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4. La Croce Rossa nel mondo e in Italia

4.4. La Croce Rossa a livello internazionale

Naturalmente sono stati anche pubblicati studi nei quali è contemplata la Croce Rossa in generale, intesa come Movimento, oppure il Comitato Internazionale in particolare: ad esempio un articolo dell’economista svedese Sven-Erik Sjöstrand, nel lontano 2000, chiamava in causa la Croce Rossa per un accenno di verifica empirica dell’oggetto della sua trattazione, dedicata alle costruzioni teoriche concernenti le varie forme di organizzazioni di Terzo Settore, o del settore ideell, in svedese [Sjöstrand 2000: 199-200]. A livello teorico, lo studioso individua due gruppi, comprendenti ciascuno tre idealtipi di organizzazioni, e basati l’uno sul principio della simmetria, ossia del network, e viceversa dell’asimmetria, cioè della gerarchia [ivi: 207]. I tre idealtipi di organizzazioni basati sulla simmetria sono il mercato, «characterized by a situation in which a number of people are “in contact with each other” with the object of making voluntary exchanges of goods or services» [ivi: 208], il movimento, che è caratterizzato dalla «combination of network and ideal- (value-) based relationships» [ivi: 209], ed il circolo, che ha una struttura di rete e, in aggiunta, «is characterized by genuine relationships. Genuine relationships express something of the very basis for human existence», quali legami di sangue, di matrimonio e d’amicizia [ivi: 210]. Specularmente, i tre idealtipi di organizzazioni basa- ti sull’asimmetria sono l’azienda, ossia «a combination of calculative and asymmetrical relationships» [ivi: 211], l’associazione, che è «the hierarchical equivalent of the movement representing a combination of a- symmetry (hierarchy) and ideal-based relationships. More specifically, it represents a collection of indivi- duals (as only people can express ideals)» [ibidem], e il clan, «a theoretical construction based on a combina- tion of asymmetries (hierarchy) and genuine relationships, and it represents a distinct set of individuals, […]. In this case, hierarchy refers to biological factors» [ivi: 211-212].

Sjöstrand tuttavia riconosce che questa interessante classificazione di idealtipi ha una corrispondenza im- perfetta con la realtà empirica, poiché «none of these theoretical forms corresponds to any empirical organi- zation, except perhaps on a temporary and exceptional basis. In practice, the entire repertoire of theoretical forms is represented in an individual organization although in varying degrees» [ivi: 213-214]. Questo è per l’appunto il caso della Croce Rossa, intesa in termini generali, senza indicazioni specifiche di riferimento ad

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Le altre 6 categorie in cui egli suddivide il «magma del non profit» sono imprese, organizzazioni della produzione e del lavoro, istituzioni di supporto, enti di ricerca, organizzazioni del capitale sociale, organizzazioni di attuazione costituzionale. Si tratta, secon-

una particolare Società Nazionale (e tanto meno a quella svedese), e tale valutazione può essere considerata conseguenza della multidimensionalità dell’impegno della Croce Rossa, per quanto Sjöstrand ammetta che può essere generalizzata a tutte le organizzazioni di Terzo Settore:

In the Red Cross, for example, it is possible to imagine, at least until more comprehensive studies have been undertaken, that an analysis based on the theoretical ideal type association might prove to be reasonably satisfac- tory. Similarly, once again on an a priori basis, it might be expected that the legal form for an ideell association is consistently utilized.

[…], however, an empirical study of the Red Cross might show that other (theoretical) ideal-type qualities could also be as important. It might even prove, for example, that the ideal-type firm (cf., the calculative, capital reproducing rationality) could play just as prominent a role as the association ideal type (cf., the ideal-based ra- tionality), which was expected to dominate.

The above argument concerning the Red Cross could obviously be estende to apply to all empirical organiza- tions, and this opens up a new way of looking at, describing and explaining organizing and organizations in a society [ivi: 214].

