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CAPITOLO QUINTO

5.4 La credenza religiosa e il post mortem

5.4.1 La credenza dei giovani.

Fra i giovani, a prescindere dall’argomento trattato, persiste un percorso introspettivo importante che testimonia una certa riflessività in merito alla ricerca di una verità che si vuole trovare e far propria in modo consapevole e non solo come dato acquisito. È così anche rispetto alla riflessione sull’eventuale esistenza della vita eterna:

Io penso che c’è e che non sia tutto così schematico: San Pietro con la calcolatrice che ti dice: “Elisa, vediamo a quanti punti sei e ti dico dove devi andare”… sono un po’ confusa sui meccanismi... della graduatoria con cui puoi entrare o no... però, sicuramente, non funziona secondo i nostri metri di giudizio... ma sono convinta che ci sia perché… perché… perché ho fatto delle esperienze che mi hanno fatto capire che c’è... per esempio, parlavo della morte di mio cugino… uhm… per esempio, gli sguardi delle persone che muoiono... perché capita che abbiano uno sguardo così sereno d fronte ad un evento come la morte... pensare di stare per morire... perché il più delle volte ce ne si rende conto… avere quel tipo di serenità non è, sicuramente, una cosa che si può spiegare... cioè, avere la consapevolezza che stai per morire ed avere quel volto così sereno, secondo me, è testimonianza anche che qualcosa c’è e che è una cosa bella che è difficile anche da comprendere, perché se noi pensiamo alla fine della vita… non è che anche noi che siamo così cristiani, non è che siamo così entusiasti da dire: Ah! devo morire, che bello!” (sorride), però ci credo... non sono come quei grandi che dicono: “Voglio morire per andare vicino a Dio...” questo no, però ci credo che c’è e che non deve essere una cosa così spiacevole

(Elisa, 25 anni, credente militante)

173 Elisa ci crede ma della sua credenza vuole darci una motivazione, affermando che ci sono stati eventi che l’hanno convinta che ci sia qualcosa dopo la morte, il suo riferimento è al modo in cui alcune persone muoiono, alla serenità che esse esprimono. Ciò che colpisce è proprio il voler dare una spiegazione, il voler dire perché, così da descrivere la sua credenza come razionale e non semplicemente come convenienza di fronte al timore della morte.

Anche Chiara, 26 anni, non crede che tutto finisca con la morte, la credenza nell’adilà è presentata, anche qui, in modo ragionato ed essenzialmente come una scelta fra il bene e il male:

Io credo che ci sarà qualcosa dopo la morte, il nome non ha importanza: credo che ognuno di noi, in base alla propria storia, alle proprie origini, alla propria esperienza di vita abbia la possibilità di scegliere tra bene e male, ognuno sceglie dove andare, questo lo credo fermamente, non credo che Dio condanni nessuno, credo che siamo noi a scegliere, è come nella vita che viviamo qui in carne ossa: una scelta continua... paghiamo le conseguenze di ciò che scegliamo e soprattutto dei criteri con i quali scegliamo, delle motivazioni che ci portano a scegliere... sono buone o no? Dio legge i cuori degli uomini... non costringe nessuno, siamo liberi di vivere o morire... e la vita terrena, credo sia un assaporare, già nel quotidiano del bene e del male... li conosciamo entrambi poi dovremo scegliere... non so se mi sono spiegata.

(Chiara, 26 anni, credente militante)

Chiara esprime una convinzione ferma ed è centrale l’elemento della scelta. Emerge una visione “bergeriana”: la vita terrena è descritta come la possibilità di sperimentare bene e male per poi giungere alla scelta finale. In quest’ottica tutto è responsabilità dell’uomo, assunto che Dio, non vuole punire nessuno e che, quindi, vivere o morire è una scelta individuale e libera della quale Dio non ha responsabilità.

