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I paradigmi dell’organizzazione scolastica

Nel documento Dirigere una scuola accogliente (pagine 55-60)

2. Fondamenti dello sviluppo professionale dei dirigenti scolastici e dei direttori cFP

2.1. nucLEI EPISTEMOLOGIcI FOndAMEnTALI

2.1.2. I paradigmi dell’organizzazione scolastica

Le scuole sono istituzioni autonome le cui espressioni di autonomia dipendono da quella culturale e pedagogica, prima di ogni altra cosa. I modelli ed i paradigmi con cui si rappresentano sono fondamento per l’azione formativa.

Il problema da cui partire: che tipo di organizzazione è la scuola? si presuppone cioè che la scuola sia ascritta alla categoria delle organizzazioni. Ma non sempre è così. soprattutto è molto recente il tentativo di ridefinire il contorno della scuola in quanto organizzazione. Fino all’entrata in vigore della legge 59/1997 sull’autonomia, la scuola ha mantenuto in modo inalterato una struttura e un’organizzazione di tipo burocratico-amministrativo. e dopo l’autonomia? secondo questo modello le circo-lari e le direttive ministeriali costituivano il riferimento operativo fondamentale; in questo senso la scuola ripeteva un paradigma molto simile a quello dell’industria taylorista. Questa formula tende a ripresentarsi in momenti di maggiore chiusura e irrigidimento del sistema: in questi ultimi anni – ad esempio – si è tornati ad una nuova forma di dirigismo ministeriale.

Prima dell’autonomia anche l’organizzazione scolastica è regolata in modo verti-cale o verticistico. Dalla legge Casati (1859) il capo di istituto ha la funzione di “pre-sidiare la scuola alla periferia dello stato”. Il preside è il garante del buon andamento dell’istituto. Questa condizione si protrae anche fino agli anni settanta del secolo scorso, quando il sistema viene rovesciato in modo orizzontale dai decreti delegati del 1974 (n. 417), dove il preside assolve, promuove, presiede, assicura, rappresenta, adotta, propone.

al personale docente viene garantita la libertà di insegnamento al fine di “pro-muovere attraverso un confronto aperto di posizioni culturali la piena formazione della personalità degli alunni. Tale azione di promozione è attuata nel rispetto della coscienza morale e civile degli alunni stessi”.

eppure, nello stesso Dpr, gli art. 2,3,4 trattano le funzioni di docente e dirigente definendo soprattutto il “cosa fa”, senza specificare “chi è”.

La scuola pautonomia derivata dalla legge Casati e dalla riforma Gentile era re-golata essenzialmente sul fronte dei contenuti dai programmi ed ordinamenti secon-do un sistema che si potrebbe definire ministero-centrico. Gli stessi Organi Collegiali (istituiti con Dpr 416/74) si inseriscono nell’organizzazione scolastica in modo un po’ anomalo: sono organismi di partecipazione e non di gestione:

Le risorse finanziarie sono determinate e assegnate dallo stato sulla base di parametri fissi.

Le materie ed i programmi di insegnamento sono nazionali.

La libertà di insegnamento è garantita ai singoli docenti e la responsabilità della programmazione didattica appartiene al Collegio Docenti.

Le procedure per l’acquisto di materiale per la scuola sono fissate per legge.

La struttura del bilancio è rigidamente divisa in capitoli.

La lettura del sistema di leggi, decreti, ordinanze e circolari che regola la scuola pre-autonomia ci consente di inquadrarla con buona approssimazione nel paradigma classico (o idealtipo) della burocrazia, con alcune sbavature dovute all’inserimento di elementi più organici, che attenuano gli aspetti più gerarchici e la divisione del lavoro e delle responsabilità. secondo Weber la burocrazia è un tipo ideale di organizzazione, una forma razionale per l’esercizio di un’autorità legalmente legittimata che consegue gli obiettivi per cui è posta in atto attraverso la corretta individuazione di sottosistemi (uffici). Le qualità fondamentali che caratterizzano tale modello burocratico sono:

La spersonalizzazione.

