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La normativa italiana in merito alla distinzione tra rifiuto pericoloso e non pericoloso risente integralmente dell’impostazione comunitaria. Per quanto il Regolamento 1357/2014 e la Decisione 955/2014/Ce siano intervenuti sui criteri di classificazione dei rifiuti e sull’elenco europeo dei rifiuti nei modi precedentemente analizzati, con ricadute significative per tutti i soggetti coinvolti in questa operazione, il legislatore nazionale “pare non abbia sentito la necessità di gestire in qualche modo questo cambiamento”92. Da questo punto di vista, infatti, la disciplina italiana è rimasta ferma all’impostazione previgente al 1° giugno 2015 (esclusa una modifica di cui si darà atto nel proseguo del paragrafo), data a partire dalla quale le modifiche comunitarie hanno cominciato ad avere effetto vincolante.

Il d.lgs.152/2006 prende in considerazione la nozione di rifiuto pericoloso tramite due riferimenti normativi: l’art. 183, comma 1, lett. b) e l’art.184, commi 4 e 5.

L’art. 183, comma 1, lett. b), in ossequio a ciò che è previsto dall’art.3, direttiva 98/2008, definisce come pericoloso “il rifiuto che presenta una o più caratteristiche di cui all’Allegato I della parte quarta del presente decreto”. L’art. 184, invece, al comma 4 ripete questa definizione mentre al comma 5 stabilisce che “l'elenco dei rifiuti di cui all'allegato D alla parte quarta del presente decreto include i rifiuti pericolosi e tiene conto dell'origine e della composizione dei rifiuti e, ove necessario, dei valori limite di concentrazione delle sostanze pericolose. Esso è vincolante per quanto concerne la determinazione dei rifiuti da considerare pericolosi. L'inclusione di una sostanza o di un oggetto nell'elenco non significa che esso sia un rifiuto in tutti i casi, ferma restando la definizione di cui all'articolo 183. Con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, da adottare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore dalla presente disposizione, possono essere emanate

92 C.RISPOLI, “Classificazione rifiuti: dal 1° giugno le regole europee stravolgono l’assetto

specifiche linee guida per agevolare l'applicazione della classificazione dei rifiuti introdotta agli allegati D e I”. Come ricorda Paola Ficco “questo decreto non è ancora stato approvato”93. Alla luce di queste premesse appare evidente, dunque, che la disciplina italiana si rifaccia completamente alla disciplina comunitaria: l’Allegato I, citato dall’art. 183, comma 1, lett. b, altro non è che l’Allegato III alla direttiva 2008/98/Ce; l’Allegato D citato dall’art.184, comma 5, altro non è che l’Allegato alla decisione 2000/532/Ce. La peculiarità è che si tratta delle fonti comunitarie nella formulazione precedente alle modifiche apportate nel 2014 con gli atti che abbiamo già citato; pertanto quale disciplina si applica dal 1° giugno 2015 in Italia? La dottrina, da questo punto di vista, è unanime nel rispondere che trova applicazione la nuova formulazione, malgrado il mancato intervento del legislatore nazionale di uniformare la disciplina interna a quella comunitaria.

Per completezza è necessario ricordare che la disciplina italiana in tema di classificazione dei rifiuti pericolosi si compone di un ulteriore atto fondamentale: la legge n.116/2014, comma 5, lettera 5-bis. Con essa il legislatore ha introdotto una premessa all’Allegato D alla parte IV del d.lgs. 152/2006. In particolare, con essa si descrivano le regole da seguire ai fini della classificazione dei rifiuti considerato anche il fatto che “fino all’introduzione di una legge siffatta, la legge non disciplinava, nello specifico, le regole da osservare per arrivare ad una corretta e credibile qualifica del rifiuto, pur imponendo un obbligo di risultato, consistente nella rispondenza al vero della classificazione, come si evince dalla esistenza del reato di falso nella certificazione analitica e da una serie di previsioni normative che attribuiscono al produttore dei rifiuti la responsabilità di garantire la veridicità delle informazioni sulla caratterizzazione dei rifiuti, oltre a prevedere il momento in cui la stessa deve essere fatta e la sua periodicità”94.

