• Non ci sono risultati.

Le criticità della nuova nozione

La modificata formulazione dell’art.183, comma 1, lett. f) del d.lgs.152/2006 presenta aspetti di difficile lettura e decifrazione, forieri di importanti difficoltà interpretative. In maniera quasi paradossale si può dire che gran parte delle criticità appaiono ben visibili già dall’enunciazione del preambolo del d.l.92/2015, precedentemente richiamato, che, sembrando volto a rappresentare la ratio sottesa alla riforma normativa, si presta a diverse considerazioni. Innanzitutto, va “denunciato” che, a dispetto dell’aspirazione alla coerenza e all’uniformità con la normativa europea, la novella legislativa “disgrega” l’omogeneità che, quantomeno sul piano della forma, connotava la precedente versione dell’art.183, comma 1, lett. f) e l’art.3, numero 5), della direttiva n. 2008/98/CE, che definisce “produttore di rifiuti” la persona la cui attività produce rifiuti o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti. Risalta evidente, dunque, che l’aggiunta prodotta dalla novella normativa del 2015 non trovi affatto riscontro nella normativa comunitaria. Oltre alla difformità testuale della norma italiana rispetto al diritto comunitario, rileva anche una differenza di sostanza. Dal combinato disposto delle lettere b) e c) dell’art.3 della direttiva n. 2008/98/CE consegue che il produttore del rifiuto è colui che lo detiene. È del tutto evidente che la figura del produttore presuppone un

118 D.ROETTGEN, P.LEPORE, La nozione di “produttore iniziale di rifiuti” cambia?”, in

Ambiente & Sviluppo, fasc. 11-12, 2015, p.629.

119 D.ROETTGEN, P.LEPORE, ult.op.cit.

120 P.FICCO, Anche i committenti diventano produttori di rifiuti, in Il Sole 24 ore, 7 luglio

rapporto di detenzione con il rifiuto, che non sussiste, necessariamente, nel caso del “soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione”. Laddove quest’ultimo non dovesse avere la detenzione del rifiuto, l’applicazione della normativa Ue imporrebbe di non considerarlo quale produttore iniziale di un rifiuto.121

D’altro canto, il punto veramente critico della riforma è costituito dalla assoluta incertezza che sembra connotare il concetto di “riferibilità giuridica” della produzione di rifiuti, per cui lo stesso appare potenzialmente idoneo ad investire una moltitudine di soggetti e di ambiti fino ad allora esclusi dal perimetro della nozione di “produttori di rifiuti”.

Come gran parte della dottrina ha fatto notare, anche in riferimento a questa seconda criticità, si riscontra “un grave errore circa gli obiettivi che il Governo avrebbe voluto perseguire e quelli che ha, effettivamente, perseguito. Il punto è che deve riconoscersi che lo strumento con cui il legislatore ha attuato tale finalità, ossia la nuova definizione di produttore di rifiuti, ha significato, in buona sostanza, lo stravolgimento dei contenuti giuridici che egli ha, espressamente, dichiarato di volere recepire, traendoli dalla giurisprudenza”122. A tal

proposito, infatti, bisogna ricordare che il preambolo al decreto legge 92/2015 compie un rinvio ai precedenti indirizzi giurisprudenziali tramite l’esplicito richiamo alla sentenza n. 5916 del 2015 della Suprema Corte di Cassazione, che, a sua volta, come ho già analizzato nel precedente paragrafo, si è espressamente rifatta alla sentenza n. 4957/2000 del medesimo Giudice.

