di norme e valori che prendono corpo in delle istituzioni, lo stesso fa Simmel, in un certo senso, quando parla di processi di sociazione (istituzionalizzazione) e di forme (istituzioni).
Dopo aver ricordato alcuni tratti principali delle teorie classiche, di seguito, cercheremo di illustrare il contributo fornito alla sociologia delle religioni da alcuni degli autori che si inseriscono nella cosiddetta micro- sociologia, con particolare riferimento all’interazionismo simbolico e alla fenomenologia.
Come è noto per gli interazionisti, primo fra tutti Mead, l’interazione è fondamentale, la stessa formazione del sé individuale avviene attraverso l’interazione, ritenuta essenziale per la sopravvivenza stessa dell’uomo. Ciò che rende possibile l’interazione è un insieme di rappresentazioni simboliche, linguistiche, comportamentali, percettive che favoriscono la comprensione fra gli individui e la sopravvivenza nel contesto sociale di riferimento, che è, esso stesso, una rappresentazione simbolica mentale resa stabile attraverso i processi di socializzazione.67
Sembra che tutti gli autori fin qui analizzati, in special modo Simmel, Luhmann, Weber e ora gli interazionisti siano accomunati dal reputare il reale come molteplice e infinitamente variegato, tanto che lo studioso ha bisogno di elaborare delle astrazioni concettuali per comprenderlo e spiegarlo e, ogni individuo, per orientarsi nel mondo e non perdersi nella sua vastità, deve creare delle forme in cui sintetizzare il reale attraverso delle rappresentazioni simboliche che gli consentano di rapportarsi e comprendersi con gli altri.
La società è una rappresentazione simbolica elaborata dagli individui stessi che, trasmessa di generazione in generazione, appare come realtà a sé stante, sui generis, come riteneva Durkheim.
“La religione in questo contesto è un sistema di rappresentazioni simboliche che la mente elabora per adattarsi ad un insieme di valori comuni e dunque essa può offrire agli individui un modo per formare una propria identità (il Self) e una propria autodefinizione nello spazio sociale”.68
Per quanto concerne l’approccio di Alfred Schütz, esso rappresenta un anello di congiuntura tra la sociologia e la filosofia fenomenologica. Jedlowski definisce questo autore padre della fenomenologia sociologica studiando i concetti fondamentali della sociologia di Weber attraverso la fenomenologia di Husserl.
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Cfr. G. Simmel, La religione, Bulzoni, Roma, 1994. 67 Cfr. P. Jedlowski, op.cit.
Nell’ottica schütziana esistono diversi ordini di realtà nei quali gli individui elaborano delle astrazioni (tipizzazioni) condivise che permettono loro di mettersi in relazione.
Per quanto concerne la fenomenologia, essa rappresenta “lo studio di ciò che appare”69, lo studio di ciò che si vede nel mondo, frutto di astrazioni umane e non proiezione fedele del reale.
L’analisi di Schütz è tutta volta nella vita quotidiana dell’individuo, ricchissima di tali astrazioni che vengono date per scontate evitando di doversi interrogare sul perché di ogni cosa, grazie a quello che lui chiama
senso comune. Il senso comune è ciò che ognuno crede che tutti gli altri
credano, è ciò che contraddistingue un contesto sociale che crolla quando il senso comune su cui si regge cessa di “funzionare”, esso costituisce la variegata mole di elementi in cui ci imbattiamo quotidianamente e che diamo per scontati. Dare per scontato significa percepire le tipizzazioni costruite dagli uomini come se fossero naturali, quando in realtà, sono diversi modi di interpretare la realtà appresi attraverso i processi di socializzazione. Il mutamento sociale si realizza nel momento in cui alcuni membri della società avvertono il bisogno di interpretare il mondo in modo diverso rispetto a quello ritenuto ovvio fino a quel momento. Attraverso le categorie schütziane, potremmo definire l’effervescenza collettiva di Durkheim, o la forza creatrice del carisma etico di Weber, come degli elementi di distruzione di un senso comune preesistente e di costruzione e affermazione di uno nuovo.
