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CAPITOLO QUARTO Il contesto della ricerca

4.1 La religiosità in Italia

Il contesto italiano risulta caratterizzato, da un lato, da un gran numero di persone che continuano a dirsi cattoliche ma, dall’altro, il forte individualismo fa sì che anche la “cattolica Italia” incarni perfettamente gli aspetti propri della secolarizzazione.

Il termine cattolico, come ha osservato Garelli, ha sempre di più una valenza generica: essere cattolici può voler dire tante cose insieme, non è più un concetto che esprime precisamente uno stile di vita, un modo di essere, una visione del mondo. A tal proposito qualcuno non parla più di Italia cattolica ma “post cattolica” per indicare «un paese, dove non solo è calata drasticamente la partecipazione all'istituzione ecclesiastica, ma in cui la religiosità ha assunto ormai caratteristiche "vaganti", multiformi, refrattarie ad una organizzazione nella dottrina e nei comportamenti. Con un clamoroso paradosso. Quanto più la Chiesa perde sul terreno delle coscienze individuali tanto più per l'arrendevolezza della classe politica è impegnata a conquistare privilegi economici e giuridici».184 Post per indicare più che il “dopo” a cui rimanda la traduzione letterale, l’incerto, l’indefinito, il multiforme e variegato, in questo senso siamo nella società post moderna, post tradizionale. Si sa ciò che c’era prima ma si trova difficoltà a descrivere ciò che c’è attualmente, ecco il senso di quel post nel quale sempre più frequentemente ci si imbatte.

Le contraddizioni del mondo cattolico italiano emergono chiaramente dalle ricerche condotte in merito.185

In particolare, il gruppo di ricerca dell’Università Cattolica186 ha

analizzato in modo dettagliato, distinguendo per classi d’età, luogo di residenza, genere, istruzione, le diverse dimensioni che compongono la religiosità italiana, basandosi sul modello multidimensionale proposto negli anni sessanta da Stark e Glock.187 In base a tele modello, per studiare in termini quantitativi la religiosità, è necessario tenere in considerazione, singolarmente, gli elementi che la costituiscono, ovvero: l’appartenenza, la credenza, la pratica, l’esperienza, la conoscenza religiosa. Secondo questi due studiosi, per studiare e “misurare” la religiosità come variabile empiricamente osservabile, è necessario studiare singolarmente ognuna delle dimensioni che la compongono come variabili indipendenti l’una dall’altra, attraverso specifici items. È stata questa la metodologia utilizzata per studiare la religiosità in Italia che è risultata essere tutt’altro che univoca e lineare.188

184 M. Politi, Ecco l’Italia post-cattolica, “La Repubblica”, 3 Giugno, 2001.

185 Cfr. F. Garelli, G. Guizzzardi, E. Pace (a cura di), Un singolare pluralismo, il Mulino, Bologna 2002, Cfr. V. Cesareo et. al., La Religiosità in Italia, Mondadori, Milano, 1995. 186

Cfr. V. Cesareo et. al. op. cit. 187 Cfr. S. Acquaviva, E. Pace, op. cit. 188 Cfr. Cesareo et. al., op. cit.

Rimanendo sulla dimensione dell’appartenenza religiosa il cattolicesimo risulta essere la religione di maggioranza in Italia, (circa l’88% degli italiani, ha indicato il cattolicesimo come confessione religiosa di appartenenza), di questi solo una minoranza (poco più del 20%) rispetta la dottrina della chiesa mentre per tutti gli altri la fede è soprattutto un fatto personale, vissuto a modo proprio, che non esita a seguire percorsi diversi da quelli raccomandati dalla dottrina ufficiale.

Allo stesso tempo sono diverse le motivazioni d’appartenenza, per quasi un quarto della popolazione italiana la propria confessione religiosa è legata alla tradizione e all’educazione ricevuta, ma per la maggioranza assoluta degli italiani (57,1%) essa nasce da una convinzione personale anche se non tutti la vivono partecipando attivamente. Già da questo si scorge un’appartenenza religiosa che non necessariamente è il presupposto di una pratica regolare.

Anche indagando nell’ambito della credenza sono emersi i variegati punti di vista e i diversi significati attribuiti all’oggetto stesso della credenza. Si può essere cattolici, credendo in Gesù Cristo ma non necessariamente negli insegnamenti della chiesa cattolica (30,5%), questo è forse indice della crisi istituzionale propria di oggi che coinvolge sicuramente la chiesa e che fa apparire decisamente realistica la protestantizzazione del mondo cattolico di cui, come già ricordato in precedenza, ha parlato Garelli. Essere cattolici, quindi, per molti, non significa riconoscersi nella chiesa cattolica, solo il 31% degli italiani afferma di non avere alcuna riserva nei confronti di questa istituzione mentre quasi il 36% si dice cattolico a modo proprio o cattolico “confuso”, il restante 33% è cattolico ma presenta qualche riserva rispetto alla “madre chiesa” che, in realtà, è più sentita come una parente lontana che come una progenitrice.

