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4. La Croce Rossa nel mondo e in Italia

4.2. La Croce Rossa negli USA

La Croce Rossa Americana è forse il caso più studiato, sia nel tempo sia per numero di ricerche, e proba- bilmente ciò è dovuto ad un mix di fattori: per un verso la sua rilevanza nel sistema di welfare americano, il suo prestigio e la sua lunga esistenza; per un altro verso, ovviamente, la proverbiale attenzione del mondo accademico statunitense per le ricerche empiriche sulla realtà sociale. Già nel 2001, ad esempio, Robert Herman e Denise Rendina, in uno studio sull’atteggiamento di donatori e finanziatori delle organizzazioni di Terzo Settore, ed in particolare sulle loro reazioni allo svolgimento di attività commerciali da parte di queste

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Cfr. http://www.ifrc.org/en/who-we-are/the-movement/national-societies/ (ultimo accesso: 09/09/2017).

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ultime, citavano una ricerca ancora anteriore di Bruce Kingma74 sui donatori della suddetta Società Naziona- le, che non sembravano averne gradito l’intraprendenza commerciale:

Using 1992 data from reports by chapters of the American Red Cross to national headquarters, Kingma (1995) investigated the relation between donations and revenues and profits derived from the sale of health and safety services (first aid and CPR classes). He found that profits from sales of classes “crowded out” or displaced donations. More specifically he estimated that each additional dollar of profits decreased donations by $3.59, a very large effect. Kingma also esamine the relation between sales revenue and donations and found substantial crowding out there too. An additional one dollar in sales decreased donations by $3.26. Apparently donors disli- ke commercial sales, not just earning a profit from sales. As Kingma observes, however, with cross-sectional da- ta other interpretations are possible [Herman, Rendina 2001: 160].

Più recentemente Guy Douglas Solomon [2012] ha realizzato uno studio sul problema della carenza di donazioni di sangue negli USA, dal quale è emerso il ruolo primario della Croce Rossa Americana in questo cruciale ambito dell’assistenza sanitaria. Come egli osserva, infatti, «The American Red Cross regularly conducts blood drives across the country, but these have not proved sufficient to maintain a constant suffi- cient supply. In spite of the efforts of the American Red Cross (and other blood donor agencies), more than 95% of the population avoids or refuses to donate in any given year […], and 60% of the population has ne- ver donated […]» [Solomon 2012: 417]. Egli ha quindi compiuto una ricerca empirica allo scopo di trovare una soluzione valida a tale problema ricorrente, ossia individuando una modalità di rifornimento di sangue regolare e non basata solo sui momenti di forte impatto emotivo come le emergenze, durante le quali (come dopo l’11 settembre) le donazioni eccedono largamente le necessità con forti rischi di spreco [ivi: 416]. So- lomon ha quindi verificato la disponibilità a donare il sangue degli studenti universitari statunitensi del college di Grenville, nello Stato del North Carolina, valendosi della collaborazione della stessa Croce Rossa Americana, che peraltro aveva già compiuto studi in merito insieme ad altri enti («The demographic profile of the blood donor is tracked on an ongoing basis by the Red Cross, the American Association of Blood Banks, and government agencies» [ivi: 418-419]): «Interviews with the American Red Cross (in Greenville, NC), the largest US organization involved in obtaining blood donations, indicate that the some of the profes- sionals see the short-term solution in the development of a number of dedicated donors who are willing to donate two or more times each year» [ivi: 421]. I risultati di questa ricerca sono stati incoraggianti: l’autore infatti ritiene che una soluzione efficace al problema sia informare e sensibilizzare i giovani studenti a partire dai 17 anni di età, ossia quando sono al termine del loro percorso di istruzione superiore. Successivamente occorrerebbe incoraggiarli a mantenere la propensione a donare sangue durante gli anni dell’università, fin- tanto che non diventi un’abitudine consolidata ed irrinunciabile per tutta la vita: si creerebbe così «a self- perpetuating donor group» [ivi: 428]. Nel frattempo, Solomon individua la soluzione contingente che al mo- mento sembra essere più efficace, e che la Croce Rossa Americana può utilizzare: «Currently, the most ef- fective manner of generating blood donations, among this age cohort, is the personal appeal […]. If civic clubs and organizations are no longer filling this need, then it may be useful for the Red Cross to set up a

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Si tratta di un articolo del 1995, intitolato Do profits “crowd out” donations, or vice versa?, e pubblicato sulla rivista «Non- profit Management & Leadership».

system of volunteers who each have a number of donors that they call 3 or 4 times a year. This could be set up like a telephone tree to maximize the number called» [ivi: 429].