Nel contesto teorico schütziano, Acquaviva e Pace definiscono la religione come «un orizzonte di senso capace di formare da un “certo” punto di vista l’intersoggettività, un mondo vitale dentro il quale gli individui, se vi vengono socializzati, rinforzano l’atteggiamento del “dare per scontato” l’esistenza di un principio trascendente e così via».70
Per quanto riguarda la tradizione fenomenologica, ancora Acquaviva e Pace, ricordano Rudolf Otto il quale definisce il sacro come un elemento esistente di per sé, nell’esperienza interiore dell’uomo, per utilizzare il linguaggio filosofico proprio della fenomenologia, il sacro costituisce un a
priori dell’esperienza umana. L’individuo ne prende coscienza nel momento
in cui il sacro interiore entra in contatto con quello esteriore che si è manifestato nelle religioni storiche.71
Ciò che sta alla base del filone fenomenologico nello studio della religione è l’esperienza del sacro, fatta delle riflessioni su se stessi, sul mondo, sul mistero della vita. «Il sacro circondato da un’aura di mistero e di inaccessibilità che produce un’emozione profonda in cui si combinano timore e riverenza, paura e attrazione. In ogni esperienza religiosa, anche nelle forme più intellettualizzate, è sempre presente una componente emozionale attraverso la quale all’individuo è concesso di trascendere se stesso e i propri limiti per accostarsi alla “comunione” con ciò che si colloca su un piano radicalmente altro da quello della realtà terrena».72
69 Cfr. P. Jedlowski, op. cit. 70 Ibidem, p. 64.
71 Cfr. R. Otto, Il Sacro. L’irrazionale nell’idea del divino e la sua relazione al razionale, a Feltrinelli, Bologna,1994.
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Il compito della sociologia, qui, è studiare la dimensione interiore del sacro, ovvero quelle forme religiose che l’uomo possiede da sempre inconsapevolmente e che può essere solamente percepito e intuito.73 Allo stesso modo di Otto, come ricorda Abbruzzese74, anche Joachim Wach è
convinto che l’essenzialità della religione sia insita nell’interiorità dell’uomo e che “le forme esteriori, storiche, non sono che espressioni fuggevoli di una realtà intima e permanente della nostra natura. La descrizione non può riguardare le forme esterne bensì l’idea che vi è all’interno, e la storia di una religione non è che il percorso di affermazione dell’intuizione originaria che la costituisce.”75 Non c’è qui il tentativo di individuare il momento costitutivo di una religione, poiché essa è intesa come qualcosa di insito, che da sempre costituisce la natura dell’uomo, a prescindere dalle contingenze storiche.
Secondo Acquaviva e Pace, fra gli autori della Scuola di Francoforte, Jurgen Habermas in merito all’analisi del religioso, è più vicino alla fenomenologia, che non ad approcci teorici come quelli di Adorno e Marcuse che hanno ripreso la teoria conflittualista di Marx, considerando la religione un elemento costitutivo dell’apparato ideologico degli stati moderni. Habermas, al contrario, considera la religione “motore di movimenti collettivi emancipatori e critici nei confronti dell’ordine sociale del capitalismo maturo”.76
Decisamente interessante e degna di nota è anche l’analisi sociologica di Berger e Luckmann che nel 1966, scrissero La realtà come costruzione
sociale77; il loro studio si fonda sulla convinzione che la realtà sia costruita
dai processi di interazione fra gli uomini, i quali, attraverso i processi di socializzazione, interiorizzano tale costruzione oggettivandola, cioè percependola come qualcosa d’altro rispetto a se stessi.
In Berger e Luckmann, Durkheim e Weber si uniscono, poiché la realtà è una costruzione sociale che viene percepita come se avesse una propria essenza, ma le azioni e le relazioni sociali sono centrali in quanto la società si riproduce solo se il senso che ad essa viene attribuito è comune agli individui che ne fanno parte.
Nella visione di Berger e Luckmann la realtà è presa in esame come frutto dell’interazione umana, essa si forma attraversando tre specifici momenti: l’oggettivazione, l’interiorizzazione e l’esteriorizzazione. Fin dalla sua nascita l’uomo percepisce il mondo a lui circostante come qualcosa di dato, di esterno a lui come se non fosse qualcosa che gli uomini stessi hanno costruito. Tale percezione rende oggettiva la realtà che come tale viene interiorizzata attraverso i processi di socializzazione e ri-proiettata all’esterno come qualcosa di oggettivamente dato.
Da questa dialettica consegue che la società è una costruzione dell’uomo che si stabilizza al punto tale da essere considerata come realtà
73 Cfr. S. Acquaviva, E. Pace, op. cit;
74 Cfr. S. Abbruzzese, Sociologia delle religioni, op. cit. 75 Ibidem, pp. 46,47
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S. Acquaviva, E. Pace, op. cit. p. 65.
