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La crisi e gli insegnanti Michele Dal Lago

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ei primi mesi del 2009 l’allora Ministro per la Pub- blica Amministrazione del governo italiano rassicurò i dipendenti statali, e dunque gli insegnanti, sul fatto che la crisi economica non avrebbe rappresentato una mi- naccia reale per il loro tenore di vita.

«Il pubblico impiego» – affermava il ministro Brunetta in un’intervista rilasciata al Sole 24 Ore il 10 maggio 2009 – «rap- presenta un settore protetto e dunque non esposto diretta- mente agli effetti della recessione».

A fronte di una perdita in termini di salario reale e stabilità occupazionale da parte dei lavoratori del settore privato, i la- voratori pubblici statali avrebbero sostanzialmente mantenuto la loro posizione sociale, se non addirittura accresciuto il loro potere d’acquisto. Può darsi che queste dichiarazioni mini- steriali valessero per l’immediato, ma è certo che, nei tre anni successivi, una serie di interventi normativi e amministrativi (blocco dei contratti, licenziamenti dei precari, ecc.) hanno in parte smentito tale previsione.

Oltre alla perdita subita in termini di salario reale e diritti, gli insegnanti della scuola pubblica sono stati oggetto di vivace dibattito politico e mediatico, che ne ha messo in discussione la funzione sociale e la figura professionale attraverso ripetute accuse di scarsa produttività e di manipolazione ideo- logica degli alunni. Tale dibattito presenta molte somiglianze con quello in corso oltreoceano da alcuni decenni. Negli Stati Uniti, infatti, la critica più forte alla categoria degli insegnanti utilizza come argomento empirico i test sul ren- dimento degli alunni (da cui si ricaverebbe la produttività dei singoli insegnanti, considerata la variabile principale nel de- terminare l’insuccesso scolastico e la dispersione, in particolare nei quartieri poveri delle grandi città statunitensi), a cui si aggiungono le accuse di propaganda politica occulta da parte degli insegnanti delle scuole pubbliche statali.

È interessante cogliere il legame tra questo genere di discorso politico e la posizione conquistata dagli insegnanti nel mercato del lavoro.

La crisi strutturale che attraversa il capitalismo contemporaneo non ha fatto altro che accelerare, sul piano politico e culturale, i processi di ristrutturazione della scuola in corso da tre decenni negli Stati Uniti e in Europa.

“Defund, Deregulate, De-unionize” è l’imperativo che ha ac- comunato le politiche dell’istruzione proposte dagli stati oc- cidentali e dagli organismi internazionali (Ocse, Wto e Banca Mondiale in primis) negli ultimi trent’anni.

Il fatto che la critica alla categoria degli insegnanti assuma spes- so le forme prima menzionate dipende, in primo luogo, da alcune caratteristiche peculiari di tale professione, che impe- discono di mettere in atto le strategie più comuni per l’ab- battimento del costo del lavoro: l’innovazione tecnologica e la delocalizzazione degli impianti.

Nonostante un secolo di forte sviluppo del settore delle tec- nologie dell’istruzione – con un incremento in tempi recenti a seguito alla diffusione delle tecnologie informatiche – l’im- possibilità di eliminare la relazione educativa tra insegnante e classe, con i suoi insuperabili limiti numerici, ha fatto sì che il mondo della scuola restasse, in termini occupazionali, re- lativamente immune alle innovazioni tecnologiche. Allo stesso modo, la categoria degli insegnanti è fortemente resistente alle riorganizzazioni spaziali, non essendo, almeno per la quasi totalità dei cittadini, “delocalizzabile” (da un lato, non si possono mandare i figli a studiare all’estero, con quel che cosa la scelta; dall’altra, non si possono inviare a studiare i nostri giovani nei paesi dove attualmente si delocalizza l’in- dustria per i costi inferiori della manodopera). Tanto meno essendo possibile sostituire i docenti italiani con un esercito di manodopera straniera di riserva.

1. Oltre a ricevere molta attenzione dalla stampa è stato presentato per ben due

volte al popolarissimo The Oprah Winfrey Show ed è stato per due settimane al centro della programmazione della NBC (con tanto di intervista al presidente Obama).