Ecco, allora, che la nuova definizione legislativa di “produttore di rifiuto” appare recepire esattamente il concetto espresso nel 2000 dalla Cassazione. La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 5916/2015, pienamente consapevole dei tratti che caratterizzano l’evoluzione giurisprudenziale della nozione in esame, cita i precedenti in funzione di fini specifici; opera, in altre parole, un ragionamento molto più complesso rispetto alla mera convalida di quanto statuito nella sentenza n. 4957/2000: la Corte cita quest’ultima non al fine di allinearsi al

121 A favore di questa tesi, ad es., si v.: V.VATTANI, Le novità relative alla nozione di

“produttore di rifiuti” e “deposito temporaneo”, consultabile all’indirizzo www.diritto ambiente.net, 10 luglio 2015. Di tutt’altro avviso è, ad es, G.TAPETTO, ult.op.cit., che non ritiene che la modifica possa essere definita in contrasto con la direttiva dato che non presenta “alcun carattere di opposizione o limitazione riduttiva della definizione originale bensì ne produce l’estensione ad un ulteriore soggetto e quindi, ancorché complichi gli aspetti gestionali dei rifiuti in modo esclusivo per il nostro Paese, rimane affatto legittima ed applicabile”. Sulla possibilità di introdurre misure nazionali più rigorose di quelle comunitarie, si v. M.RENNA, L’allocazione delle funzioni normative e amministrative, in Diritto dell’Ambiente, III ed., Giampaolo Rossi (a cura di), Giappichelli Editore, 2015, pp.146-147.

122 Si esprime così: A.PIEROBON, La sentenza della Cassazione penale n.5916/2015:

prodromo del decreto legge “salva ILVA e salva Fincantieri”, in www.osservatorioagromafie.it.

relativo orientamento interpretativo “estensivo”, bensì al limitato scopo di ribadire il concetto, più che ovvio, che a prescindere dalla qualificazione di Fincantieri come produttore giuridico, è da qualificarsi produttore anche, e maggior ragione, il produttore materiale (nel caso di specie, il sub-appaltatore). Ciò, non tanto perché la sentenza 4957/2000 fosse particolarmente indicativa in tal senso, quanto perché proprio quella sentenza era stata citata dal giudice di Primo grado per sostenere la tesi opposta, e cioè che l’unico produttore fosse Fincantieri in quanto produttore giuridico.

Per cui, “per un caso di eterogeneità di fini”123, si è venuta a creare una situazione nella quale, a fronte di un precedente giurisprudenziale in cui la Suprema Corte si “limitava” ad individuare espressamente un caso nel quale fosse possibile configurare la natura di produttore giuridico in capo all’appaltatore/subappaltante, così da considerarlo penalmente responsabile, in concorso cumulativo, con il subappaltatore per la gestione dei rifiuti (mantenendosi fedele alla evoluzione in senso restrittivo della nozione di “produttore di rifiuto” ed all’orientamento maggioritario secondo cui la nozione di “riferibilità giuridica” non avrebbe rappresentato un concetto indeterminato, passibile di qualsiasi interpretazione), il legislatore ne ha sfruttato, impropriamente, il contenuto per dar vita ad una novella normativa dai contorni interpretativi ampi ed incerti i cui effetti sono ancor di più drammatici se calata “all’interno di un sistema che è stato costruito pensando ad un solo obbligato alla corretta gestione dei rifiuti”124. L’errore di base, in cui è incorso il Legislatore, è stato quello di estendere un concetto nato in relazione al diritto penale, anche al diritto amministrativo/ambientale senza peraltro adeguare l’intero apparato normativo inerente agli obblighi del produttore iniziale del rifiuto.

Dunque, alla luce di queste premesse, appare evidente che in mancanza di riferimenti normativi, certi e precisi, sfruttabili per definire l’ampiezza del concetto di “riferibilità giuridica”, il rischio è quello di dilatare notevolmente, e forse indiscriminatamente, il novero di soggetti riconducibili alla nozione di produttore del rifiuto: si può passare, infatti, da una interpretazione estremamente circoscritta, che vede come unico produttore quello materiale, ad una interpretazione ampia che finisce per qualificare in tal modo chiunque abbia un qualsivoglia collegamento con l’attività che dà origine ai rifiuti (a partire dal committente, fino a giungere addirittura al proprietario del terreno). Ne consegue che la modifica normativa “rischia di “spingere” un’ampia cerchia di soggetti nell’illegalità senza che gli stessi abbiano, quand’anche lo volessero, la possibilità di adempiere correttamente alla normativa ambientale

123 V.PAONE, La nuova nozione di produttori di rifiuti “anticipata” dalla Cassazione (nota

a Cass. pen. n. 17126/2015), in Ambiente & Sviluppo, fasc. 2, 2016, p.100.

di carattere amministrativo in materia di rifiuti”125, con tutto ciò che questo comporta in termini di carico giudiziario per le nostre Corti di giustizia.

