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CAPITOLO QUINTO

5.5 Quale ruolo per la chiesa cattolica?

5.5.2 L’idea istituzionale degli adulti.

La visione “giovanile” si riferisce, spesso, a una chiesa che dovrebbe essere più concreta e testimone, una chiesa, cioè, che dovrebbe essenzialmente “dare l’esempio” dal suo modo di apparire, alle opere di carità e di evangelizzazione oltre che dare regole e risposte “credibili”, nella

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misura in cui essa stessa mostri coerenza rispetto a quelle regole e a quelle risposte.

Si tratta di un’opinione emersa anche dalla testimonianza di diversi adulti, è il caso di Carla, 54 anni, non praticante:

La chiesa nella società dovrebbe essere più presente, soprattutto per le persone che hanno bisogno... ora ti faccio un esempio che… allora: la città del Vaticano è ricca, ha soldi... parlano tanto di fame nel mondo... ma spogliatevi, spogliatevi! Non dico che tutta la fame del mondo voi la potete fare finire, però un buon aiuto si può dare! Se tu quell’oro non te l’eri messo addosso... può darsi che quell’oro poteva servire per, e la stessa cosa... io penso che loro siano molto più materiali rispetto ad altra gente... sono molto materiali... perché la chiesa si sa, io ho letto tanti libri e... si sa che la chiesa... cioè i papi sono stati delle persone... alcuni proprio… avevano solo fame di potere e fame di... materiali... non erano... perché credevano, perché erano papi e questo... quindi... da che mondo e mondo, la chiesa è sempre stata un’egemonia che ha... che ha fatto solo per avere, ecco, pure questo a me, a volte, mi impedisce di essere più vicina.

(Carla,54 anni, credente non praticante)

È ribadita la ricchezza del Vaticano ritenuta sinonimo di scarsa sensibilità a problematiche sociali gravi come la fame del mondo.

A criticare il modo di apparire delle alte cariche ecclesiastiche è ancora una non praticante e, spesso, la lontananza dalla chiesa, trova giustificazione proprio in questi elementi percepiti come fattori di incoerenza e ipocrisia dai quali conseguirebbe il rifiuto di una religiosità “istituzionale” e la scelta di una religiosità privata e self service.

La lontananza dall’istituzione è spesso correlata ad una non condivisione di comportamenti e di decisioni, quindi, da una mancanza di fiducia nel ruolo strettamente clericale, utile a tal proposito la testimonianza di Gina, 39 anni:

La chiesa, i preti... per me qualsiasi cosa fanno... cioè... non è quella figura... cioè, per me Dio dovrebbe scendere qua e allora lo seguirei... quindi... o il papa o i preti... per me non sono figure da seguire, io... per televisione ne senti di tutti i colori, preti pedofili o che rubano... io non mi fido, non credo in loro, quindi... sono più una cattolica... autonoma...

(Gina, 39 anni, credente non praticante)

L’essere “autonoma” è rappresentata come la conseguenza di una mancata fiducia nell’istituzione e nelle persone consacrate in generale, tuttavia, più che una condizione individuale è una condizione sociale, una caratteristica tipicamente moderna. Si tratta di quell’aspetto della secolarizzazione che conosciamo come de-istituzionalizzazione303 caratterizzato da una religiosità strettamente individuale e personale che rappresenta un universo simbolico di riferimento utile a ridurre le paure derivanti dalle domande ultime sulla vita, la sofferenza e la morte. È una religiosità fuori dalla chiesa che, da un lato, libera l’individuo da tanti vincoli ma che dall’altro sgretola il pilastro di coesione e identità sociale su cui le

303 T. Luckmann, Fine della religione istituzionale e religione invisibile, in Acquaviva, Guizzardi, op. cit. pp. 133-134

199 società per molto tempo reggevano la propria unità. Ciò che i classici presagivano agli albori della modernità è ciò che accade nella società contemporanea dove, come insegnatoci da Berger, la scelta individuale diventa una libertà ma anche un obbligo, un imperativo che potrebbe sovraccaricare l’individuo di responsabilità.304

Sull’odierna libertà di scelta come rischio per gli uomini d’oggi, riflette, in particolar modo, uno dei nostri intervistati, Francesco, cinquantenne non praticante:

Oggigiorno tutti hanno la possibilità di scegliere, ognuno è più libero di scegliere cosa fare e cosa credere... che è un bene, certamente, però si cresce senza quell’unità... quella come dire... si è più soli, io mi sento più solo e vedo più soli i miei figli rispetto a quando ero ragazzino io... noi eravamo educati in parrocchia... oggi deve fare tutto la famiglia... ma anche quella si sgretola oggi e, quindi, capisci che sono tante le problematiche su cui dovremmo riflettere... potremmo stare qui fino a domani mattina...