D’altro canto la Croce Rossa Americana si caratterizza anche per una grande e precoce intraprendenza nel fundraising (del resto essenziale nel sistema di welfare statunitense), unita tuttavia ad una scarsa propensione alla sinergia con altre organizzazioni, come ha dimostrato, ancora nel 2012, lo studioso Putnam Barber. Egli ha infatti osservato che storicamente negli USA le prime tecniche di fundraising iniziarono ad essere elabo- rate, e rapidamente raffinate, già agli inizi del XX secolo, in favore della YMCA [Barber 2012: 740-741], ma che la Croce Rossa Americana non tardò a servirsene in coincidenza dell’ingresso nella Prima Guerra Mon- diale, così come altre organizzazioni, ma senza mai fare “causa comune” con esse:

By the 1910s, for-profit firms were putting these proven techniques to work on behalf of clients such as col- leges, hospitals, and religious institutions. The outbreak of World War added new causes in the form of relief for refugees and support for the war effort. When the United States entered combat, the fundraising by the Ys, the American Red Cross, and scores of other organizations became even more intense, with campaign after cam- paign calling on the energies of volunteers and the generosity of donors. […] The American Red Cross (ARC) also engaged in concerted, but separate, fundraising yielding a total during the war years of over $400 million in support for its work, including participation in relief activities [ivi: 741].

Questa grande intraprendenza, anche nella costruzione di rapporti privilegiati con le autorità pubbliche, si è accompagnata per lungo tempo alla ferma volontà di non adottare una linea di condotta sinergica nei con- fronti delle altre organizzazioni: «The American Red Cross, described by President Wilson in 1918 as “reco- gnized by law and International convention as the public instrumentality for war relief” at the start of WWI, and committed to the view that memberships as well as donations were essential to its success, resisted ef- forts to combine its fundraising with others’ until the last quarter of the twentieth century» [ivi: 742]. Dun- que, anche durante la Grande Depressione e la Seconda Guerra Mondiale sono stati evitati i «joint fundrai- sing efforts» [ivi: 745]. Attualmente tale atteggiamento sembra essere stato abbandonato, a differenza della continua ricerca di soluzioni innovative per la raccolta di fondi (tramite le tecnologie digitali, ad esempio, «the American Red Cross is reported to have received $32,000,000 in such donations within a month of the catastrophic earthquake in Haiti in January 2010» [ivi: 757]). Tuttavia la storica scarsa propensione della So- cietà Nazionale statunitense alla collaborazione con altre organizzazioni può forse essere una delle cause di una condotta, non particolarmente brillante, da essa tenuta in occasione dell’uragano Katrina, ossia nell’autunno del 2005. Gli studiosi Stephanie Gajewski, Holly Bell, Laura Lein e Ronald Angel hanno infatti analizzato il comportamento tenuto dalle organizzazioni di Terzo Settore statunitensi in quella occasione, du- rante la quale i soccorsi furono tragicamente al di sotto delle aspettative, e soprattutto delle necessità, dei profughi delle zone alluvionate, rilevando anzitutto il ruolo-chiave di cui la Croce Rossa era stata investita da alcuni anni per volontà del governo federale: «To deal with the need for coordination after 9/11, the United States developed a National Response Plan to provide a single framework for responding to domestic disa- sters. Red Cross and National Voluntary Organizations Active in Disaster (NVOAD) were charged with spe- cific national coordination tasks» [Gajewski, Bell, Lein e Angel 2011: 391]. Tuttavia, in occasione di Katri-

na, la Croce Rossa non si è dimostrata all’altezza di tale responsabilità, ad esempio in merito alla fornitura di mezzi di trasporto ai sopravvissuti:

In the spring of 2007, the American Red Cross launched its Means to Recovery program, which could provi- de up to US$10,000 toward client self-sufficiency. Many case managers were approached by survivors anxious to purchase a car through the program. However, the program guidelines, limited funding, and extensive paper- work meant that only a very few survivors were actually able to get a car through this program. Means to Reco- very also did not address the transportation needs of elderly and disabled clients who would not be able to meet the program guidelines of selfsufficiency […] [ivi: 398]

Alla luce di ciò, nel 2008 la Croce Rossa Americana è stata sollevata dal suo incarico, che è stato invece assegnato alla Federal Emergency Management Agency (FEMA), nell’ambito di un nuovo programma per le emergenze denominato “National response Framework”: «an acknowledgement that such a task is too large for any one or even several NGOs» [ivi: 399]. La conclusione degli autori è dunque che né la Croce Rossa Americana, né le altre organizzazioni non profit, per quanto siano forti e prestigiose e per quanto tentino di operare in sinergia, possono sostituire lo Stato in circostanze estreme: al contrario, «They function best as an adjunct to the state […] and benefit from state oversight, support, and monitoring […]» [ivi: 400].

