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EFFIcAcIA Ed EquITà: duE ESIGEnzE cOncILIABILI

Nel documento Dirigere una scuola accogliente (pagine 29-35)

Nei paesi democratici non è legittimo, all’interno dei sistemi formativi, contrap-porre il principio dell’efficacia e quello dell’equità, quando si tratta di due esigenze in-dissociabili: i sistemi formativi devono essere contemporaneamente equi ed efficaci.

si tratta di trovare il modo di coniugare le due esigenze, in termini di obiettivi.

Il dibattito degli anni sessanta e settanta ha lasciato in eredità un concetto im-portante, quello di selezione legata alla valutazione formativa e orientativa, che ri-volge la sua attenzione non soltanto a standard o a risultati oggettivi, ma anche al processo di costruzione dell’apprendimento e quindi agli esiti conseguiti dal soggetto all’interno di un percorso personale, con una valorizzazione quindi degli aspetti di differenziazione e personalizzazione dei curricoli e dei ritmi di apprendimento. È proprio da questo bagaglio di esperienze e di riflessioni teoriche che occorre ripar-tire per ricollocare le funzioni di efficacia ed equità in modo adeguato alla realtà della scuola contemporanea e del suo funzionamento, all’interno di quel discorso più ampio sul successo formativo che si è visto emergere negli anni più recenti. ap-pare del tutto evidente come i tradizionali meccanismi selettivi producano “morta-lità scolastica” nella forma di bocciature, ripetenze, abbandoni e questo soprattutto fra gli alunni provenienti dagli strati sociali inferiori. si impone la necessità di una ridefinizione dei criteri da adottare, soprattutto da quando si è cominciato a mettere a fuoco il problema dei drop out, cioè di tutti quegli alunni che fuoriescono dalla rego-larità scolastica e spesso in modo così vistoso da accumulare ripetenze o da arrivare all’assolvimento dell’obbligo formale uscendo dalla scuola senza il conseguimento del titolo finale. Vengono evidenziati soprattutto la perdita di capitale umano, lo spreco di talenti, cioè di risorse umane che, pur ben dotate, non riescono a reggere l’impe-gno scolastico per mancanza di risorse culturali adeguate di partenza. È in questa prospettiva che emerge il malinteso radicale con cui opera la scuola: «trattando tutti i discenti, anche se di fatto disuguali, come uguali nei diritti e nei doveri, finisce di fatto per sancire le disuguaglianze iniziali di fronte alla cultura»19 (ivi, p. 30) e in tal modo trasforma il privilegio in merito, considerando i risultati scolastici come se fossero legati esclusivamente a doti naturali. Negli ultimi decenni finisce con il pre-valere, soprattutto nella scuola italiana, il principio dell’accoglienza, dell’inclusione, di una scuola “di tutti”. Da molte parti si contrasta l’uso di termini come selezione, merito, mentre si cercano misure compensatorie di riduzione del gap iniziale tra gli alunni. si tratta di un impegno gravoso, soprattutto di fronte a una popolazione sco-lastica altamente eterogenea per provenienza sociale, culturale e per diversità

rile-19 p. Bourdieu, La trasmissione dell’eredità culturale, in M. Barbagli (a cura di), Istruzione, legittimazione e conflitto, Il Mulino, Bologna 1978, p. 30.