È inevitabile, quindi, che l’insieme di tutte queste criticità, diciamo, “formali” si ripercuota sul piano pratico dei rapporti tra privati: il committente è da qualificarsi produttore del rifiuto in via esclusiva o concorrente con il prestatore dell’opera o del servizio? Dato che ciascuno produttore è obbligato a garantire lo smaltimento dei rifiuti in condizioni di legalità, come avverranno in partica queste operazioni, vale a dire chi dei vari obbligati decide come adempiere? E se per caso dovesse manifestarsi disaccordo tra i vari soggetti, chi è legittimato a prendere la decisione finale? Queste sono domande a cui l’attuale normativa non dà risposta. Perciò, in attesa di interventi giurisprudenziali, non si può che prendere in riferimento la dottrina che sul punto è intervenuta.

Il problema centrale è, innanzitutto, quello di chiarire le responsabilità di committente (produttore in senso giuridico) ed esecutore/appaltatore (produttore materiale), specialmente in riferimento all’esecuzione dei contratti di appalto ex art.1665 c.c. È chiaro, infatti, che nel momento in cui, due o più soggetti, sono associati in un’unica definizione normativa, tutte le attribuzioni, competenze ed obblighi che la norma assegna a tale definizione ricadono, senza distinzione, su tutti i soggetti in essa associati.126 Da questo punto di vista, autorevole

dottrina127 intende distinguere due piani di obblighi e di correlata responsabilità: quello degli

125 Così: D.RÖETTGEN, Decreto ILVA – Fincantieri, consultabile all’indirizzo

http://www.amapola.it/wp2/wp-content/uploads/2015/08/david_ecoreati21.pdf.

126 Sul punto si v. SAIA, 07.07.2015 Un deposito temporaneo per tutti…almeno per i prossimi

sessanta giorni, in Focus Ambiente, il quale, avendo riguardo alla congiunzione “e”, che – a seguito della novella normativa- congiunge la risalente formulazione alla nuova, ha osservato “c'è da dire, innanzitutto, che quella "e" (183, comma 1, lett. f), inserita in riferimento al (nuovo) produttore, se non ne viene evidenziato il valore disgiuntivo e così posta, rimanda a vecchie questioni e potrebbe aprire valutazioni non proprio semplificative in termini di registrazioni rifiuti con doppie contabilizzazioni (produttore fisico + produttore giuridico), sempre che in fase di conversione, il solito legislatore pasticcione non cambierà strada. Va inoltre evidenziato che se per quella "e" verrà definito un valore disgiuntivo, contrattualmente sarà necessario, definire chi è il produttore dei rifiuti nei contratti d'appalto o meglio sarà possibile che le parti indichino gli oneri degli adempimenti in materia di rifiuti indirizzando contrattualmente le responsabilità di gestione e amministrative, regolandone così oneri e onori; ma la stessa cosa non avverrà per quelle attività quotidiane in cui non c'è un contratto specifico e/o dettagliano dove definire tali affidamenti ... e allora lì ne vedremo delle belle”.

127 Ad es.: P.FICCO, Produttore iniziale dei rifiuti: tra obblighi e responsabilità, la

rivoluzione copernicana nei rapporti tra commitente ed esecutore, in Rifiuti – bollettino di informazione normativa, fasc. 233-234, 2015; G.TAPETTO, ult.op.cit. In ogni caso, quest’ultimo, pur partendo da un medesimo punto di partenza, non condivide la tesi maggioritaria secondo la quale gli obblighi non si siano “duplicati” ma ricadrebbero su tutti i soggetti associati alla definizione di “produttore di rifiuto”, consentendo di individuarne una diversa finalità.

