che, “magari, Dio ci perdonerà tutti” non è sufficiente, secondo Salvatore per lasciarsi andare e comportarsi come meglio si crede. Di fronte alla morte tutti saremo sullo stesso livello, l’unica differenza sarà data dall’avere o meno “Dio nel cuore”, questo elemento consente di star bene finché si è in vita e permette anche di non avere troppa paura rispetto alla morte. È posta l’attenzione sulla valenza normativa della fede, messa in luce anche da alcuni giovani e adulti, per cui avere fede costituisce un utile deterrente di fronte alla possibilità di compiere azioni ritenute poco confacenti alla “volontà di Dio”, oltre che una spinta a restare “sempre vigili” per non perdere l’opportunità della grazia che passa, secondo l’intervistato, attraverso le proprie azioni e i sacramenti.

Credere nell’aldilà è quasi scontato anche per Antonietta:

Sì, certo... io so, io ci credo, altrimenti non saremmo cristiani... se Gesù è morto in croce e ha detto che ci avrebbe conservato un posto, io ci credo che ci sarà un’altra vita! Altrimenti su questa terra saremmo come gli animali! Anzi a me dispiace per quelli che non ci credono... perché vivono

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così, senza una meta o una speranza... Gesù Cristo è venuto ed ha cambiato il mondo e ci ha detto: “Sarò con voi fino alla fine del mondo” e allora cosa significa che alla fine anche i nostri corpi resusciteranno e, se non avessimo questa fede, non penso che potremmo essere... soddisfatti, insomma, contenti... la gioia viene proprio da questa speranza che ci dà la fede che, ha detto il papa ieri, non è un’illusione, non è un’illusione che noi raggiungeremo il Signore in cielo, Lui ce lo ha detto e questa è la realtà.

(Antonietta, 75 anni, credente militante)

È proprio la credenza nell’aldilà che dà senso alla propria esistenza e non ci sarebbe fede se non ci fosse la convinzione che quanto promesso da Cristo e predicato dalla Chiesa è vero. Citando il Vangelo e ricordando le parole del papa, l’intervistata esprime una credenza fondata su un approfondimento personale che fa sì che dalle sue parole emerga una certa conoscenza religiosa e non solo una credenza tradizionalmente acquisita. Antonietta si esprime anche sulla posizione di chi non crede, ritenendo che senza la speranza dell’eternità non si possa vivere sereni nemmeno in questa vita.

Nel caso di Patrizia, 68 anni, si torna a ribadire la credenza nel paradiso ma non quella nell’inferno, basandosi ancora sull’idea di un Dio misericordioso e di un uomo libero di scegliere verso che direzione incamminarsi:

Sì, sì... io credo in un’altra dimensione, credo che non possa finire tutto qui... non avrebbe senso... ma faccio fatica a immaginare l’Inferno... non so perché, non dico che il male resterà impunito... ma immagino la Misericordia di Dio come qualcosa dalla quale nessuno può venire escluso... forse solo chi la rifiuterà di propria volontà ne rimarrà fuori… ma non so... forse l’Inferno lo si sceglie e il Paradiso anche... non so... sicuramente c’è qualcosa ma non so come definirlo, sicuramente l’incontro con Dio, la pace, si... questo per me è il Paradiso...

(Patrizia, 68 anni, credente praticante)

Della stessa idea è Franca, 68 anni:

Sì, certo... già è presente su questa terra, dove ti rendi conto di com’è breve la vita e che devi spenderla bene per poterne avere una migliore dopo la morte... per poter raggiungere Dio in uno stato di grazia... ma già da come viviamo noi sappiamo se stiamo costruendo per il Paradiso o per l’Inferno, dobbiamo scegliere noi, Dio ci lascia liberi, credo che Lui vorrebbe che tutti fossimo salvi ma ci lascia liberi di scegliere.

(Franca, 68 anni, credente militante)

Emerge la sicurezza che si sia in grado, momento per momento, di fare un bilancio su come si sta vivendo, da questo conseguirebbe la certezza di una conoscenza chiara del proprio percorso di salvezza. Alla base la convinzione di una certa consapevolezza rispetto a ciò che è bene e ciò che male, rispetto alla capacità individuale di sapere se si sta “costruendo per il paradiso o per l’inferno”.