vanti riguardo a motivazioni, aspettative, requisiti per l’apprendimento e, soprattutto, in presenza di un consistente e multiforme insuccesso scolastico, anche se spostato progressivamente a livello della scuola secondaria superiore, in una sorta di “selezio-ne differita”, che di fatto libera la scuola dell’obbligo dall’affrontare in modo nuovo la questione della selezione in funzione di una popolazione che è radicalmente cambia-ta nella sua composizione e nelle sue caratteristiche. Tutcambia-tavia, gli obiettivi fissati dal Consiglio europeo di Lisbona del 2000, che prevedono entro il 2010 la riduzione, nei diversi paesi europei, al 10% dell’ammontare di giovani nella fascia d’età 18-24 anni senza titolo di scuola secondaria superiore e non più in formazione (early school leavers), vede ancora l’Italia in ritardo: nel rapporto 2008, l’Isfol segnala, nella fascia d’età 14-17 anni, circa 120.000 giovani (pari al 5% della popolazione corrispondente per età) in situazione di evasione del diritto-dovere all’istruzione e formazione. a questo numero va aggiunta una quota non indifferente di giovani apprendisti che non sono impegnati in alcuna attività formativa, per cui la stima alla fine è di circa 150-155 mila giovani non inseriti in alcun percorso formativo istituzionalizzato. Il dato relativo all’evasione del diritto-dovere tocca soprattutto il sud (8%) e il Centro (4.1%), quasi per niente il Nord-est (0,6%) e, invece, in misura significativa, anche il Nord-Ovest (3,9%). altro aspetto problematico, evidenziato nell’ultimo rapporto Isfol 2009, è la regolarità degli studi: il relativo tasso è molto buono nei licei mentre negli istituti professionali solo 55 studenti su 100 risultano in regola con il percorso scolastico. Quanto al tasso di produttività (numero di maturi in rapporto agli iscritti al 1° anno di scuola secondaria superiore 5 anni prima) su 100 studenti iscritti nel 2003/2004 sono 66 quelli che hanno conseguito la maturità nel 2007/2008. per quan-to riguarda bocciature, ripetenze, abbandoni, negli ultimi decenni si è assistiquan-to ad una trasformazione del fenomeno della selezione e della dispersione scolastica: ad una diminuzione degli abbandoni, soprattutto nella scuola media, si accompagna un aumento delle bocciature. L’insuccesso scolastico, misurato in termini di bocciature e di ripetenze, appare tuttora un fenomeno di rilievo, anche se attuato attraverso una selezione differita, che ha spostato il problema a livello della scuola secondaria di II grado. L’obiettivo della piena e buona occupazione, che rappresenta l’orizzonte sociale in cui si colloca la strategia di Lisbona, trova nel deficit di competenze – espresso dal tasso di fallimento - uno dei problemi-chiave a cui porre rimedio. Il nuovo orienta-mento strutturale verso un’economia della conoscenza alimenta e amplifica quel defi-cit e determina uno scarto tra le competenze offerte e quelle richieste dalla continua evoluzione tecnologica e organizzativa. Le persone che hanno solo un’istruzione di base lavorano meno anni e hanno periodi di inattività o disoccupazione più prolun-gati rispetto a chi ha un’istruzione superiore.

Ma il dato più vistoso è dato dall’evidente presenza di una selezione occulta ac-canto ad una selezione esplicita: molti studenti conseguono formalmente la licenza di scuola media pur in presenza di carenze vistose sul piano dell’apprendimento20. Questo va considerato un indicatore importante di come la scuola – e soprattutto la scuola dell’obbligo – non abbia realizzato una trasformazione dei processi di insegna-mento-apprendimento, ma solo aggiustamenti per ottemperare ad una realizzazione del principio di uguaglianza formale e al criterio ormai invalso della promozione a tutti il più possibile, senza tuttavia coltivare un’attenzione piena e reale al singolo per il raggiungimento di esiti concreti di apprendimento. Nel nuovo contesto le storie delle persone tendono a differenziarsi in modo del tutto nuovo rispetto al passato. si tratta dunque di sviluppare la capacità di ciascuno di leggere il sapere, tenendo insie-me sapere e saper fare, cominciando dai bambini, perché è lì che le differenze sociali e culturali delle famiglie di origine condizioneranno più pesantemente le possibilità future di apprendimento. La dotazione di strutture educative per l’infanzia a partire dai primi mesi di vita è il fattore più importante tra quelli alla base dei tassi di ab-bandono scolastico nelle diverse regioni europee: investire risorse per generalizzare i processi educativi dei bambini è dunque una priorità anche perché il successo della formazione degli adulti parte da lì. si tratta di sviluppare l’intelligenza che c’è in ogni persona, fin dai primi anni di vita e per tutta l’età adulta, e con essa la disponibilità e la capacità di apprendere.

L’ottica dell’uguaglianza perseguita da sola, in modo univoco, senza un’attenzio-ne agli aspetti reali dei processi di insegnamento-apprendimento, come per esem-pio l’esigenza di ragazzi dotati con poche risorse e stimoli o dei ragazzi dotati che si annoiano in un insegnamento livellato, di basso profilo o, ancora, degli alunni con handicap o dei ragazzi stranieri, si rivela sempre più debole, soprattutto perché di-venta inevitabile un abbassamento generale degli standard di apprendimento, che le più recenti indagini OCse-pIsa hanno messo in luce riguardo alle prestazioni degli studenti quindicenni italiani rispetto agli altri paesi coinvolti nell’indagine interna-zionale.

per reimpostare oggi la questione del rapporto tra equità e merito occorre liberar-si innanzitutto di un malinteso: quello per cui, perseguendo l’ottica dell’uguaglianza si debbano ignorare diversità e differenze, che invece vanno riconosciute e valorizza-te. Il processo di maturazione di una sensibilità verso il tema delle differenze ha avuto un’accelerazione significativa negli ultimi due decenni e ha portato ad un aumento dell’attenzione alle varie forme di diversità e di differenza: per esempio, alla disabilità e oggi anche ad una nuova utenza, formata dagli alunni provenienti da tanti e diversi

20 e. perone, Una dispersione al plurale. Storie di vita di giovani che abbandonano la scuola nella tarda modernità, Franco angeli, Milano 2006.

paesi del mondo per i quali si richiedono analisi e buone pratiche per l’accoglienza, l’inclusione e l’integrazione scolastica.