«La pluralità delle forme del credere e di appartenere sotto il comune “ombrello cattolico”, tende a divenire, per molti aspetti, una moderata forma di pluralismo, tout court, non solo dell’appartenere ma anche e soprattutto del credere stesso».189

La crisi istituzionale e la crisi della religiosità comunitaria si evince in modo altrettanto chiaro dall’analisi della pratica religiosa che si riduce ai grandi momenti di passaggio che segnano la vita umana. La quota di quanti hanno battezzato i propri figli si fissa quasi al 98%, considerando la percentuale minima di appartenenti ad altre religioni, sembrerebbe proprio che tutti gli italiani “cattolici” battezzano i propri figli e quasi il 90% di questi rifarebbe la stessa scelta se potesse tornare indietro.

È più contenuto, ma rimane decisamente significativo, il numero di quanti si sono sposati con rito religioso (83,6%).

Questi dati, insieme a quelli relativi a quanti si dicono cattolici ci mostra un quadro italiano segnato da una marcata appartenenza cattolica e da un’ancora più forte adesione ad alcuni riti religiosi legati ad alcuni momenti particolari della propria esistenza. “Da questo punto di vista, si può ben affermare che l’Italia, ieri come oggi, resti un paese profondamente cattolico. Ben sappiamo, tuttavia, che la pratica religiosa del cattolico, seppur ha inizio con il battesimo, non si conclude con esso, ma prevede un cammino esperienziale di tipo comunitario con regole, riti, simboli, e quotidiani

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momenti di verifica. Potremmo allora dire più correttamente che, in Italia, si nasce quasi sicuramente cattolici, ma questa condizione di identificazione completa fra neonato e chiesa cattolica, come i dati mostrano, è sempre meno soggetta a conferma man mano che il neonato si avvia a percorrere il suo processo di socializzazione”.190

Nascita, matrimonio, morte sono momenti fondamentali dell’esistenza che, ancora oggi, si sente l’esigenza di solennizzare tramite dei riti religiosi, forse, più per tradizione che per fede. In occasione di questi riti, inoltre, rimane importante la partecipazione collettiva che si manifesta con la presenza di parenti e amici. La presenza di altri, infatti, serve a rendere ancora più solenne quel momento. “La solennizzazione religiosa, per definizione, non è un fatto privato, come tale essa implica la presenza di una comunità, ecclesiale ma anche sociale”.191 Rispetto alle fasi di passaggio dell’esistenza umana la chiesa rimane un punto di riferimento importante e la religiosità continua ad essere comunitaria più che personalistica e individuale, in relazione a questo aspetto la dimensione religiosa “sembra costituirsi come scenario ineliminabile nel quale l’individuo vuole iscrivere le tappe importanti della propria esistenza, ricollegandosi per quanto gli è possibile o gli appare plausibile, ad una realtà istituzionale e ad una religione specifica”.192

Sarebbe fuorviante limitarsi a descrivere lo scenario di riferimento sulla base di un’unica dimensione o di un unico aspetto di una stessa dimensione, è necessario chiedersi quanto le diffusissime pratiche religiose legate ai riti di passaggio della vita corrispondano a forme di appartenenza reali. Il quadro cambia notevolmente, infatti, se a venir considerate sono altre forme di pratica religiosa.

La preghiera, quando c’è, è soprattutto personale, espressa a modo proprio, in base ad esigenze e “gusti” propri, la pratica della messa domenicale o di sacramenti come comunione o confessione per molti non è costante e nemmeno ritenuta necessaria.

Le maggiori contraddizioni emergono soprattutto rispetto alla pratica della confessione: se per il 30% degli intervistati del campione del gruppo di ricerca guidato da Cesareo, confessarsi non è un problema, per il restante 70% questa pratica risulta problematica per diversi motivi fra i quali il modo di confessare di alcuni preti e il dover raccontare le proprie mancanze ad altri uomini (29,2%), ma è anche abbastanza diffusa la convinzione che basti pentirsi davanti a Dio o che la chiesa abbia un’idea di peccato personalmente non condivisa (33,5%).

È evidente che esista un orizzonte religioso comune alla gran parte degli italiani che prende il nome di “cattolicesimo” ma non vanno sottovalutati i diversi modi in cui si guarda verso tale orizzonte e gli effetti concreti che da ogni sguardo conseguono.