Con tale premessa, in primo luogo si precisa che la classificazione dei rifiuti è effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente codice CER prima che il rifiuto sia allontanato dal luogo di produzione; che le proprietà di pericolo possedute dal rifiuto devono essere determinate al fine di procedere alla sua gestione; che se un rifiuto è classificato con codice CER pericolosi “assoluto”, esso è pericoloso senza alcuna ulteriore specificazione; che se un rifiuto è classificato con codice CER non pericoloso “assoluto”, esso è non pericoloso senza ulteriore specificazione. Al contrario, per i rifiuti classificati con codici CER speculari, per stabilire se il rifiuto è pericoloso o meno devono essere determinate le proprietà di pericolo

93 P.FICCO, “Gestire i rifiuti tra legge e tecnica”, cit., p. 160.

94 P.FIMIANI, “La classificazione dei rifiuti dopo le novità della legge 125/2015”, in Rifiuti

che esso possiede tramite indagine che riguardano: l’individuazione dei composti presenti nel rifiuto attraverso la scheda informativa del produttore, la conoscenza del processo chimico, il campionamento e l’analisi del rifiuto; la determinazione dei pericoli connessi a tali composti; l’individuazione delle caratteristiche di pericolo mediante la comparazione delle concentrazioni dei composti, rilevate con l’analisi chimica, con il limite soglia per le frasi di rischio specifiche dei componenti, ovvero tramite l’effettuazione dei test per verificare se il rifiuto ha determinate proprietà di pericoloso (è rispetto a questo che i nuovi criteri comunitari, in vigore dal 1° giugno 2015, influenzano la disciplina nazionale).

Tra l’altro questa premessa ha “sollevato un vespaio di proteste in quanto, secondo tutti gli interventi critici, dal 18 febbraio 2015, sarebbe avvenuto un aumento considerevole di rifiuti, che prima non erano classificati pericolosi e ora invece lo diventerebbero”95. In particolare, i problemi nascono con il comma 5 laddove si afferma che: “Se i componenti di un rifiuto sono rilevati dalle analisi chimiche solo in modo aspecifico (non specifico), e non sono perciò noti i composti specifici che lo costituiscono, per individuare le caratteristiche di pericolo del rifiuto devono essere presi come riferimento i composti peggiori, in applicazione del principio di precauzione”. In questo caso si tratta di una “fallacia logica”96: sulla scorta anche dei commi

precedenti, i composti specifici possono essere noti non solo sulla base dell’analisi chimica, ma anche conoscendo il ciclo di produzione, la scheda informativa del produttore, le proprietà chimiche e fisiche dei composti chimici, ecc. L’analisi chimica, da questo punto di vista, è solo un tassello della conoscenza e fornisce alcune informazioni che unite ad altre, secondo la corretta interpretazione scientifica, possono permettere ragionevolmente di dedurre il composto specifico presente o un gruppo di composti specifici.

Pertanto la corretta interpretazione di questo comma, che altrimenti avrebbe aperto la strada ad un aumento esponenziale del numero di rifiuti pericolosi, comporta che solo nel caso ciò non sia possibile, allora si dovrà optare per la scelta del “composto peggiore”, che è la sostanza, o combinazioni di sostanze, che si possono ragionevolmente supporre presenti nel rifiuto e che rendono il rifiuto pericoloso alle più basse concentrazioni, scartando quelle sostanze che, sulla base della stechiometria, delle proprietà chimiche e fisiche del rifiuto e della provenienza si possano ragionevolmente escludere.

