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CAPITOLO SECONDO Modernità e secolarizzazione

2.1 La società moderna: le teorie classiche

Approcci teorici come quelli di Durkheim, Weber e Simmel rappresentano spesso un punto di partenza per ogni tipo di studio sociologico. A questi autori si deve la capacità di lettura delle caratteristiche delle società tradizionali, dello sviluppo di quelle moderne, inoltre, la loro analisi non si limita a definire, interpretare e spiegare la società solo fino al punto in cui hanno vissuto. Essi, infatti, sono riusciti a cogliere alcuni tratti specifici della società in cui oggi noi viviamo e che loro, in un certo senso avevano presagito. Società post moderna, post tradizionale, società del rischio, della modernità avanzata, società globale, seconda modernità… Questi sono solo alcuni dei numerosi e variegati modi in cui molti autorevoli studiosi tentano di nominare l’epoca contemporanea.90

Il mancato accordo su come definirla, pone in essere alcune caratteristiche peculiari: alcuni la indicano come una nuova epoca, altri ritengono sia l’ultima o una delle ultime fasi della società moderna. Ciò che è certo è che si tratta di una società caratterizzata da cambiamenti globali, atteso che essi coinvolgono ogni ambito della società, sia a livello macro sia a livello micro-sociale.

Nel testo La Modernizzazione, Alberto Martinelli tiene distinti il concetto di modernizzazione e quello di modernità. Nello specifico egli afferma: “Per modernizzazione intendiamo l’insieme dei processi di cambiamento su larga scala mediante i quali una determinata società tende ad acquisire le caratteristiche economiche, politiche, sociali e culturali considerate proprie della modernità”.91

La modernizzazione quindi, implica la modernità, intesa come “un processo senza fine che implica l’idea dell’innovazione permanente, della continua creazione del nuovo. Vive nel presente ed è orientata al futuro, promuove l’innovazione ed è avida di novità; ha inventato, come osserva Kumar, la tradizione del nuovo”.92 Essa rappresenta le caratteristiche assunte dalla vita sociale in seguito ai processi di modernizzazione.

Il periodo storico indicativo con il quale si fa iniziare l’epoca moderna risale alla fine del ’700, quando la rivoluzione francese prima e la rivoluzione industriale dopo, scardinano la società feudale, diffondendo la fiducia nell’uomo e nel progresso. “Se la Rivoluzione Francese ha dato alla modernità la sua forma e coscienza caratteristica, basata sulla ragione, la rivoluzione industriale le ha conferito la sua sostanza materiale”.93

90A tal proposito cfr. A. Giddens, Il mondo che cambia, Il Mulino, Bologna, 2000; Z. Bauman, La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna, 1999; U. Beck, I rischi della

libertà. L’individuo nell’epoca della globalizzazione, Il Mulino, Bologna, 2000.

91

A. Martinelli, La Modernizzazione, La Terza, Roma-Bari, 2000, p. 3 92 Ibidem, p. 6

Alcuni aspetti essenziali del processo di modernizzazione che possono estrapolarsi dalle teorie classiche sono: lo sviluppo della scienza e della tecnologia; l’industrializzazione, l’affermarsi di un mercato capitalistico globale; la differenziazione strutturale e la specializzazione funzionale delle diverse sfere della vita sociale, dalla divisione sociale del lavoro alla separazione tra sfera pubblica e sfera privata; la secolarizzazione.94

Sono moltissimi gli autori che hanno ragionato e continuano a ragionare su modernità e modernizzazione, esponendo analisi e teorie, a volte anche in contrapposizione.

Fra i classici ci sono i sostenitori della teoria dicotomica e quelli della teoria evoluzionista.

I primi sostenevano che società tradizionali e società moderne fossero due tipi di società con caratteristiche contrapposte, l’una presupporrebbe l’esclusione dell’altra. Secondo la visione unilineare, invece, il passaggio dalle società tradizionali a quelle moderne (dove modernità=occidente), sarebbe avvenuto attraversando fasi evolutive specifiche e prefissate che, prima o dopo, avrebbero riguardato ogni società. “Sostenitori” dell’approccio unilineare o evoluzionista sono fra gli altri, come sottolineato da Martinelli, Comte, Spencer, ma anche Durkheim. Nella visione dicotomica rientra l’analisi teorica di Talcott Parsons che nel suo strutturalfunzionalismo inseriva le note pattern variables, per indicare proprio le caratteristiche della società tradizionale (ascrizione, specificità, affettività, particolarismo) e le rispettivamente opposte caratteristiche della società moderna (realizzazione, diffusione, neutralità affettiva, universalismo)95: più brevemente tradizione

versus modernità e viceversa.

Le teorie classiche furono criticate e messe in discussione, per non aver considerato il valore che in alcuni casi la tradizione può avere anche nel mondo moderno e per non aver considerato il ruolo decisivo che la diversità di contesti e di caratteristiche, la diversa storia di ogni società, possono avere in quel cammino unilineare verso la modernità di cui parlavano gli evoluzionisti.