Tuttavia la Croce Rossa Americana ha evidentemente conservato pressoché intatto il suo prestigio agli occhi dell’opinione pubblica statunitense75

, come sembra confermare un recente articolo di Walter Wymer, Hellen Gross e, ancora, Bernd Helmig, nel quale la Società è stata posta peraltro in comparazione con Medici Senza Frontiere. L’articolo in questione espone infatti i risultati di uno studio empirico tendente a concettua- lizzare e misurare la “forza” del brand delle organizzazioni di Terzo Settore, partendo dal presupposto che la ricerca scientifica ha ignorato questo aspetto del mondo del non profit [Wymer, Gross e Helmig 2016: 1450]. I tre studiosi hanno dunque concettualizzato la forza del brand di un ente di Terzo Settore in base a tre di- mensioni: «familiarity», ossia il grado di conoscenza del brand da parte dell’opinione pubblica; «remarkabi- lity», ossia la sua unicità, la sua eccezionalità rispetto a quelli degli altri enti impegnati in ambiti analoghi; «attitude», ossia la percezione più o meno favorevole che l’opinione pubblica ha di quel brand [ivi: 1452- 1454]. Sulla base di tale presupposto, gli autori hanno elaborato un questionario a risposte chiuse con la col- laborazione di 55 studenti di marketing tedeschi e australiani [ivi: 1454-1455] e lo hanno sottoposto via internet a tre campioni di persone, di volta in volta con alcune variazioni e avendo come oggetto tre coppie di organizzazioni di Terzo Settore: World Vision e Operation Smile, sottoposti al giudizio di 10.000 australiani, di cui 643 hanno completato il questionario [ivi: 1455-1456]; Guide Dogs e il WWF, valutati da altri 10.000 australiani, dei quali 639 hanno completato il questionario [ivi: 159-1460]; infine, la Croce Rossa e Medici Senza Frontiere. Si è trattato di una scelta dettata da un criterio specifico, vista la grande notorietà di entram- be le organizzazioni:

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Del resto la Croce Rossa Americana gode da tempo di una credibilità superiore alle altre organizzazioni di Terzo Settore, come hanno dimostrato studi più o meno recenti: ad esempio, in un loro articolo del 2014 sul tema delle preferenze dei donatori, Maren Bachke, Frode Alfnes e Mette Wik hanno sottolineato come gli studiosi C.C. Eckel e P.J. Grossman avessero riscontrato tale superio- rità già in un loro studio del 1996, usando la tecnica di ricerca empirica nota come dictator game: «They compared dictator games where the recipients were either anonymous individuals or the American Red Cross, and found that their participants gave three times more when the American Red Cross was the recipient» [Bachke, Alfnes e Wik 2014: 470].

A third study, using a new sample, was conducted to cross-validate the scale. As in the prior studies, we used two nonprofit organizations as our brand objects: the American Red Cross (RC) and Doctors Without Borders (DWB). Thus, both organizations are relatively well known, yet the RC appears to be slightly more popular (in the rankings of Charity Navigator […], RC is 1st, DWB is 3rd). These organizations were selected to assess the scale’s ability to differentiate two organizations that are quite close with respect to popularity out of a large pool. Hence, the close proximity of these two brand objects serves as a rigorous test of the scale’s ability to distinguish peer brands [ivi: 1462].

In questo caso il campione è stato costituito da un non precisato numero di cittadini statunitensi, dei quali 523 hanno completato il questionario [ivi: 1462-1463]. I risultati hanno confermato la superiore forza del brand della Croce Rossa Americana, nonostante la relativamente recente prova fallimentare dopo l’uragano Katrina: «We tested the ability of the scale to distinguish between the two brands. We expected RC to have a higher level of brand strength than DWB because of its slightly greater popularity (1st and 3rd, respectively, out of 1100 charities). We followed the procedures used in the prior two studies (Reviewer Appendix U). The brand strength dimension and composite means are all significantly greater for RC than for DWB» [ivi: 1464].