95 W.FORMENTON, M.FARINA, “Classificazione dei rifiuti. Osservazione sulla premessa

all’Allegato D”, consultabile su www.lexambiente.it, 10 marzo 2015. Sul punto si v. anche: G.GALLI, C.DE STEFANIS, “Una rivoluzione (silenziosa) nella classificazione dei rifiuti pericolosi”, in Italia Oggi, 19/2/2015; P.FICCO, “Aumentano i i rifiuti pericolosi più costi e rischio impianti”, in Il Sole 24 ore del 18/2/2015; A.CALO’, “La classificazione penalizza l’intera filiera”, in Il Sole 24 ore del 19/2/2015.

CAPITOLO III

IL PRODUTTORE DI RIFIUTI

1. La responsabilità del produttore di rifiuti.

Prima di analizzare nel dettaglio la disciplina italiana della tracciabilità dei rifiuti è opportuno fare una precisazione in virtù di recenti sviluppi legislativi che hanno riguardato un tema centrale rispetto all’argomento trattato in questo scritto.

Insieme alla nozione di rifiuto, anche quella di produttore del rifiuto ex art.183, comma 1, lett. f) è necessariamente prodromica alla conoscenza ed all’applicazione dell’intero quadro normativo contenuto nella Parte IV del d.lgs.152/2006 (Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati). L’individuazione della figura del “produttore” rappresenta, dunque, “un tema centrale nel sistema normativo che disciplina la gestione dei rifiuti, dal momento che l’ordinamento gli attribuisce una preminente posizione di garanzia in ordine all’adempimento degli obblighi gestori di dette sostanze”97.

La centralità di quest’ultima definizione, ad esempio, risulta in maniera lampante dalla circostanza che, in materia di rifiuti, la normativa italiana conosce varie forme di responsabilità: la c.d. responsabilità estesa del produttore del prodotto originario (extended producer responsability – EPR) e la “responsabilità del produttore del rifiuto”98. La previsione di un efficace meccanismo di attribuzione delle responsabilità nella gestione dei rifiuti, infatti, costituisce una indispensabile premessa per assicurare un adeguato sistema sia di carattere preventivo che repressivo. La prima tipologia di responsabilità non va confusa, ovviamente, con la seconda, essendo le due poste su piani ben distinti; ciò trova conferma nel fatto che la stessa normativa italiana (come anche quella comunitaria) dedica ad esse norme ben distinte: da un lato l’art.178-bis, d.lgs. 152/2006 (cui corrisponde, dal punto di vista dei contenuti, l’art.8 dir.2008/98/CE) e, dall’altro lato l’art. 188, d.lgs. 152/2006 (ed il corrispondente art.15 dir.98/2008/CE). A differenza della EPR, la quale sostanzialmente implica che i produttori siano chiamati a gestire (dal punto di vista materiale ed economico) la fase di “fine vita” dei prodotti immessi sul mercato o attraverso l’assunzione dell’onere economico relativo al loro

97 M.TONELLOTTO, Il produttore di rifiuti nel contratto d’appalto. Ruolo e posizione di

garanzia del committente, consultabile all’indirizzo http://www.lbs.luiss.it/salute/?p=3678, 21 maggio 2015.

98 Sul tema si v.: D.RÖTTGEN, Rifiuti: tra corresponsabilità, responsabilità estesa del

smaltimento/recupero oppure curando direttamente il ritiro degli stessi99, l’art. 188 non statuisce la responsabilità per l’intero ciclo di vita delle merci, ma vincola, in solido, i soggetti concretamente implicati nel circuito della gestione dei rifiuti100. L’art. 188, che costituisce una delle più rilevanti attuazioni del principio comunitario del “chi inquina paga”101 e che trova il proprio fondamento nell’esigenza in base alla quale il produttore ed il consumatore dei rifiuti devono gestire gli stessi in modo da garantire un elevato livello di tutela e protezione della salute umana, afferma, in sostanza, il principio di corresponsabilità102 di tutti coloro che sono coinvolti nell’ambito del ciclo di gestione dei rifiuti, dal momento della loro produzione fino a quello del loro definitivo e completo recupero o smaltimento (ferme restando le limitazioni ed esclusioni dalla responsabilità previsti dai commi 2 e 3 del medesimo articolo). Ciascun produttore iniziale o detentore ha un dovere di verifica e controllo sugli altri soggetti coinvolti nella gestione del rifiuto essendo questi investiti da una posizione di garanzia in ordine alla corretta gestione dei rifiuti stessi. In altre parole: la responsabilità di coloro che materialmente gestiscono le operazioni sul rifiuto è finalizzata a garantire esclusivamente il corretto svolgimento di dette operazioni.