2. Lo studio nazionale condotto dall’economista Margaret Raymond dell’Università

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di Stanford sui risultati nello studio della matematica degli studenti di più di 5000 charter schools statunitensi (CREDO Study, <http://credo.stanford.edu>) ha mostrato cheil 17 % di queste ottiene un livello di conoscenze superiore alle scuole pubbliche, il 37 % ha un risultato medio peggiore e il restante 46 % non presenta differenze significative.

In secondo luogo, gli insegnanti rappresentano un obiettivo polemico a causa del loro peso economico all’interno del settore pubblico statale e della loro forte sindacalizzazione. Le strategie di abbattimento del costo del lavoro appena descritte – sostenute da una serie di innovazioni normative – hanno avuto l’effetto di ridurre drasticamente il tasso di sindacalizzazione nel settore privato dei paesi industria- lizzati. Così, mentre i lavoratori industriali perdevano pro- gressivamente la loro capacità contrattuale e politica, il settore pubblico statale ha continuato ad aumentare la percentuale di iscritti al sindacato tra le sue file. E non solo di pensionati. Tuttavia vi è una terza questione, più generale, che riguarda il rapporto scuola-società e la funzione sociale degli insegnanti: si tratta dell’idea secondo la quale la mobilità sociale degli in- dividui dipende in ultima istanza dalla qualità della formazione ricevuta. Avendo frettolosamente equiparato frequenza sco- lastica e qualità della formazione ed avendo costatato che negli ultimi 40 anni, per esempio, la mobilità sociale assicurata dalla scuola ai figli delle strati sociali più deboli è di gran lunga peg- giorata, si finisce per attribuire la responsabilità di questo man- cato riscatto al sistema scolastico statale, incapace di predisporre un’offerta formativa adeguata e valorizzante. All’interno di questa visione, scuola e insegnanti sono quindi considerati una delle cause primarie della disugua- glianza sociale. Dimenticando che è piuttosto la mancanza di adeguate politiche sociali e strutturali di intervento a de- terminare il fenomeno.

In America, per esempio, si dice che, se i risultati delle scuole pubbliche nelle periferie sono scarsi, la colpa sarebbe dei co- siddetti “bad teachers”, “cattivi insegnanti” protetti da un po- tentissimo sindacato che ne impedisce il licenziamento. A causa loro i bambini delle poor neighborhoods non riusci- rebbero ad accedere all’istruzione superiore. È questa la tesi del documentario Waiting for Superman, diretto da David Guggenheim (documentarista vicino alla sinistra americana, nonchè regista del famoso An Unconvinient Truth con Al Gore) e finanziato, tra gli altri, da Bill Gates e da altri magnati. Il film, che ha riscosso un grande successo trasversale tra con-

servatori e democratici ed ha goduto di una copertura pub- blicitaria senza precedenti nella storia dei documentari, pro- pone essenzialmente due soluzioni:

1) il licenziamento del 10% degli insegnanti (quelli che risul- tano avere una produttività bassa rilevata a partire dai risultati ottenuti dai loro allievi);

2) la diffusione delle Charter Schools, ossia scuole finanziate dallo stato ma gestite da privati, che assumono quasi esclusivamente insegnanti non sindacalizzati.

Nonostante le forti critiche ricevute e le molte inesattezze ri- scontrate da economisti e sociologi a partire dai dati statistici palesemente in contrasto con quelli del dipartimento di stato americano e di altre autorevoli fonti2, Waiting for Superman

ha saputo intercettare e alimentare un movimento d’opinione contro gli insegnanti della scuola pubblica e i loro sindacati, che si è espresso violentemente in occasione dei recenti conflitti che hanno interessato insegnanti e lavoratori pubblici del Wi- sconsin. È sufficiente una breve rassegna della letteratura scien- tifica disponibile per mettere in discussione la base empirica e i presupposti teorici della tesi secondo la quale gli insegnanti rappresenterebbero il fattore più importante nel determinare i risultati degli studenti. Eric Hanushek, economista dell’istru- zione dell’Università di Stanford, ha dimostrato che l’influenza di tale fattore non arriva al 10%, collocando gli insegnanti al primo posto tra i fattori determinanti all’interno della scuola. Ma a fare veramente la differenza sono fattori esterni. Un’ampia ricerca condotta dall’economista Dan Goldhaber dell’Università di Washington rivela che il 60% dei risultati dipende da fattori extra-scolastici, come, ad esempio, il reddito della famiglia d’origine.