(Francesco, 50 anni, credente non praticante)

Francesco descrive la situazione in cui si trova l’uomo d’oggi. È ciò che accade all’individuo moderno, disincantato per Weber, blasè per Simmel: diventa più razionale e calcolatore, si svincola dai condizionamenti delle società tradizionali ma, allo stesso tempo, ne perde la protezione rimanendo solo di fronte alle responsabilità delle proprie scelte. In questo senso, la maggiore libertà offerta non corrisponde necessariamente a maggiore felicità e autorealizzazione, piuttosto essa produce nuovi problemi, pone nuove questioni ad un soggetto che potrebbe smarrirsi di fronte ad infinite possibilità, assunto che al momento della scelta, come sottolinea Berger, corrisponde sempre una perdita, un dover selezionare scegliendo qualcosa e perdendone un’altra. In questo delicato processo l’individuo è solo e questa sua solitudine potrebbe portarlo allo smarrimento nei termini descritti da Durkheim, prendendo in esame le estreme conseguenze che potrebbe avere l’individualismo moderno nella vita individuale e collettiva.

In questo contesto di “disgregazione” sociale ciò che la chiesa dovrebbe fare, secondo Francesco, è fortificare l’accoglienza, soprattutto delle nuove generazioni, ricostruire le basi per offrire unità e certezze. Francesco è un non praticante, la sua critica verso l’istituzione è dovuta, anche in questo caso, ad una mancanza di fiducia nei sacerdoti, tuttavia, ritiene che gli ambienti parrocchiali, se ben gestiti, sarebbero molto utili nella società e, soprattutto nella formazione dei giovani riconoscendo la necessità, non tanto di avere un fede comune, quanto quella di condividere norme e valori promuovendo una convivenza e un’integrazione sociale migliore:

Preti già non ce ne sono, poi trovi uno che nemmeno ti accoglie e che più che un prete sembra un despota... allora come puoi sperare che i giovani, ma io stesso o chi come me, si avvicinino alla chiesa? In più con tutte le distrazioni e le possibilità che ci sono oggigiorno? Un uomo di fede, un prete non può essere... accentratore, autoritario... nella fede ci deve essere umiltà, perché se sei autoritario dai un brutto esempio ai giovani e poi i giovani non si avvicinano se non vedono in te una figura... quella del

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prete deve essere una figura che ti trasporta, che ti trasmette qualcosa di umano, qualcosa di... cioè, capito che voglio dire? Ma oggi io preti così ancora non ne ho visto... vedo solo preti anziani e per un giovane, a meno che non gli appare in sogno Padre Pio o San Francesco o la Madonna è difficile che decida di farsi prete...

(Francesco, 50 anni, credente non praticante)

C’è una ferma critica all’autorità religiosa. Francesco è alla ricerca di una chiesa più carismatica, dove l’uomo religioso deve incarnare quelle doti tipiche del leader cari mastico descritte da Weber: “deve trasmettere qualcosa, deve trasportare”. L’assenza di queste caratteristiche nei preti incontrati rappresenta un allontanamento da tutta l’istituzione e una sfiducia generale rispetto agli uomini di chiesa.

Questa mancanza di fiducia, tuttavia, non è descritta come rigida presa di posizione, essa è vissuta come un handicap sociale, come un fattore di disgregazione e di perdita di punti di riferimento stabili:

Bisogna difendere e ritrovare un’identità cristiana. La Chiesa deve impegnarsi in questo, creare un’identità cristiana, cioè, creare quelle premesse per cui la gente prende coscienza di quello che è stato, effettivamente, il sacrificio di Gesù Cristo… non so se rendo... cioè… non ne deve parlare solo sporadicamente... a Pasqua e a Natale... per uno che non frequenta la chiesa, rimane ignaro... noi, popolo di cristiani, popolo di cattolici... siamo destinati a scomparire... perché fra non molto le altre religioni prenderanno il sopravvento perché… tra il fanatismo che fomenta certe situazioni... tra il fatto che il cattolicesimo non ha la presa che aveva un tempo... io per identità questo intendo: rafforzare e divulgare di più la parola di Dio, anche nelle scuole... bisognerebbe fare qualcosa per ridare alla gente quella fiducia che no ha più nella chiesa...

(Francesco 50 anni credente non praticante)

Francesco ritiene responsabili della sua disillusione e della lontananza delle nuove generazioni dalla religione, da un lato, la chiesa stessa, che non sa comportarsi accogliendo chi ha bisogno, né mostrando quell’umiltà e quel carisma necessari per essere credibile, dall’altro, lo Stato che dovrebbe dare maggiore importanza alla Chiesa, così da renderla rispettabile agli occhi dei giovani incidendo notevolmente su quell’identità cristiana che bisognerebbe difendere, rappresentando ciò che Durkheim chiamerebbe “fondamento morale” della nostra società. Da un lato Francesco critica l’autorità religiosa, dall’altro rimpiange quegli anni in cui essa costituiva un punto di riferimento intorno al quale ritrovarsi e riconoscersi.

Secondo questa visione, oggi, “il messaggio religioso può essere un’importante risorsa di senso per una modernità avanzata che sembra aver perso i riferimenti fondanti”.305

Anche nelle parole di Teresa, praticante, si tratta, fondamentalmente, di un problema di identità culturale e sociale che la chiesa deve preoccuparsi di mantenere e difendere:

É importante che la chiesa si faccia sentire... che ci dia i suoi insegnamenti e ci faccia conoscere il vangelo... per vivere meglio ma