In quanto tale, essa è be diversa dalla responsabilità del produttore del prodotto e non è in grado di raggiungere le stesse finalità sottese alla EPR. La netta distinzione delle due famiglie di responsabilità è, peraltro, ben espressa nell’art.178-bis, comma 2, ove si afferma che “la responsabilità estesa del produttore del prodotto è applicabile fatta salva la responsabilità della gestione dei rifiuti di cui all'articolo 188, comma 1, e fatta salva la legislazione esistente concernente flussi di rifiuti e prodotti specifici”. Ed infatti, gli interessi del produttore del

99 In proposito si v. G.GARZIA, La responsabilità ed i costi di gestione dei rifiuti. La

responsabilità estesa del produttore, in La nuova disciplina dei rifiuti, Franco Giampietro (a cura di), IPSOA, 2011, p. 129-141.

100 Cfr. art.188: “Il produttore iniziale o altro detentore di rifiuti provvedono direttamente al

loro trattamento, oppure li consegnano ad un intermediario, ad un commerciante, ad un ente o impresa che effettua le operazioni di trattamento dei rifiuti, o ad un soggetto pubblico o privato addetto alla raccolta dei rifiuti, in conformità agli articoli 177 e 179. Fatto salvo quanto previsto ai successivi commi del presente articolo, il produttore iniziale o altro detentore conserva la responsabilità per l'intera catena di trattamento, restando inteso che qualora il produttore iniziale o il detentore trasferisca i rifiuti per il trattamento preliminare a uno dei soggetti consegnatari di cui al presente comma, tale responsabilità, di regola, comunque sussiste[…]”.

101 Si v. G.ROSSI, Parte Generale – Le fonti, in Diritto dell’Ambiente, III ed., Giampaolo

Rossi (a cura di), Giappichelli Editore, Torino, 2015, p.32; F.GIAMPIETRO, I principi ambientali nel d.lgs. 152/2006: dal TU al Codice dell’Ambiente, ovvero le prediche inutili?, in Ambiente & Sviluppo, 2008, p. 505 ss.

102 Da non confondersi con la differente nozione di “responsabilità condivisa” intesa come

sottospecie della responsabilità estesa del produttore del prodotto e riferibile esclusivamente all’ambito degli imballaggi ex art.217, comma 2, d.lgs. 152/2006.

prodotto e di chi gestisce un rifiuto non sono identici; i produttori dei beni sono interessati a limitare il flusso mentre i gestori certamente non trarrebbero vantaggio da una riduzione dei rifiuti, che costituiscono la loro “materia prima” di lavoro.

Ebbene, è evidente da queste prime considerazioni che comprendere con certezza chi, effettivamente, possa vedersi riconosciuta la qualifica di produttore del rifiuto è tema di cruciale importanza in un sistema normativo ambientale come quello italiano, post l. 68/2015, caratterizzato da sanzioni di tipo, e amministrativo, e penale.