77 Cfr. P. Berger, T. Luckmann, La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna, 1969.
oggettiva, esistente a priori che, quindi, a sua volta, influisce fortemente sulla formazione dell’identità individuale e collettiva.
La spiegazione in termini dialettici della costruzione della realtà sociale rimanda all’apparato concettuale di Marx ed Engel, ma le conclusioni di Berger sono assai più vicine a Durkheim, anche per lui, infatti, la società è un prodotto umano che si sedimenta nella società, tramandandosi di generazione in generazione e imponendosi sugli individui che l’hanno prodotta come realtà sui generis.78
“È mediante l’esteriorizzazione che la società diventa un prodotto umano. È tramite l’oggettivazione che la società diventa una realtà sui
generis. È con l’interiorizzazione che l’uomo è un prodotto della società”.79 Il processo di costruzione del mondo, non è affatto individuale, esso è collettivo. Ogni individuo costruisce i “propri mondi”, ma ancora più vitale è costruire con gli altri, un mondo comune, da accettare tacitamente, con una sorta di accordo che ad un certo punto si ignora di aver stipulato.
L’ordine sociale comune, che Berger chiama nomos, per indicare una realtà dotata di senso, ordinata e opposta all’anomia già teorizzata da Durkheim, è vitale ad ogni individuo; la stabilità di tale mondo, dipende dal permanere degli accordi sociali.
Il nomos comune è la società, oggetto di studio della sociologia e parte fondamentale della cultura intesa, nell’accezione bergeriana, come la totalità dei prodotti dell’uomo, una sorta di “seconda natura”, che rende possibile agli individui di orientarsi e sopravvivere in quanto “animali sociali”.80
Perché la società si mantenga come dato è necessario che da tutti venga interpretata nello stesso modo, così come spiegava Schütz, teorizzando il concetto di senso comune, in questo senso i due approcci non sono distanti, “non basta che l’individuo consideri i significati chiave dell’ordine sociali come utili, desiderabili o giusti. È decisamente meglio (meglio cioè in termini di stabilità sociale) se li considera come inevitabili, come parte dell’universale natura delle cose”.81
Esistono, tuttavia, situazioni limite dell’esistenza umana che mettono in crisi la società così come è stata costruita e oggettivata. Un esempio in tal senso è costruito dalla morte. Essa mina le basi su cui si fonda l’ordine sociale e svela la precarietà dei mondi socialmente costruiti, avanzando violentemente la minaccia dell’anomia, del caos che terrorizza l’uomo. È a questo proposito che il discorso sulla religione diventa cruciale.
In La Sacra Volta, Berger scrive: “Ogni società umana è un’impresa di costruzione del mondo. La religione occupa un posto caratteristico in simile impresa”82.
La stabilità sociale è garantita dal fatto che un ordine sociale (nomos comune) è accettato come dato e che i suoi significati si intreccino con i significati universali che riguardano l’universo, ma affinché esso rimanga stabile anche di fronte a certe situazioni limite della vita umana, è necessario
78 Cfr. E. Durkheim, Le forme…, op. cit.
79 P. Berger, La sacra Volta, Sugarco, Milano, 1984, p.15 80 Cfr. P. Berger, T. Luckmann, op. cit.; Cfr. P. Berger, op. cit. 81
P. Berger, op. cit. p. 36. 82 Ibidem, p. 13
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concepirlo come qualcosa che derivi da “fonti più potenti da quelle concepite dagli sforzi storici degli esseri umani”.83
Accanto al processo di nomizzazione che costruisce l’ordine sociale, Berger inserisce quello di cosmizzazione, inteso come un processo attraverso il quale il mondo umanamente significativo, viene identificato con il mondo in quanto tale. Attraverso tale processo si crea un cosmo che rappresenta la base ultima e la convalidazione dei nomos umani.84
Anche il sacro è un prodotto umano che viene appreso come se fosse qualcosa d’altro, esso si stacca dal quotidiano e mette in relazione l’uomo con una realtà trascendente che è al di fuori dell’uomo ma che allo stesso tempo lo include. Esso dà ordine al sociale, si oppone al caos, allontana l’anomia.