Alcuni anni dopo, lo studioso americano Max Stephenson Jr., esperto di relazioni internazionali, ha inve- ce chiamato in causa esplicitamente il CICR in merito alla delicata questione del coordinamento dell’assistenza umanitaria: il suo scopo era infatti suggerire «an alternate basis for understanding both the conditions for improved coordination and how their realization might be conceptualized» [Stephenson 2006: 42]. Il punto di partenza del suo ragionamento è la constatazione della presenza di molti stakeholders investi- ti di compiti umanitari: le Nazioni Unite e le loro agenzie, gli enti governativi, le organizzazioni di donatori e le organizzazioni di Terzo Settore di livello nazionale o internazionale, fra le quali spicca come realtà a sé il Movimento Internazionale di Croce Rossa [ivi: 44]. Ciò tuttavia non agevola l’effettivo svolgimento dell’assistenza umanitaria, ma anzi la complica, e la causa di ciò è la mancanza di unitarietà nella linea d’azione, dovuta alla mancanza di un unico centro decisionale dotato di autorità su tutte queste entità: «The humanitarian scenario is one of diffuse authority among a range of players unwilling in principle, for a va- riety of often cogent reasons – competition for media salience, competition for resources, fragmented mis- sions, perceived national interests, among others – to cede controlling authority of organizational action to any other single network player […]» [ivi: 45]. Data la natura peculiare delle parti in causa, tuttavia, la solu- zione a questa problematica non può essere stabilire una gerarchia, con un ente centrale dotato di potere di comando e di sanzione sugli altri, ma piuttosto «devising humanitarian social networks of action that can act effectively without central control or direction» [ivi: 46]. In questa prospettiva si deve quindi realizzare una forma di cooperazione sostanzialmente basata su relazioni “orizzontali”, ed il primo atto deve essere «to de- velop sustained and sustainable communication ties among actors that are linked most basically by their common interest to develop a capacity to act without the imposition of unifying control» [ivi: 47]: dai legami comunicativi si potrà sviluppare una capacità di azione congiunta basata sulla fiducia reciproca, e l’azione congiunta costituirà a sua volta la base per un’interazione continua e sempre più stabile, ossia un coordina- mento permanente. Il primo passo dovrebbe essere, in concreto, condividere le informazioni, e quindi discu- tere fra le varie parti in causa sulla base di tali informazioni condivise in merito alle varie situazioni su cui

do Moro, di una classificazione che identifica «realtà differenti tra loro, ciascuna con caratteri specifici e una omogeneità ragionevole agli occhi del senso comune» [Moro 2014: 151].

intervenire: «such discussion should be seen as mutual learning opportunities […]» [ivi: 53]. Partendo quindi dal livello più basso, fatto di relazioni personali tra i membri delle differenti organizzazioni, fino ai livelli più alti e strutturati, si creerebbero opportunità per un dialogo fra di esse che permetterebbe un apprendimento ed una comprensione reciproca [ivi: 54], e ciò porterebbe ad una graduale elaborazione di un codice di compor- tamento peculiare, ovviamente non sostenuto da un ordinamento basato sulla gerarchia e sul potere di san- zione, ma altrettanto efficace. Qui, per Stephenson, entra in gioco il CICR, che può costituire sia un’utile pie- tra di paragone, sia un partner estremamente affidabile con cui avviare una dinamica di questo tipo:

Such self-conscious opportunities for reflection and shared learning may help participants to evolve common codes of behavior and of ethical action, as well as shared organizational purposes that are particular to their ope- rating environments. This contextual claim distinguishes these slowly derived norms from existing codes of con- duct for humanitarian relief that are surely valuable but oriented differently than those referents of trust and rela- tionship that appear to be necessary for long-term successful coordination without command authority. Indeed, codes of conduct may prove a helpful platform for dialogue to the extent that they allow network stakeholders to come to hold certain norms in common (ICRC,1994).

