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La crisi finanziaria Jan Toporowsk

Nuova Secondaria - n. 7 2013 - Anno XXX

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È però molto probabile che perdano lavoro e reddito man mano che le imprese e i governi tagliano la spesa per far fronte ai pro- pri impegni. In questo frangente, si troveranno economisti che inciteranno questi lavoratori poveri ad accettare salari più bassi, al fine di incoraggiare le imprese ad assumerli.

Ma se è il debito la causa della riduzione della spesa in salari e stipendi, non saranno certo più bassi salari a indurre le imprese ad aumentare l’occupazione. Nella migliore delle ipotesi, le im- prese cercheranno di ripagare una parte maggiore dei loro debiti grazie al risparmio derivante dai tagli salariali. Salari più contenuti ridurranno la domanda in tutta l’economia e ciò di- sincentiverà ulteriormente la produzione e le vendite. Così i la- voratori più poveri finiscono con il pagare le conseguenze della crisi più di ogni altro, nonostante non abbiano avuto alcuna re- sponsabilità nel generare i problemi legati all’indebitamento. Il governo si trova in una situazione del tutto differente perché dalla spesa pubblica dipendono un numero molto elevato di lavoratori collocati nel pubblico impiego. Se i loro redditi ve- nissero ridotti, la domanda si comprimerebbe praticamente in tutti i mercati in cui essi effettuano acquisti di beni e servizi.

Il governo, tuttavia, ha strumenti per gestire il de- bito, secondo modalità a cui non possono far ri- corso le imprese e le famiglie. A differenza di ogni altro agente nell’economia, i governi possono de- terminare di quanto reddito dispongono sempli- cemente emanando delle norme in materia finan- ziaria che stabiliscono quante tasse debbano essere pagate da imprese e famiglie. Se ciò non do- vesse bastare, possono sempre rifinanziare il pro- prio debito per ridurne i costi. Così, se un titolo di stato è in scadenza, il governo può sempre ri- pagarlo emettendone uno nuovo. Se il tasso di in- teresse sui prestiti a breve termine (buoni del Tesoro a tre mesi, per esempio) è più basso di quello per i prestiti a lungo termine (buoni del Tesoro ven- tennali), il governo può emettere dei titoli a breve scadenza per ripagare il proprio indebitamento di lungo periodo.

In questo modo un governo può creare artifi- cialmente una situazione di scarsità dei titoli a lunga scadenza, e questo gli permetterà di vendere i propri titoli a lungo termine ad un interesse più basso [una ma- novra del genere è quella impiegata da qualche tempo negli Stati Uniti dalla Federal Reserve e dal Tesoro, la cosidetta ope-

ration twist: il Tesoro ottiene fondi dalla vendita dei titoli a breve

termine che impiega acquistando titoli a lungo termine, facen- done in questo modo rialzare il prezzo, al che corrisponde una caduta del loro tasso di rendimento. N.d.C.].

L’attuale crisi finanziaria europea è causata in parte dalla deflazione da debiti delle imprese e delle famiglie. Essa è però prima di tutto il risultato dei vincoli arbitrari imposti al finanziamento dell’indebitamento pubblico dall’Unione Europea con il Trattato di Maastricht del 1992 e del divieto per le banche centrali di sostenere i governi attraverso operazioni finanziarie. La strategia più efficace per superare questa crisi consisterebbe nel riformare quel trattato e in una spinta verso l’alto dei salari, specialmente per i lavoratori meno retribuiti.

Jan Toporowski University of London (traduzione di Michele Dal Lago)

Olga Rozanova (1886-1918),

La fabbrica e il ponte.

S

TUDI

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uesto intervento propone un’analisi dell’impatto della crisi in un’ottica di genere. L’idea di fondo è che le condizioni materiali di vita sono date dalla “somma” di due sotto-sistemi:

- il sistema di produzione delle merci, basato sul lavoro “sa- lariato” e, quindi, pagato. Rilevanti sono, qui, le condizioni del mercato del lavoro;

- il sistema di riproduzione sociale della forza-lavoro. Per ri- produrre la forza-lavoro (cioè, la capacità di un essere uma- no di lavorare), non basta acquistare merci sul mercato, ma è necessaria un grande quantità di lavoro non pagato per rendere queste merci fruibili. Inoltre, è necessario che qual- cuno/a si prenda cura degli infanti e degli anziani. A sua volta, il sistema di riproduzione sociale può essere sud- diviso in due sotto-sistemi: il sistema di “welfare” familiare, basato sul lavoro volontario e non pagato dei componenti della famiglia (ma anche sul lavoro pagato delle immigrate); ed il sistema di welfare pubblico, basato sull’offerta di beni/servizi pubblici che possono sostituire o alleviare il la- voro domestico. In questo caso la politica fiscale del governo diventa la variabile cruciale. Un’analisi esaustiva deve, quindi, tenere contemporaneamente in considerazione l’impatto sia sul sistema di produzione che sul sistema di ri-

produzione sociale della forza-lavoro.

Prima della crisi il sistema di produzione presentava delle forti disparità di genere, nonostante il processo di emancipazione femminile. Donne e uomini partecipano in modo diverso al mercato del lavoro sia in termini quantitativi che qualitativi. Queste differenze sono comuni a tutti i paesi capitalistici ma, in Italia, sono più marcate: le donne italiane partecipano meno al mercato del lavoro. Nel 2007 il tasso di femminilizzazione1

dell’occupazione italiana (39,5%) è ben al di sotto di quello delle altre aree avanzate (44,0% nell’Eurozona; 45% nell’Unio- ne Europea; 46,4% negli USA; 41,4% in Giappone)2.

Quindi, quando si quantifica la perdita dei posti di lavoro di uomini e donne, bisogna ricordare che la base di partenza è diversa. Esistono, inoltre, differenze qualitative. Le donne sono soggette ad una segregazione occupazionale, orizzontale (la tendenza delle lavoratrici a concentrarsi in un certo numero di settori e/o professioni) e verticale (la pro- pensione delle lavoratrici ad occupare i livelli più bassi della scala gerarchica) e ad una disuguaglianza contrattuale (le donne hanno maggiori occupazioni atipiche e part-time). Tutto ciò si riflette in una disuguaglianza retributiva e pen- sionistica.

Anche il sistema di welfare familiare presentava delle notevoli disuguaglianze di genere già prima della crisi. Utilizzando come indicatore il tempo dedicato al lavoro do- mestico3, l’Italia presenta la maggiore disparità di genere:

le italiane impiegano più tempo delle donne degli altri paesi

Crisi e donne in Italia