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Questione di carattere

La bambina senza nome che irrompe sulla scena in medias res, sia pure «na- scosta in un angolo, fra il pagliaio e i pri- mi alberi del frutteto», non ha nome, ap- punto perché non ha ancora una precisa identità: definita bambina, ma a tratti già precocemente donna, è colta nel mo- mento dell’età evolutiva in cui si pone

interrogativi su se stessa e sulla sua femminilità, ancora debitrice del giudi- zio altrui per qualificarsi. Si saprà che avrebbe dovuto chiamarsi Giacinta, come la nonna ricca e forte, ma che in- vece le è stato messo il nome di una zia morta giovane, «che pareva sorriderle da molto lontano, con occhi simili ai suoi, ma velati di malinconia», immortalata

3. F. Parazzoli (a cura di), Il gioco del mondo – Dialoghi

sulla vita, i sogni, le memorie, cit., p. 113: «Gina Lagorio è una donna che conosce il coraggio. Hai affrontato più di una situazione estremamente difficile. Hai dovuto far da sola, come tu spesso dici, come molte protagoniste dei tuoi libri».

4. G. Lagorio, Inventario, Mondadori, Milano 1997, p. 153:

«Ho stentato a finire l’esperienza parlamentare [dal 1987, per una legislatura, ndr] tanto è stata faticosa, uggiosa, frustrante, e non la ripeterei per nessuna ragione».

5. In proposito, si confronti l’interessante saggio I. Bo-

Gina Lagorio (1922-2005).

nomi - E. Mauroni, Tra arte e vita: la scrittura di Inventario, in L. Clerici (a cura di), Gina Lagorio: la scrittura tra arte e vita : atti della Giornata di studio Inventario e le carte di Gina Lagorio:Università degli studi di Milano, Milano, 26 aprile 2007, Edizioni di storia e letteratura, Roma 2010. Alle pp. 17-18 le due autrici ricordano le «protagoniste dominanti come Angela (La spiaggia del lupo), Tosca (Tosca dei gatti), Elena (Fuori scena), mentre i personaggi maschili appaiono spesso deboli o negativi, fatte salve alcune importanti eccezioni, come, prima di tutto, il ma- rito in Approssimato per difetto, il nonno in La spiaggia

del lupo e il protagonista in L’Arcadia americana».

6. È la stessa Lagorio a raccontare della sua strenua difesa

di Aracoeli, il romanzo della Morante demolito da buona parte della critica, e a definire l’autrice di Menzogna e sor- tilegio come «un’italiana Sheherazade, forse la sola», di- cendosi affascinata dalla «festa vitale di odori e di colori, un incanto labile e mutevole» de L’isola di Arturo. G. La- gorio, Inventario, Mondadori, Milano 1997, p. 125.

7. G. Lagorio, Donne, in Ead., Il silenzio: racconti di una

vita, Mondadori, Milano 1993. Tutte le citazioni senza ri- mandi alle note sono tratte da questo testo.

Nuova Secondaria - n. 7 2013 - Anno XXX

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in un ritratto che la mamma, «sempre un poco triste», teneva custodito nella sua camera. È stata sgridata dalla nonna presso la quale vive, figura dominante nel microcosmo campagnolo in cui è contestualizzata la vicenda, perché ha osato ancora una volta trasgredire l’or- dine di rivolgersi a lei con l’appellativo di madrina piuttosto che nonna, sgra-

dito e rifiutato da questa perché «le nonne sono quelle vecchie, come la nonna di là». Emerge subito la conflit- tualità tra la nonna imperiosa, «alta, de- cisa», che gira «su e giù come una trottola» per la grande casa, in cui risuo- na «insolente il ticchettio [dei suoi] zoc- coli», e la bambina dai grandi «occhi in- nocenti» e dalle «labbra imbronciate»:

la piccola vede nella nonna Giacinta, così protesa ad affermare il suo potere sulla famiglia e sulla comunità, una te- mibile avversaria della nonna Cesca, la “nonna buona”, e soprattutto la causa della lontananza di sua madre, che, per non «stare con la suocera», rimane assente nella storia, benché più volte evocata.

In virtù della sua dote e dei suoi «tanti beni al sole» e del suo non ancora tra- montato vigore fisico, esibito per rimar- care le altrui debolezze, la contadina guerriera sembra godere a schiacciare e stigmatizzare le donne perdenti, quali la madre della piccola, la giovane pre- maturamente scomparsa, zia della bam- bina, le altre “zie” senza voce, coro muto o bisbigliante appena delle sue nuore.

Questa donna risoluta e di grande im- patto descrittivo non risulta, tuttavia, sempre né con tutti vincente: per la pro- tagonista è nonna Cesca la prediletta; in realtà quest’ultima non ha con la bam- bina legami di sangue diretti, in quanto è soltanto la moglie del fratello del nonno, ma per la piccola costituisce un riferimento importante, antagonista suo malgrado della cognata-padrona. Cesca rappresenta, infatti, un modello diametralmente opposto a quello for- nito dalla nonna-madrina: tanto altera, prevaricante, orgogliosa e ciarliera quest’ultima, quanto riposante, benefica e dolce la prima. Perfino l’aspetto fisico potenzia la sensazione che la protago- nista prova: la nonna buona ha «i capelli candidi, una massa compatta e soffice come la chiara d’uovo montata», da cui sembra derivare anche il nomi- gnolo, ed è generosa ed esperta nel pre-

Amedeo Modigliani,

La bambina in azzurro (1918),

Collezione privata.