L’esperienza religiosa di Chiara e di Elisa è un’esperienza di costante vicinanza alla chiesa, alla pratica e all’attivismo, nonostante ciò la riflessione sull’aldilà, diventa strettamente personale, elaborata sulla base delle proprie esperienze, delle proprie convinzioni. Non è una credenza “classica” così come viene raccontata e descritta al catechismo, da quegli insegnamenti si parte per poi arrivare ad un’elaborazione interiore e individuale, dove l’idea è di un Dio che lascia liberi di scegliere e dove, quindi, la credenza nell’Inferno è messa da parte oppure è intesa come scelta individuale della morte e non come punizione divina. È la stessa opinione espressa da Giuseppe, 22 anni e da Marina, 24:

Credo nella vita dopo la morte e credo che ce la costruiamo su questa terra. Da quello che siamo stati e quanto di bene avremo fatto in questa vita tanto di meglio ne avremo nella vita dopo la morte... c’è d’altra parte il fatto che… credo fortemente nella Misericordia e a chiunque sarà data la possibilità di pentirsi sinceramente. Ho questa credenza che a me per primo come peccatore ma a tutti gli altri sarà data la possibilità per pentirsi e quindi per avere qualcosa di buono di certo... quindi credo nel Paradiso mentre l’Inferno, se c’è, me lo immagino spopolato perché nel momento in cui all’uomo verrà data la concreta possibilità di… perché forse è nella mancanza di concretezza che l’uomo non riesce a credere e nel momento in

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cui verrà una nuova sensibilità... gli occhi della coscienza verranno aperti a tutti e tutti riusciranno ad accogliere la fede nella propria coscienza, così credo che tutti si salveranno... Dio darà a tutti questa possibilità.

(Giuseppe 22, credente praticante) Io penso che ci sia un’altra vita... diversa da questa qui... in un’altra dimensione, in un’altra forma... però sì, la vita eterna dove credo... credo che Dio apra le porte a tutti e solo chi sceglie di non entrare resterà fuori.

(Marina, 24 credente praticante)

Nell’ottica di Giuseppe, chi non crede, non crede non per cattiveria ma perché non ha piena coscienza della fede, percependola come qualcosa di astratto e vanescente. Alla fine della vita, secondo il giovane intervistato, verrà data la possibilità di avere occhi nuovi attraverso i quali rendersi conto dell’esistenza di Dio, a quel punto nessuno se ne potrebbe allontanare e, quindi, tutti saranno salvi, considerando che la volontà di Dio è proprio quella di salvare e non di condannare. D’altro canto, secondo Giuseppe, è necessario costruire su “questa terra” qualcosa di ciò che ci attenderà. È insita anche l’idea del “premio” per quanto di bene si sarà fatto ma non prescinde dalla convinzione che a tutti darà data la concreta possibilità di essere salvati. Della stessa idea Marina che attribuisce all’uomo stesso la “scelta” di salvarsi o meno.

Non manca, comunque, qui crede nella “giustizia” divina e, quindi, nell’idea che alla fine, Dio dividerà i giusti dagli ingiusti salvando gli uni e punendo gli altri. A tale proposito Giulio dice:

…nella vita eterna si raggiungerà uno stato di felicità perfetta... perché magari… nella vita terrena ci saranno sempre dei momenti di difficoltà e di sofferenza... ma se questi momenti di difficoltà e di sofferenza vengono vissuti con amore possono darci tanto frutto e possono aprirci le porte del paradiso là dove saremo sempre felici, vivendo in comunione con Dio perché qui, nella nostra vita, noi siamo in pellegrinaggio, intravediamo la luce che viene dal paradiso però… è un cammino molto lungo e il bene supremo noi riusciremo a conseguirlo solo nel momento in cui noi lasceremo questo mondo ... Sicuramente ci sarà anche l’inferno perché Dio è sì misericordioso, Dio è amore ma è anche giudice... alla fine... coloro i quali avranno fatto soffrire le persone non siederanno alla stessa mensa, per una questione di giustizia, se una persona soffre in questa vita a causa della malvagità degli altri, ha diritto poi di essere felice... ma anche le persone che hanno fatto del male hanno diritto di essere salvate fino alla fine però se poi si muore in uno stato di impenitenza finale allora queste persone avranno deciso di spendere tutta la loro libertà non per seguire Dio ma per seguire l’Anticristo, per seguire l’antagonista di Dio, il Diavolo, il Male come vogliamo chiamarlo.