L’orientamento strumentale ai fini.

La specializzazione, che comporta suddivisione e attribuzione di compiti e responsabilità.

La gerarchia.

La formalizzazione.

Oggettività, neutralità, trasparenza.

La transizione degli anni Ottanta e Novanta. Il mondo imprenditoriale comincia a premere su quello formativo perché tenga conto della necessità di preparare i futuri lavoratori ad un sistema produttivo ad alto valore aggiunto e ad un mercato del lavoro fortemente dinamico. Il sistema politico inizia a chiedere al suo apparato burocrati-co risparmi, razionalizzazione dei burocrati-costi e verifica dei risultati burocrati-con l’introduzione di elementi privatistici anche nel rapporto di lavoro pubblico. a causa di un’inversione di tendenza demografica, nella scuola si verifica il fenomeno degli esuberi. a partire

dagli anni Ottanta, due grandi processi modificano lo scenario in cui agisce il sistema formativo:

Il mercato del lavoro diventa instabile e turbolento, in relazione ai processi di cambiamento tecnologico e di integrazione internazionale.

L’organizzazione della stato e della pubblica amministrazione cambia con processi di ridimensionamento, decentramento e trasformazione.

si tratta di gestire la transizione. L’accordo raggiunto nel luglio del 1993 (pacchet-to Treu) tra governo e parti sociali contiene un capi(pacchet-tolo dedica(pacchet-to alla formazione.

In esso si afferma che la formazione è uno dei cardini su cui si regge un sistema produttivo capace di sostenere la competizione in un mercato che richiede cultura, informazione e capacità di apprendere. La concertazione si caratterizza per alcuni passaggi fondamentali:

Formazione di base forte, educazione alla flessibilità (imparare ad imparare).

Orientamento, non solo scolastico e professionale, ma inteso come abilità ge-nerale da utilizzare in tutti i contesti della vita.

Integrazione dei sistemi formativi scuola-università, ma anche statale-regio-nale-convenzionato.

Offerta di titoli di studio intermedi (post-diploma e lauree brevi).

raccordo con le politiche Ue.

Quando, con la legge cost. 3/2001 alle regioni, viene attribuita una competenza concorrente su determinate materie (art. 117.3) nelle quali spetta allo stato fissare i principi fondamentali, l’istruzione rientra fra tali competenze (fatta salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche). Di competenza esclusiva delle regioni è la formazione professionale. Oltre alla centralità delle leggi regionali in materia di istruzione e for-mazione, nella legge vengono introdotti importanti riferimenti al lifelong learning.

La lunga transizione è caratterizzata dalla difficoltà, da parte della scuola, ad assu-mere un connotato di stabilità, e dall’urgenza di una definizione in termini organiz-zativi. Benché la scuola non possa essere paragonata ad una fabbrica, nell’organizza-zione della pre-autonomia non è possibile ignorare alcune analogie:

La modalità di un’organizzazione piramidale e gerarchica.

La separazione fra la funzione direttiva e quella esecutiva (insegnamento) affidata ai docenti.

La scarsa attenzione alla qualità del prodotto (i risultati dell’apprendimento).

I molti scarti, che vengono via via eliminati dal ciclo di produzione (boccia-ture, abbandoni scolastici).

Scuola dell’autonomia, dirigenza scolastica-professionale e organizzazione. Il nuovo art. 117 disciplina la potestà legislativa di stato e regioni invertendo l’ordine delle competenze legislative: mentre in passato l’art. 117 enumerava solo le compe-tenze legislative delle regioni, partendo dal presupposto che tutte le altre erano di competenza statale, ora è lo stato ad essere titolare di competenze enumerate, cioè specifiche. Determinante il comma 8 dell’art. 21 della legge Bassanini con cui si attri-buisce autonomia funzionale alle istituzioni scolastiche: “L’autonomia organizzativa è finalizzata alla realizzazione della flessibilità, della diversificazione, dell’efficienza e dell’efficacia del servizio scolastico, all’integrazione e al miglior utilizzo delle ri-sorse e delle strutture, all’introduzione di tecnologie innovative e al coordinamento con il contesto territoriale”. Tale autonomia si esplica liberamente, anche mediante il superamento dei vincoli in materia di unitarietà oraria della lezione, dell’unitarietà del gruppo classe e della modalità di organizzazione e impiego dei docenti.