To succeed, these opportunities for joint exploration of common challenges and claims will need to be con- vened by a trusted network partner. The International Red Cross and Red Crescent Society is neatly equipped to play this role: It is not saddled by the political and bureaucratic baggage ofUNentities, typically operates in many crisis-afflicted nations even before emergencies arise, and maintains principled neutrality even in the face of ci- vil war [ivi: 55].

Infine, nel 2009 la studiosa Laura Thaut ha considerato la Croce Rossa nell’ambito di un suo studio sulle organizzazioni umanitarie di Terzo Settore di ispirazione religiosa, ossia le Faith-Based Organizations (FBO). La tesi di Thaut è che non si tratti di un universo indifferenziato, ma che al contrario esistano precise linee di demarcazione riscontrabili sulla base di 4 dimensioni di analisi, ossia la mission, i legami religiosi con una particolare Chiesa, la cultura lavorativa ed il grado di religiosità dei volontari, ed infine le tipologie di donatori [Thaut 2009: 328-329]. Sulla base di queste dimensioni l’autrice identifica 3 tipologie di FBO:

1. le «Accommodative-Humanitarian», che si concentrano sull’assistenza senza compiere opera di proseli- tismo, e sono quindi quasi indistinguibili, sul campo, dalle organizzazioni laiche [ivi: 333-334];

2. le «Synthesis-Humanitarian», che portano avanti l’azione assistenziale rivendicando la loro identità reli- giosa e testimoniandola visibilmente [ivi: 336-337];

3. le «Evangelic-Humanitarian», sostanzialmente di natura cristiana fondamentalista, che si occupano es- senzialmente di proselitismo ed evangelizzazione, intese quale migliore forma di assistenza, escludendo talvolta totalmente ogni attività sanitaria o sociale [ivi: 339-341].

In questa prospettiva la Croce Rossa risulta essere sia un termine di paragone per tutte le FBO, sia un mo- dello per quelle della prima tipologia. Thaut cita infatti un’altra studiosa, Abby Stoddard82

, che «distingui- shes between the religious tradition of humanitarian agencies and the secular Dunantist and Wilsonian tradi- tions. In 1864, Henri Dunant founded the International Committee of the Red Cross (ICRC) to care for vic- tims of war, creating the first secular humanitarian […]. Save the Children UK and Médecins sans Frontières

stem from the Dunantist tradition» [ivi: 322 nota 2]. In proposito, forse sia Stoddard sia Thaut ignorano la profonda ispirazione religiosa che mosse per tutta la vita Dunant e gli altri membri fondatori del CICR (e che altri studi hanno invece sottolineato [Ossandón 2014: 84; Cipolla, Corsini 2017]), ma con ogni evidenza il loro primario interesse va alla natura formalmente aconfessionale che la Croce Rossa ha sempre avuto, in ot- temperanza ai principi di neutralità ed imparzialità. Tale aconfessionalità, sostiene Thaut, costituisce un mo- dello per le FBO della prima tipologia, appunto in quanto desiderose di far prevalere la loro mission incondi- zionatamente umanitaria sulla loro identità religiosa. Questo è almeno il caso di Christian Aid, un’agenzia umanitaria fondata nel secondo dopoguerra da « British and Irish church leaders», e che nonostante il nome e l’ispirazione «rejects evangelism in any aspects of its operations», ponendo la Croce Rossa come proprio modello deontologico:

Christian Aid emphasizes that its projects are evaluated based on standards of humanitarian conduct, stating, «All our work, and the work of our partners, is governed by the Red Cross/Red Crescent Code of Conduct. This code, to which we are signatories, commits us to giving aid on the basis of need alone, regardless of ethnicity, re- ligion or nationality. We are independent of governments and institutions, impartial in the allocation of aid and relief, and neutral in conflict as a humanitarian agency» [Thaut 2009: 334-335].