P

ERCORSI DIDATTICI

parare ciambelle dolci, che regala, insie- me con la frutta, anche alla bambina, «che pure non era dei suoi».

Assai importante appare la focalizzazio- ne, in quanto il punto di vista non è solo angolazione prospettica, di tipo percet- tivo-sensoriale, ma si rivela presto as- sunzione di un sistema assiologico, di una coscienza individuale che fa da filtro a ciò che accade, proponendo la propria visione morale-ideologica.

Due sono gli assi principali su cui si si- stemano i personaggi, secondo la bam- bina che, come spesso i giovanissimi, ha ancora una visione manichea del mon- do: da una parte l’asse della prepotenza, delle negatività, su cui si collocano la nonna-madrina e la cugina Giacinta, che ne porta il nome e ne riflette aspetto e atteggiamenti; dall’altra l’asse della bontà e amabilità, in cui trovano posto nonna Cesca, sua madre, la zia morta che sorride dal ritratto. Poco importa delle altre donne succubi e silenziose, capaci solo, forse, di «ridac- chiare» alle spalle della suocera, in segno di rivalsa, quando questa apparirà destabilizzata dalla ribellione della bambina, sul finire della storia: alla pic- cola non interessa assegnare loro una qualche posizione nel mondo che va de- lineando nella sua immaginazione, ma è a se stessa che deve trovare un ruolo e una collocazione, definendosi attra- verso l’appartenenza a un modello, cercando agganci in «plausibili punti di riferimento»8 per sé, così come aveva

fatto nella vita reale la sua creatrice. Ma quale sarà la scelta giusta per lei? Non il modello offerto da sua madre, chia- ramente rinunciatario; forse quello di nonna Cesca, rassicurante e gradito, ma quanto realmente in sintonia con le pri- me avvisaglie di una personalità in formazione e già “di carattere”? O forse quello aborrito, competitivo, irritante della nonna-madrina? Di certo si evince subito che il fascino che promana dal-

l’altra metà dell’aia, separata da quella di nonna Giacinta da una rete metallica, a rimarcare simbolicamente la divisione oppositiva tra le due donne, è avvertito intensamente dalla bimba, che se ne la- scia attrarre, anche a costo di violare il divieto di non andarci, o piuttosto anche per l’eccitazione di infrangere una regola imposta dalla nonna autoritaria: non appena ella supera la rete di sepa- razione, «tutto pareva più sereno, la gen- te più distesa, contenta, senza furia e sen- za fretta, le galline solenni, impettite, con la coda più dritta […]. Anche l’aria le pareva diversa, più chiara». È come se l’universo si trasformasse, trasfigurato dai sacri principi del Bene e del Giusto: perfino la natura risponde all’influsso benefico della nonna incanutita che profuma di ciambelle e dispensa gioia; è come se, avvertendosi fortemente «il peso vitale del luogo»9, un incantesimo

rendesse quella parte di aia, denigrata da Giacinta perché «valeva poco» a causa dell’accentuato declivio, una sorta di ter- ra promessa o di Eden primordiale, in cui gli stessi scoscendimenti finiscono col favorire la visione dell’orizzonte, co- stituendo per la ragazzina una fonte di momenti di estatica contemplazione di caldi e rosseggianti tramonti. La descrizione che il narratore fa del re- gno della nonna buona non segue pe- dissequamente i moduli del locus amoe-

nus, visto che dal disprezzo della prag-

matica Giacinta si deduce che si tratta di una terra poco produttiva, pietrosa, che offre ricovero a serpenti sguscianti, perfino accidentata, ma nella percezione della protagonista si riveste di connota- zioni fantastiche, che sembrano dissipare la pur latente sensazione di paura. Ma ecco che una volta la nonna domi- nante sorprende la bambina «con le mani e la faccia impiastricciate d’uva nera», di ritorno dall’evasione appena consumata, e la punisce con uno «schiaf- fo previsto [che] non le [fa] male»,

anzi l’autorizza «a odiarla tranquilla- mente». Sovvertiti i canoni tradizionali: non è scontato l’amore tra una nonna e la sua nipotina e quest’ultima non sog- giace al suo volere, o piuttosto lo fa solo in apparenza, perché non ha ancora la forza e l’ardire di reagire, ma dentro di sé coltiva il germe della rivolta, alimentato da un temperamento in nuce già chiara- mente volitivo. La nonna-madrina con- tinua a parlare, parlare, «come un fiume che si rovescia libero dopo una diga», spiegando alla bambina l’inopportunità di «andare come i pezzenti in casa altrui, quando si hanno tanti beni al sole» e ri- versandole addosso le sue salde teorie sul matrimonio che mai avrebbe contratto «quella poveretta di là che vuol farsi mo- naca perché sa che un marito non lo tro- verà mai» (una delle figlie di nonna Ce- sca), mentre lei e le altre sue nipoti si sa- rebbero di certo maritate, grazie alle ric- chezze che avrebbe lasciato loro.

Specchio specchio