In questa prospettiva, l’uguaglianza viene intesa, in modo del tutto riduttivo, come uniformità dei percorsi e degli esiti, dando scarsa rilevanza ai bisogni, aspettative ed esigenze di differenziazione. Ma, pur perseguendo questa linea, si osserva in ogni caso il permanere delle disuguaglianze e l’emergere di nuove forme di esclusione. Non è irrilevante il fatto che anche oggi continui ad esistere una “segregazione formativa”

in base all’origine sociale, per cui i vari indirizzi di scuola secondaria di II grado rac-colgono un’utenza diversificata in relazione al background familiare. emerge in tutta evidenza il ruolo significativo del capitale culturale dei genitori, soprattutto del titolo di studio, che viene definito un vero e proprio predittore delle carriere scolastiche e professionali dei figli. e non è neppure irrilevante che i più colpiti dalla selezione scolastica siano gli studenti con un basso capitale culturale e sociale.

a questo punto, appare chiaro come la questione dell’equità in educazione non pos-sa prescindere dalla considerazione delle diversità e delle differenze. La maturazione di questa consapevolezza comporta una messa al centro, nell’insegnamento-appren-dimento, sia della persona dell’alunno e le sue chances, costituite da risorse ma anche da vincoli e legami, sia dell’insegnante, con le sue competenze didattiche e la sua capacità di tenere sotto controllo contemporaneamente tanto un processo globale e obiettivi da raggiungere, quanto i percorsi individuali di appropriazione ed elabora-zione di conoscenze e competenze.

allo stesso modo, il problema del merito – la meritocrazia – che trova in questi ultimi tempi largo spazio nei dibattiti e nell’elaborazione delle politiche scolastiche,21 non può essere assunta come obiettivo dei sistemi di istruzione e formazione sen-za un’adeguata collocazione in relazione alle dinamiche che si sviluppano in ordine all’uguaglianza delle opportunità e alla differenziazione di doti, motivazioni, aspetta-tive. La questione del merito, affrontata in questa prospettiva, mostra in tutta eviden-za la necessità della messa in campo di un trattamento dis-uguale nei confronti di tutti quegli alunni dotati, ma con scarse possibilità di far emergere il proprio talento, data la povertà di stimoli, lo scarso orientamento all’achievement, poco sviluppato a par-tire dall’ambiente familiare, la distanza culturale con una cultura della scuola fondata sulla scrittura e su di un pensiero astratto, che richiede una lingua ricca ed articolata per l’elaborazione delle conoscenze.

D’altro canto, il merito dovrebbe poter diversificare i risultati, facendo emergere l’eccellenza e ridando alla scuola un compito alto, quello di una cura delle doti, dei talenti. Tutti gli studi e le ricerche in questo campo mettono in luce come la strada da

21r. abravanel, Meritocrazia. 4 proposte concrete per valorizzare il talento e rendere il nostro paese più ricco e più giusto, Garzanti, Milano 2008.

percorrere per una rifondazione di una meritocrazia “giusta” sia quella di liberare il più possibile il merito dai condizionamenti sociali e culturali d’origine.

Da una cura dei “migliori” (spesso figli delle classi alte e privilegiate) si passa ad una “coltivazione dei talenti”, con la consapevolezza che esistono più intelligenze e più possibilità del declinarsi del talento e quindi del merito22 e che i talenti sono spar-si nella popolazione scolastica e spesso occorre andare con molta tenacia a scovarli.

posta in questi termini, la questione della meritocrazia corrisponde ad una messa a tema del capitale umano e dello spreco dei talenti e riporta in primo piano un di-battito ormai aperto da qualche anno, quello della qualità della scuola, misurata sul duplice versante dell’efficienza e dell’efficacia.