Kazimir Malevich,

Signora alla stazione del tram (1913),

Amsterdam, Stedelijk Museum.

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Diane Ravitch, pedagogista e consulente prima del governo Clinton e poi del governo Bush, a suo tempo appassionata sostenitrice del programma No Child Left Behind, ha definito inaccettabile e sbagliata la tesi sostenuta dal documentario: «Nonostante la profonda influenza degli insegnanti sugli stu- denti» ha scritto in un lungo articolo pubblicato sul New York Times3«è assurdo pensare che possano da soli riparare al dan-

no causato dalla povertà e dalle problematiche che ne deri- vano». Da noi tutte queste erano consapevolezze sono state a lungo quasi scontate, come testimonia anche una numerosa serie di studi pedagogici e di documenti perfino ufficiali di politica scolastica. Nei tre anni di crisi economica appena tra- scorsi, tuttavia, il dibattito sulla scuola italiana ha assunto, nel senso comune, caratteristiche simili a quello statunitense, dalla critica al ruolo dei sindacati alle accuse di inefficienza alla scuola e ai docenti. Anche il modello delle Charter Schools è andato ricevendo un’attenzione crescente. A ciò si aggiun- gono le riflessioni di alcuni pedagogisti libertari o radicali che,

3. D. Ravitch, The myth of charter schools, «New York Times», 11/11/2010. Ma della

stessa autrice cfr. il molto interessante The Death and Life of the Great American School System. How Testing and Choice are Undermining Education, Basic Book, New York 2011.

4. Si veda, ad esempio, G. Fofi, La disfatta del ceto pedagogico, «Gli asini», n. 2,

settembre-ottobre 2010.

Sul numero di giugno, a cura del prof. Carlo Lottieri (Università di Siena), Nuova Secondaria ospiterà un secondo approfondimento sul tema della crisi, adoperando quadri interpretativi e criteri di giudizio che interloquiranno in maniera criticamente costruttiva con quelli presentati in questo inserto. Il tema è del resto così importante che merita l’attenzione della Rivista e, si spera, l’interesse dei lettori.

Anticipiamo, in sintesi, l’argomento dei contributi che saranno pubblicati in giugno.

La crisi economica è conseguenza di un eccesso di regolamentazione e di politiche che, con lo scopo di perseguire obiettivi politici, hanno creato un'enorme fonte di azzardo morale. Su questa crisi globale si sovrappone, nel nostro paese, una crisi peculiare, che si trascina da almeno 20 anni e che deriva dall'eccessivo peso e inefficienza dello Stato. Solo una riduzione dello Stato e un ampio processo di deregolamentazione può aiutare il paese a tornare a crescere. (Carlo Stagnaro)

Molti temi al centro del dibattito pubblico riguardante la crisi in atto manifestano una generale difficoltà a intendere il significato di un insieme di enti e oggetti sociali che sfuggono a una comprensione diretta e che però non sono meno reali, né meno utili allo sviluppo delle potenzialità economiche e innovative della nostra società. Quanti rigettano il modello di un'economia capitalistica - basata su risparmio, contratti, finanza, investimenti - sono spesso portati ad assumere tale posizione dalla difficoltà di gestire tutta una serie di relazioni cognitive non lineari: una difficoltà che finisce per rafforzare i loro pregiudizi ideologici. (Carlo Lottieri)

seppur con argomentazioni differenti, si uniscono al coro di voci che attribuiscono agli insegnanti la responsabilità del mal- funzionamento della scuola pubblica statale italiana. Un clima del genere, unitamente alle pressioni derivanti dalla situazione economica generale, potrebbe indebolire non poco non solo la qualità culturale complessiva della scuola, ma an- che e soprattutto la storica, per il nostro paese, attenzione so- ciale, culturale e politica nei confronti della funzione di pro- mozione sociale attribuita al sistema scolastico.

Michele Dal Lago Università di Bergamo