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scuola tecnica per la nazione

Anche nella città di Fermo è l’anno 1863 quando il Sindaco Trevisani annuncia in Consiglio Comunale l’imminente avvio di un’opera che egli sente come la sua creatura e il suo dono risorgimentale alla nazione: la «trasformazione» dell’ «Ope- ra Pia Montani», un ricovero-avvia- mento alle arti meccaniche eretto per i

diseredati nell’antico regime, in un mo- derno Istituto di Arti e Mestieri per le Marche. Già dagli anni ’40 nel panorama italiano di scuole di arti e mestieri se ne contavano numerose e differenti, dalla milanese Società d’Incoraggiamento d’Arti e Mestieri fondata da Enrico My- lius e cara a Cattaneo, alla Scuola d’Arti e Mestieri di Biella, voluta dai Sella a fa- vore dei propri opifici tessili, al Corso di Meccanica e di Chimica Applicata san- cito a Torino da un regio brevetto. Ma l’Istituto di Fermo, così come viene illustrato, ha i caratteri di una più com- piuta e organica realizzazione e, so-

1. 24 gennaio 2011

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prattutto, è unico nel panorama nazio- nale, perché voluto secondo i canoni del- la scuola tecnica europea. Ha infatti la rara prerogativa, questo progetto ferma- no, di essere stato importato diretta- mente da una Francia disseminata di

Écoles d’Arts et Métieres, da Aix en Pro-

vence ad Angers, a Chalons, tutte irra- diate da quel faro della ricerca scienti- fico-applicativa e della divulgazione popolare che era il Conservatoire d’Arts

et Métiers di Parigi, diretto dall’ingegnere

Arthur Morin. Proprio il Morin nel ’62 aveva redatto i programmi per le scuole tecniche del Secondo Impero. La volontà di realizzare a Fermo un Isti- tuto moderno degno della nuova nazio- ne è un vanto del Sindaco che con l’Amministrazione Comunale ha la ge- stione della scuola:

«Quest’Istituto d’Arti e Mestieri sotto la nuova trasformazione si allarga ad una im- portanza nazionale. Lo scrivente fu di pa- rere che oramai che eravamo privilegiati di avere nella nostra Città un Istituto di cui mancano anche le capitali più importanti, bisognava tentare un colpo ardito e levarlo dalle grettezze provinciali. Soltanto da un Istituto all’estero, potevano levarsi le per- sone capaci ed esperimentate per organiz- zare il nostro, sotto il nuovo concetto. Fu allora che ci rivolgemmo a Parigi... al Sig. General Morin (che ha una reputazio-

ne europea) capo del Conservatorio Impe- riale d’Arti e Mestieri di Parigi, il quale as- sai benevolmente corrispondendo alla no- stra fiducia…ci ha presentato due direttori di una capacità e di una attività piuttosto unica che rara».

I due direttori inviati dal Morin sono Ip- polyte Langlois, giovanissimo allievo da lui aveva impiegato nella Sala Macchine del Conservatorio, e il più maturo archi- tetto Ernest Hallié, esperto in costruzio- ne di officine.

Ne viene una riflessione immediata: che questo oscuro Conte Trevisani, pri- mo sindaco unitario di una città decen- trata rispetto ai centri politici e produt- tivi, e soprattutto ancora invischiata dentro pesanti retaggi di ancien regime (le proprietà terriere erano parimenti di- vise tra aristocrazia e clero, e solo un de- cimo di esse apparteneva alla borghesia e a piccoli coltivatori; una sola iniziativa imprenditoriale era stata degna di nota: una «raffineria degli zuccheri» che, pur avendo adoperato tecniche e personale dalla Francia, aveva presto chiuso i bat- tenti), possa essere paragonato a un pic- colo Cavour locale. La volontà di dover governare la propria città come una pic- cola patria da armonizzare con gli ideali e i programmi della grande patria («la

città deve vivamente caldeggiare tutto ciò che può provocare il risorgimento della patria» si trova scritto in un Verbale Comunale), la persuasione per un progetto tecnico visto come impor- tante tessera della cultura della nazione e la fede nel progresso come “leva” per il processo unitario, fanno dell’operato di Trevisani l’espressione di un governo ispirato da una profonda visione nazio- nale. Sempre agli Atti Comunali si legge: «L’Istituto quale fu immaginato presenta caratteri così splendidi e lusin- ghieri che nulla di meglio potrebbe bramare questa nostra patria. […] Mi- lano ne possiede uno, che crediamo sia il migliore di tutti.

Portiamo quindi opinione quello potersi prender a norma per coordinare il no- stro». Ovunque si coglie l’eco dei padri della nazione: dal politecnico Cattaneo all’europeo Cavour.

Del resto la biografia di Trevisani non lo descrive chiuso dentro il breve perimetro della municipalità locale. Egli vanta un passato di partecipazione attiva al mo- vimento risorgimentale: dall’ essere stato volontario a Cornuda sul Piave, dove si inaugurava l’epopea risorgi- mentale, alla carica di deputato alla Co- stituente Romana. Poi con la restaura-

Officina Meccanica dell’Istituto di Fermo (Archivio Montani)

Nuova Secondaria - n. 7 2013 - Anno XXX

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zione, lui che alla passione civile univa quella per le scienze e le loro applicazio- ni, aveva scelto nell’esilio libertà e più ampi orizzonti culturali, prima a Firen- ze, da dove aveva invitato i sonnolenti liberali rimasti in patria a «distruggere quella nostra mortale malattia» che porta il nome di «spirito municipale» (lettera a Giuseppe Fracassetti), poi, a Parigi, dove aveva subito il fascino della cultura politecnica, divulgata dal Con- servatorio d’Arti e Mestieri in modi così coinvolgenti, con lezioni serali e dome- nicali, tanto da diventare patrimonio popolare.

Il modello francese