Tab. 5 - Modello burocratico-amministrativo vs modello dell’autonomia scolastica Modello Organizzazione La scuola come apparato burocratico

del potere

Con la riforma dell’autonomia si avvia un mutamento fondamentale per l’istitu-zione scolastica, con vari livelli di ricaduta:

Effetti di tipo didattico: progettazione flessibile dei curricoli, aggregazione di discipline, documentazione, valutazione; offerta formativa con progetti sco-lastici ed extra-scosco-lastici; rapporti col territorio.

Effetti di tipo organizzativo: nascita di funzioni intermedie (funzioni obietti-vo); staff, dipartimenti; clima organizzativo, autovalutazione, qualità totale.

Effetti di ricerca, sperimentazione e sviluppo: reti di scuole per costituire sinergie istituzionali, tecnologie, innovazione didattica.

sostanzialmente, l’autonomia ha dato ampio respiro ad una tendenza già in atto nella scuola, quella della complessità interna. Ha pure valorizzato la dimensione indivi-duale delle istituzioni scolastiche, la loro personalità e il loro radicamento sul territorio.

anche la trasformazione della figura del Capo di istituto in Dirigente scolastico (legge 59/1998) ha contribuito a far assumere atteggiamenti di tipo organizzativo. per la dirigenza scolastica, la normativa (regolamento attuativo Dpr 275/1999) prevede che il dirigente scolastico assicuri “la gestione unitaria dell’istituzione, ne ha legale rappresentanza, è responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumenta-li e dei risultati del servizio. Nel rispetto delle competenze degstrumenta-li organi collegiastrumenta-li, spettano al dirigente scolastico autonomi poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane. In particolare, il dirigente scolastico organizza l’attività scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia formative ed è titolare delle relazioni sindacali”. Da burocrate-esecutore, a professionista della dirigenza nel settore scuola. Del dirigente vengono valorizzate le istanze manageriali, l’attenzione allo sviluppo delle risorse umane, la gestione delle risorse finanziarie: “Il dirigente scolastico promuove gli interventi per assicurare la qualità dei processi formativi e la collaborazione delle risorse culturali, professionali, sociali ed economiche del terri-torio, per l’esercizio della libertà di insegnamento, intesa anche come libera ricerca e innovazione metodologica e didattica, per l’esercizio della libertà di scelta educativa delle famiglie e per l’attuazione del diritto all’apprendimento da parte degli alunni”.

È possibile sintetizzare attraverso quattro paradigmi il processo di evoluzione/

involuzione storico-sociale delle istituzioni scolastiche italiane:

1. La scuola dell’individualizzazione.

Luogo di promozione dell’apprendimento e dello sviluppo autonomo del-lo studente

scuola dell’intelligenza multipla

Didattica individualizzata

Luogo di curiosità per l’apprendimento

Organizzazione che apprende

2. La scuola della riproduzione.

Fonte di conoscenze e qualificazioni

Fare scuola standardizzato

Luogo di trasferimento di conoscenze

raggiungimento di standard

Burocrazia professionale

3. La scuola della globalizzazione-localizzazione

scuola in contatto con diverse fonti

Forte coinvolgimento dei genitori e della comunità

scuola delle reti

scuola del mondo

Opportunità di apprendimento illimitate

radicamento locale e internazionale

4. La scuola centrata su se stessa.

scuola isolata

rapporti deboli con la comunità

scuola autosufficiente

Opportunità di apprendimento circoscritte

esperienze alternate e discontinue

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