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cRITERI dI RIFERIMEnTO PER L’AzIOnE FORMATIvA

Nel documento Dirigere una scuola accogliente (pagine 145-149)

Scelte sequenziali (e variabili) della progettazione formativa

4. Orientamenti per la formazione di dirigenti scolastici e direttori cFP

4.6. cRITERI dI RIFERIMEnTO PER L’AzIOnE FORMATIvA

Dopo quanto evidenziato in relazione all’aspetto epistemologico e pedagogico delle funzioni dirigenziali, consegue, come obiettivo formativo essenziale quello di favorire nel dirigente/direttore un approccio epistemologicamente consapevole e pe-dagogicamente aperto all’autoriflessione ed alla revisione del proprio apparato teo-rico e metodologico in relazione alle strutture e alle componenti che presidiano la formazione in età adolescenziale ed in età adulta. È anche necessario:

Creare un contesto che promuova occasioni sistematiche e coerenti di svilup-po professionale centrate sulla riflessività-ricerca-innovazione.

sostenere l’azione dei dirigenti scolastici in situazione, diventando risorsa per la loro professionalità.

stimolare il confronto e il dibattito, nazionale e internazionale, sulle questio-ni della leadership educativa.

se la formazione è da intendersi quale azione del formare, ma anche del formarsi, diviene importante riflettere e svelare le teorie implicite che il soggetto costruisce nel corso della propria formazione e che orientano il suo agire. Formarsi significa riflettere sui significati costruiti che hanno guidato i progetti di vita individuali, for-mativi, sociali e professionali. In questa chiave sono da leggersi i contributi offerti da r. Massa circa la possibilità di dar vita ad una “clinica della formazione”, in cui l’evento educativo viene assunto come “testo diretto di analisi empirica e di elabora-zione conoscitiva, piuttosto che come terreno di progettaelabora-zione tecnica o indicaelabora-zione prescrittivi.”16 La formazione, allora, può essere intesa quale processo, di tipo metaco-gnitivo, di scoperta, di consapevolezza e/o ri-significazione delle passate esperienze formative ma anche come pratica di tipo narrativo con riferimento ai principi della riflessività e dell’autobiografia.17

Il racconto di sé, infatti, tende al disvelamento di quanto è in potenza racchiuso nelle scelte, negli eventi e nelle esperienze di vita, formative e non, di ciascuno, av-viando verso una maggiore auto-consapevolezza. Occorre sottolineare che tale per-corso di presa di coscienza non può certamente riferirsi solo agli aspetti meramente cognitivi del processo di apprendimento; in linea con le recenti teorizzazioni peda-gogiche, è necessario abbandonare la visione dicotomica e non dialettica dell’essere

16 r. Massa, La clinica della formazione, Franco angeli, Milano 1992, p. 155.

17 Fra le buone pratiche di formazione dei quadri dirigenziali degli istituti scolastici, si segnala il pro-getto 2008/2009 promosso dall’Iprase e dalla provincia autonoma di Trento, con fondi Fse, per

“promuovere e sostenere la crescita professionale e le competenze manageriali di dirigenti scolastici e direttori di CFp, con la finalità di migliorare il sistema formativo e di favorire l’implementazione del cambiamento promosso dalla legge 5/2006”. Tale progetto si è avvalso di quattro ambiti strategici di azione: 1) Co-progettazione del dispositivo permanente di formazione in servizio (in cui è stata prevista come necessaria l’assunzione da parte dei dirigenti stessi dei propri obiettivi di sviluppo professionale continuo). 2) sperimentazione di un modello di formazione permanente dei dirigenti scolastici (con uso di un modello orientato a delineare un dispositivo per l’attivazione di servizi dedicati alla formazione iniziale ed in servizio, nell’ottica permanente). 3) realizzazione delle iniziative di formazione a livello collettivo e di gruppo. 4) attivazione di servizi di accompagnamento e sostegno allo sviluppo conti-nuo della professionalità (ad esempio, visite di studio in Italia e in paesi europei per approfondire altre tematiche coerenti con gli interventi di formazione in servizio).

umano che concepisce come distinte e separabili la vita affettiva e quella conosciti-va. È importante che ciascuno sia in grado di conoscere e gestire consapevolmente non solo le produzioni intellettuali ma anche le proprie emozioni che co-orientano, insieme con gli altri processi mentali, la conoscenza ed il comportamento umano.

In altre parole, occorre sviluppare quella che Howard Gardner definisce “intelligen-za emotiva”18 che incoraggia ad adottare soluzioni olistiche ed ecologiche nel lavoro formativo. Il processo d’apprendimento è di fatto un processo in cui intervengono, simultaneamente e interattivamente, ragione ed emozione.

La consapevolezza del carattere implicito dei modelli di azione ha introdotto nel panorama pedagogico dell’ultimo decennio una molteplicità di percorsi pratico ope-rativi finalizzati alla formazione dei formatori e dei dirigenti, riconducibile ai filoni narrativi ed autobiografici. In un laboratorio di epistemologia e pratiche dell’educa-zione è possibile coniugare il metodo autobiografico con lo studio in chiave sincro-nico-comparativa dei modelli contemporanei di formazione al fine di favorire una scelta consapevole non solo del modello di riferimento, ma anche degli strumenti operativi più adeguati, consentendo una più attenta revisione degli stessi attraverso l’attivazione di dispositivi di autoriflessione. Questo approccio metodologico con-sente ai formatori di divenire attivi costruttori dei presupposti teorici a partire dai quali interpretare la propria esperienza formativa, piuttosto che fornire un quadro interpretativo esterno che limiterebbe la possibilità di scelte critiche. In questo conte-sto la presenza di un osservatore/formatore può favorire il processo di esplicitazione delle modalità di conoscenza e della dimensione emotiva osservando e restituendo all’altro quanto rilevato dall’esterno.