La religione conserva la sua importanza in momenti critici dell’esistenza, è un rifugio sicuro di fronte alle paure ultime dell’uomo, essa

190 V. Bova, Democrazie cristiane, cattolici e politica nell’Italia che cambia, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1999, 43,44

191

S. Abbruzzese, Il Posto del Sacro, in R. Gubert, La via italiana alla postmodernità,

verso una nuova architettura dei valori, Franco Angeli, Milano, 2000, p. 406

è vista da molti come fonte di rassicurazione di fronte al pensiero della morte, aiuto concreto nel trovare il senso della vita, allo stesso tempo è molto diffusa l’idea di un Dio buono che perdona tutti e che non può condannare nessuno dei suoi figli alla dannazione eterna. È emblematico, a tal proposito, il fatto che siano di più le persone convinte dell’esistenza del paradiso (74,2%) rispetto a quelle che credono nell’inferno (52,3%).

Se c’è, in genere, una valenza positiva attribuita alla religione e a Dio in quanto tali, le posizioni diventano decisamente più critiche nei riguardi della chiesa cattolica la quale non è tenuta molto in considerazione, soprattutto rispetto alle indicazioni che dà in ambito etico e morale. Essa conserva essenzialmente un ruolo di “assistenza sociale”, per cui il suo compito non sarebbe tanto quello di annunciare il Vangelo di Gesù Cristo o di dare i sacramenti, tantomeno quello di definire cosa è bene e cosa non lo è, quanto piuttosto quello di educare i giovani, aiutare i bisognosi.

La chiesa, nel contesto della secolarizzazione, viene espropriata della prerogativa di stabilire delle regole. Questo aspetto è reso ancora più evidente osservando i dati emersi in relazione a questioni di ordine etico e morale, così, non stupisce che se l’84% degli italiani si dice cattolico, è ben il 63% a dirsi favorevole al divorzio, il 64,5% alla convivenza, quasi il 70% ai rapporti prematrimoniali, il 71,7% ai contraccettivi e per oltre il 79% degli intervistati in determinate situazioni l’aborto è considerato una scelta condivisibile.

È proprio in merito a tali questioni che si presenta in tutta la sua profondità, la discrepanza che separa la dottrina ufficiale della chiesa dal mondo laico, ovvero il cattolicesimo formale dal cattolicesimo sostanziale, vale a dire quel cattolicesimo comunemente espresso e vissuto dalla gran parte degli italiani.

Il quadro che emerge è quello di un’appartenenza religiosa affermata ancora su larga scala che però si dispiega in diversi modi non raramente discordi rispetto alla dottrina ufficiale. A prevalere è la credenza senza appartenenza istituzionale, ovvero la religiosità tipica dei “pellegrini” dei quali ci ha parlato Hervieu-Léger193, ovvero di quanti credono senza appartenere, di chi si rapporta al trascendente rifuggendo una dimensione istituzionale, soprattutto quando s’impone con dei modelli normativi non consoni alle proprie esigenze esistenziali.

Si è cattolici ma a modo proprio, la chiesa conserva la sua autorità in momenti particolari della vita umana segnati da una nascita, da un’unione coniugale, da una morte, ma la perde vertiginosamente nella quotidianità, dove prevale l’individualismo, la libera scelta che è sempre considerata, almeno idealmente, la scelta migliore. Ancor meno la chiesa è legittimata ad esprimersi su questione di carattere politico, essa deve sostanzialmente pensare ad aiutare chi soffre, senza “impicciarsi” di altre questioni. Cattolici si, ma cattolici liberi, non costretti a rispettare quelle regole che non sarebbero congeniali alle proprie aspettative, alle proprie esigenze, alle proprie preferenze. Quanto affermava Berger riguardo al “super mercato dei beni religiosi” risulta perfettamente applicabile anche al caso italiano, dove ognuno sceglie il proprio modo di essere religioso e, nello specifico, di

193 Cfr. D. Hervieu-Léger, op. cit. .

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essere cattolico. Si crede in Dio genericamente,ma, se si va a fondo, soprattutto se si indaga sulla presa che l’istituzione ecclesiastica ha sulla gente comune, si scopre senza fatica che sempre di più se ne prendono le distanze, la chiesa non è legittimata a dire cosa fare e cosa non fare, cosa è bene e cosa è male, ognuno sa e deve “regolarsi” da se.

Così scrive, a tal proposito, Federico D’Agostino: «La crisi del religioso è la crisi della “forma”, dell’immagine, della simbolizzazione e della sua istituzionalizzazione, quasi che il fenomeno religioso si stacchi dall’istituzione che gli dà una consistenza, una stabilità, per immergersi nelle forme dell’inconscio collettivo, alla ricerca di altre canalizzazioni... Spesso il distacco e la crisi riguardano il rapporto con l’istituzione, ma non il bisogno di spiritualità, interiorità, che costituiscono il nerbo del codice morale religiosamente (ma non solo) significativo.»194

È questo processo che sta alla base della modernizzazione e della pluralizzazione del cattolicesimo che risulta essere fortemente individualizzato, personalizzato, “confezionato” in base alle soggettive e variegate visioni del mondo, oltre che in base alle proprie esigenze di vita.