obblighi formali del produttore e quello della responsabilità in vigilando sulla gestione del produttore effettivo del rifiuto, propria del committente dell’attività che produce il rifiuto. Quanto al primo di questi, viene rilevato che la novella non ha interessato le norme che prevedono gli obblighi procedimentali del produttore (classificazione del rifiuto, tracciabilità), che restano calibrati secondo una impostazione chiaramente monosoggettiva. Ciò, dunque, consente di escludere che tali obblighi si siano duplicati e che quindi ad essi debbano provvedere, distintamente, entrambi i soggetti interessati. È necessario e sufficiente, quindi, che uno solo di questi soggetti vi provveda ed, anzi, può affermarsi che la lettura complessiva del sistema consenta di individuare nel “produttore in senso materiale” il soggetto destinatario della materiale esecuzione degli obblighi relativi alla gestione dei rifiuti.

Quanto al secondo piano, invece, precedentemente al 2015, si escludeva che il committente avesse un obbligo di vigilanza ed egli era ritenuto responsabile solo se si fosse concretamente ingerito od avesse effettivamente controllato l’attività dell’appaltatore128. Con la novella di cui alla legge 125/2015 la situazione è mutata poiché la nuova definizione di produttore rappresenta quella base normativa (in passato mancante) che costituisce, anche in capo al committente (produttore in senso giuridico), una posizione di garanzia; posizione che si esplica nella corretta osservanza dell’obbligo di vigilanza sul rispetto delle regole procedurali da parte dell’appaltatore e delle autorizzazioni del trasportatore e del destinatario.

Ma vi è di più: oltre a generare una grave incertezza del diritto, un prevedibile maggior carico per gli operatori e le aule dei tribunali, la norma non comporta affatto una maggiore tutela dell’ambiente. Al contrario, proprio in proposito a ciò, la norma produce effetti altamente indesiderati perché si è assistito ad un aumento esponenziale del numero dei siti dichiarati “depositi temporanei” che sono stati istituiti da quei soggetti che, in forza della novella normativa, sono qualificabili come “produttori iniziali di rifiuti”. Peraltro quest’ultima, laddove fosse interpretata in maniera rigorosa, potrebbe anche avere degli effetti indesiderati sulla quantità di rifiuti prodotti dall’Italia e comunicati a Eurostat. Infatti, ove il rifiuto possa essere prodotto da più di un unico produttore, con la conseguenza che ciascun produttore “denuncia” nelle modalità previste dalla legge il rifiuto prodotto, non è da escludersi che statisticamente aumenti in modo sensibile la quantità di rifiuti “ufficialmente” prodotti dall’Italia.129

128 P.FIMIANI, La tutela penale dell’ambiente (III ed.), Milano, 2015, p.360, che richiama sul

punto Cass. pen., Sez. II, n. 25041/2011, n. 37547/2013 e n. 11029/2015.

129 Su quest’ultimo punto si v. F.DE LEONARDIS, “I rifiuti: dallo smaltimento alla

Insomma, per sanare una situazione di illegalità sicuramente evitabile con una diversa organizzazione del lavoro (o con l’ottenimento delle prescritte autorizzazioni), il Governo prima, il Legislatore dopo, hanno prodotto una riforma che “ha rappresentato, dal punto di vista giuridico, un autentico flop”130 se si guarda alla totale indeterminatezza dell’interpretazione della norma, alla sua illogicità rispetto al sistema normativo relativo agli obblighi del produttore dei rifiuti o alle incongruenze rispetto alla stessa giurisprudenza sua ispiratrice. Il criterio della “riferibilità giuridica”, perciò, rischia di essere oggetto, in sede applicativa, delle interpretazioni più diversificate. In altri termini, in attesa di un ulteriore intervento normativo sul tema, correttivo delle criticità evidenziate131, sussiste il forte rischio che la norma, la sua portata soggettiva e, in ultima analisi, l’esatto contenuto degli obblighi da essa derivanti, subiscano variazioni a seconda del giudice chiamato a pronunciarsi, con buona pace non solo dell’applicazione unitaria del diritto a livello nazionale, ma anche della certezza del diritto.