Più controverso è il discorso di Filippo, 80 anni, credente praticante che, autodefinendosi, un tipo estremamente razionale, abbraccia totalmente l’etica e i principi cristiani fondati sull’amore e sul perdono ma preferisce

187 non sbilanciarsi in merito a dimensioni altre sulle quali non ritiene di avere prove tangibili:

Ti posso dire che ci credo... che ci credo per tradizione... ma dal punto di vista della logica umana il problema sarebbe talmente insuperabile che preferisco non pormelo... credo perché mi è stata data questa impostazione, credo nella bontà di questa religione e credo che Cristo è stato Dio, se non Dio il figlio di Dio, io ci credo, anche perché non ho la prova contraria...

(Filippo, 80 anni, credente praticante)

Filippo dà delle motivazioni alla sua credenza descrivendola, per dirla con Weber, come agire tradizionale, dove la razionalità del proprio credere si fonda sulla tradizione ritenuta valida e autorevole, essendo costituita di tutti quegli insegnamenti che ha ricevuto e nei quali ripone fiducia. Crede nella divinità di Gesù Cristo ma reputa la credenza nell’aldilà come qualcosa di “insuperabile dalla logica umana” e che, nella sua esperienza, trova legittimità nella tradizione.

Ciò che ci ha incuriosito durante l’intervista al sig. Filippo è la forte commozione espressa nel raccontare i suoi incontri con Natuzza e Padre Pio da Pietralcina, seguita da questa “cautela” rispetto alla credenza nell’aldilà. Riguardo all’esperienza relativa a questi incontri eccezionali ha, infatti, precisato:

I miei incontri con Padre Pio, con Natuzza... mi hanno fatto pensare positivamente rispetto all’aldilà, ma non è che mi hanno dato la prova provata... però non ho nemmeno la controprova e, quindi, diciamo, che in dubbio credo... da loro ho appreso l’essenza del cristianesimo e la grandezza che se ne ricava nell’applicare i suoi punti essenziali nella vita... poi, se ci sarà un’aldilà, credo che verrò giudicato in base a come mi sono comportato, per il modo in cui ho vissuto e non per aver creduto incondizionatamente senza pormi nemmeno qualche dubbio...

(Filippo, 80 anni, credente praticante)

Non c’è una prova tangibile, ma “nel dubbio” decide di credere. Da quegli incontri Filippo non ha ricavato una credenza incondizionata, piuttosto ha scoperto l’importanza di vivere secondo i principi cristiani. Natuzza Evolo o Padre Pio non sono ritenuti santi a cui rivolgersi o ai quali chiedere protezione, essi rappresentano modelli di vita esemplari. L’esperienza di Filippo è, certamente, diversa rispetto a quella dei suoi “coetanei”, durante il corso di tutta l’intervista si è presentato come credente consapevole e attento, distaccato dai condizionamenti istituzionali e tradizionali, personalmente convinto della sua religiosità che, acquisita in età matura e razionalmente interiorizzata, rappresenta il suo orientamento di vita, a prescindere dai risvolti trascendenti che essa può avere.

Lo scetticismo in merito a questa questione è più evidente fra i non praticanti, anche se si attenua rispetto a quanto affermato da giovani e adulti non praticanti. Fra gli anziani intervistati, la meno convinta è Lucia che afferma:

Non ti posso dire né che ci credo, né che non ci credo... non so cosa ci aspetterà dopo, questo non lo so e penso che nessuno lo sappia, non è mai stato toccato con mano da nessuno, non lo sappiamo se non per le Scritture

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antiche che ci sono, questo Paradiso c’è? Questo Inferno c’è? Non lo sappiamo...