In effetti “la nozione di produttore del rifiuto costituisce tuttora tema controverso nei cui confronti la dottrina e la giurisprudenza non sono pervenute ad un punto omogeneo e condiviso di attestamento”103. E come vedremo nei prossimi paragrafi, a complicare questo confuso quadro interpretativo, purtroppo, ci ha pensato il legislatore il quale, dapprima con il d.l. 92/2015 (recante “Misure urgenti in materia di rifiuti e di autorizzazione integrata ambientale, nonché per l’esercizio dell’attività di impresa di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale”, noto come D.L. Ilva-Fincantieri), poi con l’art.11, comma 16-bis, della legge 6 agosto 2015, n.125, ha modificato la definizione di produttore del rifiuto, ex art.183, comma 1, lett. f), d.lgs.152/2006, con l’aggiunta di un secondo periodo che “la dottrina più attenta non ha salutato con particolare entusiasmo”104. Da questo punto di vista, dunque, la nozione in

esame rappresenta il frutto di una continua commistione fra l’evoluzione dell’operato giurisprudenziale e di quello legislativo.

2. Evoluzione giurisprudenziale della nozione di produttore di rifiuti.

La nozione giurisprudenziale di produttore del rifiuto non è mai stata univoca105, bensì ha oscillato tra due ipotesi interpretative opposte: una avente portata “estensiva” e un’altra, più cautelativa, orientata invece verso una interpretazione “restrittiva”.

103 P.DELL’ANNO, Diritto dell’ambiente, IV ed., CEDAM, 2016, p.108. Tuttavia, sul punto

è opportuno ricordare, anche, la differente visione di altra parte della dottrina per la quale il dibattito poteva anche considerarsi chiuso in seguito ad una serie di pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (ad es. 7 settembre 2044, causa C-1/03) e della Suprema Corte italiana.

104 O.H.KASSIM, La nozione di produttore del rifiuto alla luce della recente sentenza Cass.

Pen. 10 febbraio 2015, n. 5916 e del conseguente intervento del legislatore, in Rivista Quadrimestrale di diritto dell’ambiente, Giappichelli Editore, Numero 2, 2015, p.133.

105 Per una ricostruzione sintetica dei maggiori indirizzi giurisprudenziali, ad esempio, si v.:

F.PERESE, Nuova nozione di produttore di rifiuti: prime riflessioni dopo la riforma, in Ambiente&Sicurezza, n. 21, 11 novembre 2015, p. 68-69.

La prima pronuncia che ha affrontato compiutamente il tema (seppur in vigenza dell’ormai abrogato Decreto Ronchi)106, la sentenza Cass.Pen.Sez III, 21 gennaio 2000, n. 4957, interpretò in termini particolarmente estensivi la nozione di produttore, utilizzando una formulazione molto generica, e altamente inclusiva. Nel delinearne il perimetro, infatti, la Corte affermò che quest’ultima non potesse essere limitata solo all’attività materiale, ma che dovesse essere estesa anche a quella “giuridica”, e cioè “a qualsiasi intervento, che determina, poi, in concreto la produzione di rifiuti”, giungendo così ad affermare che anche il proprietario dell’immobile committente, o l’intestatario della concessione edilizia con la quale si consentiva l’edificazione di un nuovo edificio previa demolizione di altro preesistente, dovessero essere considerati produttori dei rifiuti derivanti dall’abbattimento del precedente fabbricato e come tali sottoposti all’obbligo sancito dall’art. 10, comma 1, del Decreto Rocnhi, di provvedere allo smaltimento dei detti rifiuti. Aldilà del caso specifico, è evidente che così facendo il novero dei soggetti riconducibili a siffatta definizione risultava particolarmente ampio.

Tuttavia le pronunce che negli anni successivi si sono schierate tra le fila di questo orientamento sono pari ad un numero piuttosto esiguo107. Molte delle sentenze che,

apparentemente, avrebbero affinità con quanto sostenuto, in termini chiari ed precisi, da

106 Per un commento alla sentenze si veda per tutti: V.PAONE, Commento alla sentenza della

Corte di cassazzione penale, sez. iii, 21 aprile 2000, n. 4957, in Ambiente, Milano, fasc.7, 2001.