Ogni costruzione sociale nasce per allontanare il rischio del caos, ma il posto caratteristico occupato dalla religione consiste nel fatto che essa “costituisce il temerario tentativo di concepire l’intero universo come umanamente significativo”85, spiegando il perché del mondo sociale disponendolo all’interno di un universo espressivo e simbolico ultimo, essa integra e collega la realtà sociale così com’è stata costruita ad una realtà ultima.
È emblematica, la vicinanza a Durkheim, nello spiegare la religione come fatto sociale che si oppone all’anomia, ma anche a Weber, che in Economia e Società spiega come l’uomo sia impegnato in un’attività intellettuale permanente che nasce dai “bisogni metafisici dello spirito, che non lo spingono ad indagare su problemi etici e religiosi per necessità materiale ma per intima necessità di poter comprendere e prendere posizione di fronte al mondo come un cosmo fornito di senso”.86
Se la religione ordina, dà stabilita a ciò che altrimenti sarebbe disordinato e instabile, allo stesso tempo, però, secondo Berger, essa aliena l’individuo. L’alienazione è intesa come conseguenza dell’oggettivazione.
A questo punto l’analisi bergeriana, parlando di alienazione, si rifà apertamente anche al linguaggio teorico marxista, pur non esprimendosi esattamente negli stessi termini di Marx. Per Berger l’alienazione è quel “processo tramite cui il rapporto dialettico tra l’individuo e il suo mondo perde ogni consapevolezza. … Viene offuscata la differenza essenziale che esiste tra mondo socio-culturale e mondo naturale… In quanto la coscienza alienata si basa su questo errore, essa è una falsa coscienza”.87
Se la religione ha la fondamentale funzione di evitare l’anomia, allo stesso tempo crea una falsa coscienza individuale poiché fa si che la società venga concepita come reale e non come prodotto umano, essa fa percepire le cose come in realtà non sono, ma se per Marx questa situazione è da superare tramite una presa di coscienza, e tramite il passaggio dalla classe in sé alla
classe per sé, per Berger rappresenta una condizione necessaria affinché gli
uomini possano vivere e orientarsi nel mondo reale, altrimenti impercettibile.
83 Ibidem, p. 37 84 Cfr. Ibidem 85
Ibidem, p. 40
86 M. Weber, Economia e Società, Vol. II, op. cit., p. 194. 87 P. Berger, op. cit. p. 99.
Per Berger, quindi, la religione legittima, ovvero giustifica, l’ordine sociale in modo efficace, ma questo produce alienazione e falsa coscienza: inganni necessari che riducono la tensione sociale e danno senso a ciò che, altrimenti, sembrerebbe senza senso: le disuguaglianze, la sofferenza, la morte.88
La teoria di Berger trova riscontro in diversi altri autori da lui stesso citati. Fra questi, O’Dea che, come evidenzia Berger, attribuisce alla religione l’importante compito di sostenere l’individuo nell’incertezza, consolarlo nello sconforto, aumentare il suo senso morale, definire la sua identità, rinforzare l’unità e la stabilità della società oppure sovvertirla favorendo la costruzione di una nuova realtà sociale.
Luckmann concepisce la religione come capacità umana di “trascendere la propria natura biologica tramite la costruzione di universi di significato oggettivi, moralmente vincolanti, onnicomprensivi”.89
Come vedremo, ritroveremo tutti questi elementi teorici, analizzando le esperienze religiose raccolte ai fini della nostra ricerca.
Non è stato un caso concludere questa prima lettura teorica, analizzando il contributo di Berger, autore sul quale torneremo più avanti. Si tratta, infatti, di uno degli autori sicuramente più vicini all’epoca odierna e che, quindi, ci aiuterà ad affrontare il discorso sulla secolarizzazione, di cui ci occuperemo più avanti, ma, soprattutto, egli unifica gli approcci classici che abbiamo descritto singolarmente. La sua attenta riflessione parte dalla lettura approfondita di Weber, Durkheim e Marx. Berger unisce i tre approcci classici, li rielabora, unisce i punti in comune e li applica alla sua visione intellettuale, dando vita ad un approccio nuovo che ha sicuramente arricchito il panorama della sociologia delle religioni e che è sempre più spesso al centro dei dibattiti delle comunità scientifiche che si cimentano nell’affrontare lo stato attuale del religioso, il ruolo del sacro, le sue trasformazioni e il suo “destino”.
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Cfr. Ibidem 89 Ibidem, p. 187
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CAPITOLO SECONDO