attualmente la formazione è intesa come processo relazionale e continuo che ha l’obiettivo di favorire lo sviluppo e la crescita della persona nel modo più adeguato possibile all’interno dei contesti di vita in cui si trova ad operare. Il processo di co-noscenza è un processo di co-co-noscenza (in latino cum gnoscere vuol dire conoscere insieme), di co-formazione, di co-evoluzione e, quindi, è quanto mai necessario che il formatore sia consapevole del suo rapporto con il sapere, riconoscendone i limiti e la provvisorietà, aprendolo al cambiamento. “La coevoluzione, insomma, richiede la condivisione di certi presupposti, a cominciare da quello che ogni individuo accetti l’eventualità di cambiamenti […]; che sia predisposto, cioè, ad ammettere il cambia-mento necessario alla coevoluzione; in altri termini, di risalire alla conoscenza delle strategie cognitive messe in atto nel momento in cui si costruisce il rapporto con ciò che ci circonda”19. per il formatore, ovviamente, risulta necessario tale processo di

18 H. Gardner, Una molteplicità di intelligenze, in “Le scienze” dossier, ed. italiana, Milano, n. 1(1999), p. 21.

19 r. Conserva, La stupidità non è necessaria. Gregory Bateson, la natura e l’educazione, La Nuova Italia, Firenze, 1996 p. 183.

auto-consapevolezza per poter offrire una disponibilità e un’attenzione all’altro che sia competente e professionale.

In questo senso importante sembra essere la proposta di D. Fabbri e a. Munari di costituire laboratori di epistemologia operativa in cui si svolgano “delle attività che ci fanno prima di tutto capire come conosciamo e come funzioniamo razionalmente ed emotivamente mentre conosciamo”20. L’idea è di avviare un percorso di ricerca-formazione che coinvolga i dirigenti, per evidenziare le possibilità di innovazione, valorizzare le pratiche, far emergere la “scuola nascosta”, le rappresentazioni cognitive implicite, accostandosi alle problematiche educative attraverso un approccio com-plesso e partendo dal contesto reale. proprio la metafora, in quanto velo che cela il rimosso, può essere uno dei luoghi privilegiati da cui interrogare il conosciuto non pensato della quotidiana prassi formativa.

secondo Fabbri e Munari, un percorso formativo per dirigenti deve configurar-si come laboratoriale, posconfigurar-sibilmente diviso in due momenti: il primo ruota attorno all’analisi dei principali modelli di formazione in chiave pedagogica, mettendone in luce le radici storiche e collocandoli poi nel contesto contemporaneo; il secondo, di tipo laboratoriale, va caratterizzato attraverso tre tappe:

1. pluralità di punti di vista = pluralità di modelli di riferimento = disordine (soggettivo);

2. comparazione = ordine (soggettivo);

3. scelta = capacità di gestire il disordine = conoscenza soggettiva= modello soggettivo provvisorio.

Un tale laboratorio è finalizzato alla scelta esplicita di un modello ed alla ricostru-zione del percorso culturale ed esperienziale formale, non formale ed informale da cui è emersa la scelta, vissuta comunque, in termini di provvisorietà.

Il secondo momento del percorso laboratoriale può prevede che, una volta in-dividuato il modello di riferimento a seguito della comparazione, il dirigente rico-struisca in forma ipertestuale il percorso culturale a partire dal quale ha operato la scelta, tenendo conto del fatto che essa è stata orientata oltre che dalla sua storia di vita quotidiana (primo livello), anche dalla selezione degli input culturali ricevuti nel corso della formazione formale (secondo livello). si viene configurando così un modello reticolare all’interno del quale è possibile individuare nodi che si riferiscono alla formazione informale, alla formazione non formale, ma anche a quella formale.

Un siffatto laboratorio si pone l’obiettivo di contribuire allo sviluppo di nuove e più significative competenze che rappresentino un valore aggiunto rispetto alle

cono-20 D. Fabbri, La memoria della regina. Pensiero, complessità, formazione, Guerini e associati, Milano 1990, p. 38.

scenze formalizzate, acquisite presso i vari enti formativi. Competenze che possano favorire una più “diffusa capacità di iniziativa educativa”21, coniugando l’educazione formale con quella non formale e riconoscendo come protagonista di tale progetto formativo il soggetto adulto in formazione, nel suo specifico dirigenziale. In partico-lare il laboratorio può sostenere compiti di:

analisi del sapere formale, informale e non formale attraverso la costruzione di testi;

promozione di processi auto-formativi che rendano esplicita la dimensione trasformativa ed educativa del personale percorso esistenziale e formativo;

analisi delle pratiche;

costruzione e gestione di strumenti;

esperienza della ricerca sul campo;

sperimentazione e validazione di metodologie e strumenti a carattere inno-vativo nella governance;

concettualizzazione pedagogica, auto-valutazione dell’esperienza e rielaborazione del processo;

raccolta documentale relativa a iniziative, progetti e realizzazioni già concretizzate;

raccolta di testi e organizzazione di una bibliografia specifica italiana e straniera.

4.7. RuOLO dEI cEnTRI PER LA RIcERcA dIdATTIcA E LA FORMAzIOnE

Nel documento Dirigere una scuola accogliente (pagine 145-149)

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