107 Ad es. Corte Cass. Pen., sez III, 5 giugno 2003, n. 24347; Corte Cass. Pen.,sez. III 27

gennaio 2004, n. 2662. Va altresì richiamato un corrispondente orientamento dottrinale minoritario a supporto di queste tesi. Da parte di alcuni interpreti si è, ad esempio, sostenuto il ‘coinvolgimento’ e la conseguente responsabilità del committente per i rifiuti prodotti dall’appaltatore, facendo leva ora sul fatto che "il rifiuto, nel momento in cui viene in essere, continua ad appartenere al committente, non sussistendo alcuna giustificazione causale che sorregga l'effetto reale del trasferimento del rifiuto dal committente all'appaltatore"; ora sul presunto potere di controllo giuridico o di fatto di cui il committente sarebbe titolare – ogniqualvolta si trattasse di un’attività espletata su un’area di sua proprietà o, comunque, nella sua disponibilità o secondo modalità definite anche da lui e non dal solo appaltatore – in ordine al processo di formazione dei rifiuti e alla loro gestione fino allo smaltimento/recupero; ora sull’assimilabilità del committente ad un custode, con correlata operatività dell'art. 2051 cod.civ. (così si è espresso POMINI, Brevi note in tema di contratto d’appalto e gestione dei rifiuti: chi ne è il “produttore?”, in Riv. Giur. Ambiente, fasc. 2,2006, p. 282) nel caso di lavori concernenti un bene non interamente affidato all’appaltatore (così FILIPPUCCI, La nozione di «produttore» dei rifiuti e la responsabilità del committente cit. p. 273; si v. anche SANTOLOCI - MAGLIA, Rifiuti da demolizioni: chi è il produttore, in Riv. pen., 2000, 926 e s.; RAMACCI, Rifiuti: la gestione e le sanzioni. Commento organico al Testo Unico Ambientale dopo il quarto correttivo (D.Lgs. n. 205/2010 e il SISTRI), Piacenza 2011, 52 e ss.; PRATI, La responsabilità del produttore di rifiuti tra dibattito giurisprudenziale e novità legislative, in Ambiente, 2005, 567).

Cassazione n. 4957/2000 sembrano in realtà caratterizzate da circostanze di fatto molto specifiche, che non permettono di ritenerle esemplificative in termini generali ed inducono a dedurre che l’individuazione di “una responsabilità da produzione dei rifiuti del committente dei lavori fosse specifica e idonea ai singoli fatti su cui la Suprema Corte si era effettivamente espressa in tali termini”108.

A tal proposito, infatti, l’evoluzione giurisprudenziale, che può definirsi maggioritaria, si è indirizzata verso un filone interpretativo di tipo opposto a quello finora delineato, favorendo in questo modo una lettura della definizione c.d. “restrittiva”. Si può citare, ad esempio, la sentenza Cass. Pen. Sez. II, 22 giugno 2011, n. 25041, in cui si è affermato che “le qualità di committente, di direttore dei lavori, o di appaltante nell’ipotesi di subappalto, non determinano alcun obbligo di legge di intervenire nella gestione dei rifiuti prodotti dalla ditta appaltatrice o subappaltatrice ovvero di garantire che la stessa venga effettuata correttamente in materia di rifiuti”. È evidente l’inversione di interpretazione che porta ad un risultato opposto al precedente.

Aldilà di questa, le pronunce in tal senso sono molte109 e tutte pongono rilievo a due

motivazioni: responsabilizzare penalmente un soggetto per non aver impedito un evento, anche quando egli non aveva alcun potere giuridico (oltre che materiale) ed obbligo espressamente sancito per impedirlo, significherebbe vulnerare palesemente il principio di cui all’art.27, comma 1, della Costituzione in relazione all’art. 40, 2 comma110; secondo, si potrebbe parlare di “produttore giuridico” solo quando sussista in capo ad esso un effettivo potere giuridico nei confronti del produttore materiale che gli consenta di ingerirsi nell’attività