(Lucia, 69 anni, credente non praticante)

Come Filippo, anche Lucia preferisce lasciare il beneficio del dubbio non avendo a disposizione una prova concreta di quel che sarà. Nel caso di Giancarlo, invece, non è messa in discussione l’esistenza di una dimensione altra, i suoi interrogativi riguardano, piuttosto, il tipo di realtà che ci sarà, qualcosa in cui si crede pur apparendo come misteriosa e irraggiungibile razionalmente, qualcosa che andrà sempre estremamente al di sopra di ciò che le facoltà umane riescono ad immaginare:

Si credo che ci sarà qualcosa ma non sappiamo come si spiritualizza la materia e, quindi, non so... come sarà, come avverrà... ma ritengo che non sia dato a noi di saperlo, credo che ci sarà giustizia... non so se è il caso di parlare di inferno e paradiso, comunque, presumo che buoni e cattivi avranno il posto che avranno meritato... no? Poi, magari, l’inferno c’è ma, può darsi che nessuno ci è mai finito... spero che non esistano persone così cattive! (sorride)

(Giancarlo, 72 anni, credente non praticante)

Il fatto di non sapere cosa ci sarà e come sarà, per Giancarlo, non è fonte di dubbi, si tratta, essenzialmente, di una conseguenza del limite dell’uomo al quale non è dato di conoscere ogni cosa. L’intervistato parla del paradiso come di un posto, dove si “spiritualizza la materia”, dove, cioè, ogni cosa diventa pura. Non esclude l’esistenza dell’inferno, augurandosi tuttavia che nessuno ci andrà mai a finire, ironizzando sul fatto che per arrivare lì bisognerebbe essere veramente malvagi, l’auspicio di Giancarlo è che non esistano individui così “cattivi” da meritare quel posto.

Fra i non praticanti anche Sara afferma con una certa sicurezza di credere nell’aldilà:

Si, io ci credo... guarda, io non vado in chiesa però ho molta fede, davvero... perché... ci sono delle cose ma… ci sono delle cose che io non ho mai raccontato a nessuno... io ho sentito ed ho visto delle cose dopo la morte di mio marito e credo molto di più, mentre prima credevo nell’aldilà così... tanto per dire, per una speranza... poi ho avuto dei segni particolari che mi hanno dato la prova che qualcosa davvero c’è... Io ho sentito sempre mio marito vicino, proprio il suo respiro, cioè… è una cosa che non so spiegare... io sento la sua presenza... prima pensavo che il paradiso era in cielo, invece no, loro vivono qui, proprio in mezzo a noi, non li vediamo ma ci sono... e ho avuto dei segni proprio… non lo so spiegare... ma dopo la morte di mio marito ci credo molto di più... è una cosa che io la sento ma se mi domandi come non te lo so dire, no... però c’è davvero l’aldilà... io una volta non dicevo davvero che c’era… lo dicevo tanto per dire, invece, adesso ti dico che c’è e te lo dico davvero!

(Sara, 70 anni, credente non praticante)

La credenza di Sara non trova fondamento nel catechismo, piuttosto è attribuita ad un’esperienza intima e personale, legata alla morte di suo marito in seguito alla quale la credenza nell’aldilà si fa più forte. L’intervistata afferma di averci sempre creduto, anche solo per avere una speranza ma di

189 essere diventata certa da quando è rimasta vedova. Da quel momento dice di credere realmente nell’aldilà, immaginandolo come dimensione invisibile ma reale proprio sulla terra, fra i vivi e non in separata sede, non in cielo ma in terra. Si tratta di un’aldilà che è l’al di qua, non sono due dimensioni separate ma due dimensioni fuse insieme che le permetterebbero di sentire e percepire la presenza del marito già da adesso.

Nel descrivere il fondamento della sua credenza, l’intervistata ribadisce il proprio “status religioso”, precisando di non frequentare la chiesa ma di avere molta fede, di essere, effettivamente, una credente non praticante e non una credente disincantata come è emerso dall’analisi di altre testimonianze, in special modo fra giovani e adulti, più portati alla problematicità, alla messa in discussione e alla presa di distanze con l’esito finale di un accentuato individualismo religioso.

In conclusione, emerge una differenza sostanziale tra i non praticanti delle generazioni considerate. Mentre fra giovani e adulti è, spesso, messa in discussione l’esistenza di una dimensione ultraterrena, fra i non praticanti anziani, resistono alcuni elementi tradizionalmente cattolici che non sono messi in discussione e che sono del tutto indipendenti rispetto alla scelta di non partecipare alla vita di chiesa. Berger definirebbe questo legame alla tradizione tipico della religiosità “deduttiva”295 dove si mantiene e si

riafferma la tradizione religiosa di fronte ai cambiamenti della modernità.