4.5. Conclusioni

In questo capitolo si è avuto modo di osservare che la Croce Rossa, sia come Movimento, sia come CICR, sia come singole Società Nazionali, è stata studiata e menzionata in molti articoli scientifici su riviste prestigiose con risultati rilevanti. In generale si può osservare le Società Nazionali riflettono le caratteristiche del sistema di welfare dei rispettivi Paesi e vi si conformano. Negli USA la Croce Rossa assume uno spiccato piglio imprenditoriale, collabora difficilmente con altre organizzazioni ed ha un ruolo di rilievo in ambito sa- nitario (ad esempio, nella raccolta del sangue), data anche la natura residuale del welfare state. In Scandina- via le Società collaborano fin troppo strettamente con lo Stato, ne vengono influenzate, e dirigono la loro at- tività assistenziale all’esterno, perché i cittadini sono assistiti primariamente dal welfare state. Nell’Europa continentale sono invece un tassello importante di un sistema basato sulla sussidiarietà, nato dall’esempio te- desco e diffuso in altri Paesi, come la ex nemica Francia, nonché il Belgio e la Svizzera, dove le Società han- no peraltro collaborato a rilevanti ricerche empiriche. Nella Grecia del periodo precedente alla crisi, invece, è testimoniata una discriminazione della Croce Rossa sulla base del meccanismo tipicamente “mediterraneo” della connivenza con le forze politiche al potere.

Più in generale, il CICR viene indicato come esempio di organizzazione dal solido codice di condotta uti- lizzabile quale modello, almeno parziale, per le altre organizzazioni di Terzo Settore e come partner affida- bile per esse: in particolare viene attualmente preso a modello da quelle Faith Based Organizations che non desiderano assumere un’impostazione troppo apertamente confessionale. Per questi ed altri motivi, la Croce Rossa è una realtà conosciuta e stimata in tutto il mondo, e quindi il suo brand risulta avere una forza incom-

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parabilmente maggiore rispetto a quello di altre organizzazioni umanitarie pure prestigiose, come Medici Senza Frontiere.

In Italia attualmente mancano ricerche empiriche e riflessioni teoriche comparabili a quelle qui esposte. Più in generale si riscontra un disinteresse degli scienziati sociali per la CRI che non ha paragoni fra i loro colleghi all’estero, come già accennato nell’Introduzione: le ragioni possono senz’altro essere quelle ipotiz- zate da alcuni esponenti della categoria, interpellati come testimoni privilegiati nell’ambito del presente lavo- ro, ed esposte in tale sede. In ogni caso, dai pochi accenni alla nostra Società Nazionale rinvenuti in alcune monografie e riportati nel presente capitolo, sembra potersi ricavare la conclusione che i sociologi italiani considerino la CRI un ente di Terzo Settore, ma anche un ente particolarmente vicino allo Stato. Lo studio di Colozzi e Bassi è però ampiamente anteriore al già accennato Decreto Legislativo 178 del 2012, mentre Mo- ro non sembra averne considerato attentamente la portata per la CRI, anche perché, quando egli scriveva il suo saggio, il Decreto era ancora nella sua fase di implementazione, che si è conclusa da circa due anni.

I sociologi del welfare italiani dunque non hanno ancora contemplato, fra i loro ambiti di ricerca, la nuova configurazione che la CRI ha assunto e quali ricadute ciò possa determinare nel rapporto fra l’Associazione stessa, lo Stato italiano, la cittadinanza, le altre realtà del Terzo Settore e il Comitato Internazionale di Gine- vra. Tuttavia non si può comprendere tale nuova configurazione senza aver prima compreso la precedente e ciò che ha reso necessario abbandonarla: in altre parole, è necessario ricostruire la storia dell’evoluzione del- la Croce Rossa Italiana nel contesto della formazione del welfare state nel nostro Paese.

curato da M. Joanna e H Adele.