se l’efficienza corrisponde alla costruzione di un equilibrio ottimale tra mezzi e fini, con un bilancio positivo da raggiungere in ordine all’attivazione e all’impiego delle risorse disponibili e agli scopi individuati, l’efficacia considera e misura inve-ce il grado di impatto dell’azione educativa e la sua capacità di trasformazione e di incremento delle risorse disponibili. Detto in altri termini, l’efficacia mette in luce quanto una determinata realtà educativa è in grado di incidere sulla valorizzazione e sul miglioramento delle situazioni di partenza. È evidente come questo abbia a che fare in prima istanza proprio con i soggetti in formazione, dove l’efficacia educativa corrisponde proprio alla capacità di far emergere e sviluppare tutto il potenziale in-tellettivo, relazionale, morale portandolo al suo massimo sviluppo. si può constatare la distanza che molte realtà scolastiche mostrano rispetto al parametro dell’efficacia così descritto, per abbandonarsi al rischio dell’inerzia e dello spreco sia di capitale sociale che di capitale culturale. si assiste oggi a situazioni sempre più diversificate che possono presentare una carenza di sinergia e quindi uno scollamento tra capi-tale sociale e capicapi-tale culturale, oppure che presentano un capicapi-tale sociale debole e fronte di un capitale culturale forte o viceversa. soggetti con forte capitale culturale – come è sovente il caso di allievi migranti – si ritrovano in posizione oltremodo de-bole nell’ambito dei processi di scambio centrali di una determinata società, quindi con una debolezza sul fronte della riconoscibilità e della valorizzazione. Viceversa, soggetti con forte capitale sociale dato da una loro posizione strutturale consolidata possono ritrovarsi con un capitale culturale inerte o poco spendibile o indebolito dall’incapacità di stare dentro i sistemi di istruzione o nei circuiti dell’informazione e della conoscenza. È il caso di molti studenti provenienti da situazioni sociali e cul-turali avvantaggiate, che rendono inerte la loro cultura familiare di riferimento e non riescono a valorizzare la scuola se non come erogatrice di titoli, fossilizzandosi in una

22Cfr. J.s. Bruner, Actual minds, possible worlds, Harvard University press, Cambridge, Ma 1986; tr. it.

La mente a più dimensioni, Laterza, roma-Bari 1988; U. Margiotta, Riforma del curricolo e formazione dei talenti, armando, roma 1997 (2001).

situazione culturalmente povera, con esiti problematici in termini di capitale umano diffuso e utile anche sul piano sociale.

se efficienza significa operare al meglio per assicurare a tutti gli studenti eque op-portunità di emancipazione sociale, e l’efficacia suppone un attento raggiungimento degli obiettivi di equità fissati, affinché la formazione di qualità non resti riservata ad un piccolo numero di studenti, equità ed efficacia possono diventare due esigenze indissociabili, soprattutto nella scuola di base. In questa direzione si aprono molte piste di riflessione e soprattutto di indagine, in una realtà sociale variegata e com-plessa, ridondante sul piano delle opportunità e della mobilità sociale, culturale ed educativa, ma sovente incapace di aver cura delle relazioni e della crescita culturale delle giovani generazioni. Una realtà dove la scuola, spesso, davanti all’ingiustizia e all’ineguaglianza si percepisce impotente, esposta, alla ricerca di una rigenerazione vitale che realizzi le promesse democratiche.

Il ruolo del Dirigente scolastico, in questa realtà, fa la differenza: dirigere signifi-ca indisignifi-care una direzione ssignifi-cartandone altre e, ovviamente, scontentando quelli che avrebbero preferito un’altra o nessuna direzione. Dirigere significa anche far scoprire alle persone le proprie risorse, affinché possano camminare da sole ed arrivare ad autodirigersi. Dirigere significa farsi promotore e garante di una scuola di qualità resa visibile e credibile attraverso l’applicazione dei principi di giustizia, equità ed effica-cia. esprimere un’autorevolezza, fondata su un’elevata consapevolezza professionale, al servizio della comunità. È orientarsi e riorientarsi, nonché orientare e riorientare:

indicare e mantenere le giuste rotte e proporre richiami necessari perché nessuno perda la strada, la meta, la visione. Dirigere è saper additare la linea del procedere e le mete da conquistare. avere una particolare sensibilità nel leggere e far leggere i segni dei tempi e comprendere le sfide educative perché la scuola sappia rispondere adeguatamente.

È utopia tutto ciò? Le utopie ci aiutano a saper guardare oltre, ad immaginare scenari possibili, a ricercare il meglio. per procedere abbiamo bisogno di piedi che poggiano concretamente per terra e di ali che, utopicamente, sanno elevarsi verso l’alto, spingendo il piede statico a divenire dinamico per poter raggiungere la meta agognata della giustizia formativa.

2. Fondamenti dello sviluppo professionale dei dirigenti scolastici

Nel documento Dirigere una scuola accogliente (pagine 29-35)

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