(Giulio, 25 anni, credente militante)

La riflessione di Giulio è, forse, più ortodossa: egli mette in campo il dolore e la sofferenza terrena che hanno un senso proprio proiettandosi nella credenza della felicità perfette che attende gli uomini in Paradiso. Sottolinea la contrapposizione tra bene e male, tra Cristo e il suo antagonista, il Demonio. In questa contrapposizione l’uomo può scegliere chi seguire, Dio offre la possibilità di pentirsi anche ai malvagi ma se questo pentimento non

175 sarà sincero e reale fino a che saranno in vita, dopo il Dio della Misericordia, diventerà Dio della Giustizia accogliendo in Paradiso quanti lo hanno seguito e rifiutando quanti, invece, lo hanno “osteggiato”. Anche Gennaro, 22 anni, non praticante immagina che ci sia l’inferno o, comunque, una dimensione altra che separi i buoni dai cattivi:

Nella vita dopo la morte... e sì, bisogna crederci, come fai a vivere se non credi che sia qualcosa al di là di questo mondo? E poi deve esserci, sì, fondamentalmente suppongo di si, spero di si, altrimenti a che pro uno si comporta sempre in maniera corretta? Ci sono così tante ingiustizie nel mondo... spero che sia un premio per chi non ha mai fatto del male... però non ne sono convinto...infatti è meglio se non ci penso se no vado in crisi.

(Gennaro, 22 anni, non praticante)

Rispetto a Giulio, Gennaro è meno sicuro: si augura che una vita obbediente alle indicazioni che la chiesa offre per ottenere la salvezza venga alla fine ripagata ma non ne è convinto. È una speranza intima sulla quale si preferisce non interrogarsi troppo per evitare di andare in crisi ma è proprio sulla base di essa che “il comportarsi bene” nella propria quotidianità ha un senso ultimo che va al di là di “questo mondo”. L’intervistato sembra diviso fra una parte che vorrebbe credere e sperare e un’altra che lo allontana da quell’idea della quale, però, sembra volersi convincere.

Credere che non tutto finisca con la morte è fonte di speranza e di sicurezza non tanto e non solo rispetto al pensiero della propria morte quanto della sofferenza di persone vicine:

Certo, sì che ci credo in una vita dopo la morte, ci credo molto… ed è una speranza sostanzialmente, la vedo come una speranza, come qualcosa da stare tranquilla, pensa che io non ho nemmeno paura di morire… cioè, il mio problema di morire non è che io muoia, è la sofferenza dei miei cari, quello mi fa stare in ansia… ma per me, a volte, penso che la morte sia un sollievo da un lato… perché comunque io ho già molte persone care che io penso che siano lì, per cui non ho una visone negativa della morte… nonostante i miei 28 anni, ho perso tanti ragazzi miei compagni, ragazzi della mia stessa età ed ho sempre affrontato… la morte come un trapasso verso una vita migliore e me li sento anche vicini infatti, li prego sempre, affinché veglino su di me, li vedo come tanti angeli nel cielo, insomma… non ho una visione negativa, anzi.

(Lella, 28 anni, credente praticante)

Avere la convinzione di una vita altra, abbassa l’ansia riguardo al pensiero della morte, riduce l’angoscia di fronte alla perdita di persone care, rassicura di fronte agli eventi negativi della vita. Quanto affermato da Lella è la perfetta sintesi della funzione sociale della credenza così come teorizzata dai classici della sociologia delle religioni. Nella sua esperienza espleta tale funzione, mentre, per chi non è convinto della meta trascendente del paradiso, la sofferenza, il lutto, possono diventare fonte di angoscia cui si preferisce non pensare.