In tal senso, S.N. Eisenstadt, sottolineò come tradizione e modernità possano coesistere, in un rapporto di complementarità e non di contrapposizione e come, non necessariamente, l’una debba escludere l’altra. Ciò che permetterebbe ad una società di progredire, secondo la visione di Eisenstadt, sarebbe proprio la capacità di trovare un equilibrio tra vecchio e nuovo, di assorbire quegli elementi moderni, compatibili con le situazioni preesistenti e di riconoscere quali sono gli elementi della tradizione che possono costituire risorse per il presente.96 La tradizione qui, non è vista con negatività come elemento da superare, piuttosto essa rappresenta una risorsa. Allo stesso tempo, gli elementi tradizionali non devono rigidamente cristallizzarsi nel passato, ma devono essere rielaborati, riformulati alla luce dei cambiamenti sociali

Ogni gruppo, ogni istituzione, ogni società, per consolidarsi deve rispettare ciò che c’era prima e, dopo essersi consolidato, dopo aver costruito

94 Cfr. Ibidem, pp. 11, 12 95 Cfr. Ibidem, pp. 32-36 96

Cfr. S.N.Eisenstadt, Civiltà comparate. Le radici della modernizzazione, Liguori, Napoli, 1990.

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la propria storia e le proprie tradizioni, per continuare a vivere, deve aprirsi e non chiudersi agli elementi innovativi che si presenteranno.

Eisenstadt prende le distanze dalle teorie dicotomiche restituendo al concetto di tradizione una valenza positiva e si contrappone, inoltre, alle teorie evoluzioniste, formulando il concetto di “modernizzazione variabile“ che “si fonda sul riconoscimento tanto dell’unicità della civiltà moderna e della sua componente di sviluppo economico, quanto dalla grande variabilità delle risposte simboliche ed istituzionali date dal suo diffondersi, dalla variabilità dei modi in cui società diverse danno vita a differenti modelli simbolici e istituzionali moderni, a differenti dinamiche moderne”.97 La modernizzazione, quindi, non è un processo che passa attraverso tappe progressive specifiche e inevitabili, per ogni contesto sociale, piuttosto essa si realizza e si presenta con tratti assai diversi a seconda delle caratteristiche storiche e socioculturali dei diversi contesti sociali.

Riflettendo su modernità e modernizzazione, fra i classici della sociologia non può sicuramente rimanere in ombra il contributo offerto da Georg Simmel, che come sottolinea Jedlowski, “della modernità in quanto tale... è il primo e probabilmente più acuto interprete”.98

Nell’ottica di Simmel “la modernità è essenzialmente crisi permanente, non solo e non tanto perché si radica in processi che svolgono progressivamente tutti gli ordini sociali tradizionali, ma perché il mutamento in sé stesso è il suo principio. … La modernità è l’epoca in cui il mutamento si fa norma”.99

Per mettere in luce i tratti tipici della modernità, Simmel distingue fra comunità e società, intendendo per comunità (gemeinschaft) un piccolo centro coeso e stabile e per società (gesellachaft) un grande centro instabile e differenziato. Differentemente da Tönnies egli non fa una valutazione sulla positività dell’una o dell’altra tipologia, il suo obiettivo è piuttosto quello di osservare in che modo variano la vita e i tratti distintivi dell’individuo nell’uno o nell’altro contesto. In particolare, l’attenzione di Simmel è rivolta al modo in cui muta l’esperienza umana all’interno della gesellachaft.

Se l’analisi di Simmel, come vedremo di seguito, è rivolta all’esperienza individuale nella modernità in genere e, soprattutto, in riferimento agli effetti dell’economia monetaria, gli altri due pilastri storici della sociologia Max Weber ed Émile Durkheim, guardano alla modernità con un riferimento più specifico al mutato ruolo del sacro e delle credenze religiose nel mondo del razionalismo.

Weber e Durkheim, distinguono, rispettivamente, i concetti di comunità e associazioni e di società semplici e società complesse, e, in entrambi i casi il riferimento tipologico è mirato ad analizzare alcuni tratti distintivi dell’epoca moderna.

In Economia e Società, Weber definisce la comunità come quel tipo di relazione sociale “in cui la disposizione dell’agire sociale poggia... su una comune appartenenza soggettivamente sentita (affettiva o tradizionale) degli

97 Ibidem, p. 42, a tal proposito cfr. anche P. Fantozzi, Comunità, Società e Politica nel Sud

d’Italia, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1997.

98 G. Simmel, La metropoli e la vita dello spirito, intr., P. Jedlowski, Armando, 1995, p. 19 99 Ibidem

individui che ad essa partecipano”100. Per associazione, invece, s’intende quel tipo di relazione sociale in cui “la disposizione dell’agire sociale poggia su una identità di interessi motivato razionalmente (rispetto al valore o rispetto allo scopo)”.101

Durkheim, invece, distingue fra società semplici e società complesse. Nel primo caso c’è una bassa divisione del lavoro, quindi poca differenziazione e forte coesione sociale. Nel secondo caso, proprio delle società odierne, la differenziazione sociale è alta e la coscienza individuale sovrasta quella collettiva.

A caratterizzare le relazioni comunitarie, quindi, è l’appartenenza riferita a legami forti (familiari, culturali, religiosi), mentre, caratteristica delle relazioni associative è il legame d’interesse fondato sulla razionalità allo scopo e al valore. I legami associativi sono razionali, in essi il sentimento religioso si assopisce, ma ciò non esclude che di fronte a una crisi del modello societario esistente, la religione possa risvegliarsi. Nella società in cui oggi viviamo, in effetti, il tramonto del sacro non sembra essersi compiuto, la ricerca di valori nei quali riconoscersi collettivamente è assolutamente attuale e le chiese delle grandi religioni storiche sono quotidianamente impegnate nel fornire tali valori. La sola razionalità non è riuscita, finora, a rispondere ai bisogni e alle domande dell’uomo moderno, la religione, dunque, non è scomparsa dall’universo collettivo, resta presente, ma decisamente trasformata nella sua organizzazione e nella percezione che di essa hanno i singoli soggetti.