Molto elaborata la descrizione della credenza nella vita dopo la morte espressa da Marco, 28 anni, anche lui praticante che riflettendo in merito asserisce:

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La vita dopo la morte... io ci credo... Sicuramente sarà una dimensione così piena che ti colma... sicuramente noi avremo coscienza di noi stessi... non avremo più il fardello della nostra umanità... quindi, sarà una dimensione di totale gioia, di totale pienezza. Io non credo che ci sia qualcuno sulla faccia della terra che possa dire di sentirsi completo o pieno, soddisfatto... c’è sempre qualcosa di cui sei alla ricerca... secondo me, una volta che arriveremo là, raggiungeremo la pienezza. Perché, di fatto, c’è un legame fra noi e chi ci ha creato indissolubile e che siamo battezzati o no, tutti siamo chiamati a vivere questa esperienza. Sono anche convinto anche che non necessariamente chi non è battezzato vada all’Inferno, ok? Perché ci può essere un non battezzato che vive nel buco più lontano, in un punto che nemmeno sa chi è Gesù Cristo, però è così buono, una persona così santa che a me fa le scarpe e, magari, ci arriva prima di me in Paradiso, quindi... ecco… credo che sia una situazione proprio di pienezza, magari sarà anche un luogo però, alla fine, il Paradiso è un legame con Dio che si è rafforzato, dove noi perdiamo tutta la nostra umanità e siamo nella nostra essenza spirituale, magari con il nostro corpo però puri.

(Marco, 28 anni, credente praticante)

L’idea è che esista qualcosa dopo la morte e che essa consista nel ricongiungimento a Dio nella libertà dal peccato, inteso come “fardello della propria umanità”. Il Paradiso è immaginato come la dimensione dove ognuno potrà trovare ciò di cui da sempre alla ricerca, il luogo dove ognuno sarà finalmente soddisfatto e completo. L’insoddisfazione che spesso si prova nella vita, secondo Marco, è proprio la mancanza di quel pieno rapporto con Dio che solo nell’aldilà si potrà compiere. Questa tensione all’eternità, secondo l’intervistato va oltre la semplice appartenenza religiosa, si tratta di un’esperienza che accomuna tutti gli uomini da sempre e che chiunque, purché viva una vita “santa” potrà raggiungere anche chi non ha mai sentito parlare di Gesù Cristo. Il raggiungimento della felicità eterna è considerato come una possibilità reale per tutti, rimanendo però, vincolato ai singoli comportamenti, esso è qui considerato un premio, più che un dono totalmente gratuito e indipendente rispetto alle azioni compiute nella vita dell’ al di qua.

La credenza nel Paradiso o, comunque, in una dimensione ultraterrena da raggiungere dopo la morte è affermata e spiegata con consapevole convinzione dai giovani credenti praticanti e militanti, eccetto che nel caso di Mario, 28 anni, educatore ACR che riguardo a questo argomento mostra qualche perplessità affermando:

Questa è una questione che mi pone veramente in crisi... non è che io non ci creda, io ho il terrore di scoprire il contrario, hai capito? Questo significa che io non sono, assolutamente, il cristiano perfetto... io ci provo ma non è assolutamente facile, su questo argomento cadono in parecchi... perché effettivamente quando ti vengono a mancare... al di là dell’aria che respiri, le persone che respiri… i sentimenti che respiri, tutto quanto ti circonda, se ti viene a mancare è un problema... anche solo immaginarlo è drammatico!

(Mario, 28 anni, militante)

Mario afferma di credere, o meglio, di voler credere, ma di avere il “terrore” di scoprire il contrario, di fronte a questo timore, il pensiero di

177 perdere quanto e quanti lo circondano lo spaventa, mostrando così il suo essere strettamente legato alla vita che conduce al punto da non voler pensare al momento in cui finirà o sarà turbata dalla perdita di persona care, si tratta di una dimensione che preferisce non analizzare in profondità proprio perché, di fronte ad essa, si sente in crisi. Nell’esperienza di Mario, l’esperienza di una religiosità di militanza rappresenta, essenzialmente, uno stile di vita che lo soddisfa, lo fa stare bene e lo pone in buoni rapporti con gli altri ma che non lo proietta in una dimensione trascendente e infinitamente altra rispetto a quella che vive quotidianamente. Nell’ambiente parrocchiale si sente protetto, si sente a suo agio e sta bene, proprio per questo si adegua e ripete la dottrina, rifugiandosi in essa.

Lo scetticismo rispetto al post morte emerge particolarmente fra i giovani non praticanti. Questo, tuttavia, non sempre equivale a credere che non esista nulla dopo la morte, piuttosto si manifesta in forme sincretiche del credere e dell’immaginarsi l’eternità:

Non credo tanto nel paradiso ma credo e spero tipo... in una reincarnazione che non va nel... va a cozzare quello che dice la chiesa, lo so, però io spero che… ci sia un ritorno, anche perché Gesù Cristo non parlava del Paradiso, diceva che c’era un’altra vita in cui uno rinasceva con il proprio corpo, non dice che c’è un Paradiso, non l’ha mai detto, lui disse: “Risorgerete con i vostri corpi”.

(Antonio 22 anni, credente non praticante)

Dalle parole di Antonio emerge intanto una lettura ed una interpretazione del tutto personale dei testi sacri dalla quale emerge la convinzione che la chiesa abbia, in un certo senso, distorto quanto affermava Gesù Cristo riguardo alla resurrezione dei corpi, intesa da Antonio come l’esperienza di una rincarnazione, di una rinascita sulla terra, di un “ritorno”. Questa visione si accosta alla filosofia buddista, mettendo in campo un altro tipico elemento della secolarizzazione definito da Stefano Allievi290 come

processo di “inclusione”, un processo attraverso il quale s’integrano con le credenze tradizionali, altre credenze, anche contraddittorie con il sistema di appartenenza e di riferimento, proprio come la reincarnazione contraddice quanto tradizionalmente affermato dalla religione cattolica. Questo meccanismo d’inclusione, insieme al cosiddetto “supermercato dei beni religiosi”291, (in base al quale si costruisce si personalizza la propria

religione) e insieme ai processi di conversione verso altre religioni (più o meno antiche), rappresentano tre tipici portati della secolarizzazione nonché tre importanti sfide per il cattolicesimo.292

Nemmeno Arianna e Rosanna, entrambe non praticanti, si sentono di affermare con certezza ciò che aspetterà l’uomo dopo la morte:

...dopo la morte chissà che c’è… io non lo so che c’è, se c’è un’altra vita ben venuta, se no, dove mi sistemano vado e che posso fare? (ride)

(Arianna, 29 non praticante)

290 Cfr. S.Allievi, Il pluralismo religioso in Italia, in Amendola, G., (a cura di), Anni in

salita, speranze e paure degli italiani, Franco Angeli, Milano, 2004 p.221

291 Cfr. P. Berger, La sacra volta, op. cit.

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Io non posso provare se c’è o non c’è, quindi preferisco non pensarci e non dare retta a chi mi vuole convincere che esiste, chi me lo dice a me che esiste, effettivamente, il paradiso? Nessuno è mai tornato per poterlo dire!

(Rosanna, 24 non praticante)

Arianna ci spera anche se non ne è convinta ma, di fronte all’eventualità che non ci sia niente, sdrammatizza considerando il fatto che non potrà essere lei a cambiare le cose e, dunque, di essere pronta ad accettarle così come verranno.

Il tono di Rosanna, invece, è più duro soprattutto riferendosi a chi tenta o ha tentato di convincerla sull’esistenza dell’aldilà. Nella sua visione ciò che conta è “avere le prove” e, visto che queste prove finora non le ha mai avute preferisce non pensarci. Viene espressa una “razionalità critica” che non pretende di poter conoscere ogni cosa ma che non accetta ciò che viene dato per scontato senza nessuna dimostrazione convincente.

Fra praticanti e militanti sono emerse argomentazioni più articolate rispetto a questa dimensione della credenza religiosa, entro le quali hanno cercato di fornire spiegazioni, di descrivere il perché della loro credenza nonché gli effetti che essa ha nella propria vita quotidiana e nella propria visione del mondo.

Fra i non praticanti, essenzialmente, si banalizza l’argomento, lasciando emergere quasi la volontà di rimuoverlo o, quantomeno, di accantonarlo, essendo avvertito come elemento troppo lontano e sfuggente al proprio orizzonte di senso, disincantato e completamente immerso nelle caratteristiche prevalenti della società contemporanea.

Tuttavia, a prescindere dalla credenza più o meno intensa, più o meno presente, è sempre l’elemento della razionalità ad accomunare gli intervistati: