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Dal comunismo da caserma al socialismo della speranza

LA PARABOLA CECO-SLOVACCA NELLA PARABOLA DELLA MITTELEUROPA

6. Dal comunismo da caserma al socialismo della speranza

L’affermazione del partito comunista in Cecoslovacchia non fu dovuta sol-tanto all’attrazione verso Mosca in seguito alla vittoria dell’Unione Sovietica e al ricordo di Monaco, ma anche alla convinzione che il suo programma potesse

39 Anche certa storiografia recente ceca e slovacca tende a sminuire il senso e il valore della nascita della Cecoslovacchia voluta da Masaryk nel tentativo di giustificare la separazione avve-nuta nel ’93 e presentarla come un passaggio inevitabile.

40 Tra la fine degli anni ’20 e la prima metà degli anni ’30 vi fu da parte jugoslava, con il mi-nistro degli Esteri Vojislav Marinković, la concreta disponibilità a normalizzare i rapporti con l’Italia in vista anche di un’alleanza; cfr. SOMMELLA V., Un console in trincea. Carlo Galli e la

costituire la prosecuzione e il consolidamento di quella forma di socialismo de-mocratico, di democrazia progressiva che aveva pervaso la società nell’ante-guerra 41. Fu invece l’inizio di uno dei periodi più cupi della storia dei due popo-li e anche l’avvento del comunismo negpopo-li altri paesi dell’Europa centrale, salvo in parte in Jugoslavia, significò l’insediamento di regimi repressivi e polizie-schi, ben lontani dall’ideale umanistico al quale le masse agognavano dopo i di-sastri delle dittature e della guerra.

Del trauma tremendo che esso costituì per una cultura politica che non aveva conosciuto regimi autoritari e violenti è assai eloquente la testimonianza di He-da Margolius Kovály, vedova di Rudolf Margolius, tra le vittime del processo farsa intentato nel novembre 1952 contro quella che venne definita la “direzione del centro di cospirazione antistatale diretto da Rudolf Slánský” 42 e che si con-cluse con undici condanne a morte e tre ergastoli 43.

Il governo democratico di Tomáš Masaryk – scrive l’autrice – aveva instillato in noi la certezza che certe cose non potessero più accadere. Avevamo ascoltato distratta-mente gli insegnanti di storia che ci parlavano di torture e persecuzioni di innocenti, convinti che quelle cose fossero possibili solo in un passato remoto, nei secoli bui. Quando erano accadute nella nostra epoca, e in una forma assai peggiore di quanto potessimo immaginare, ci era sembrata la fine del mondo, come se stessimo assi-stendo a uno strappo nell’evoluzione umana, al crollo dell’uomo come essere razio-nale 44.

I movimenti di opposizione e di dissenso che tra il ’56 e l’89 si svilupparono nel blocco sovietico miravano nel complesso a creare una democrazia che fosse al tempo stesso sociale ed economica, a liberare l’uomo dai condizionamenti del produttivismo e del consumismo nel rispetto dei diritti fondamentali della per-sona e in una prospettiva di autogoverno nei luoghi di lavoro e nell’ambito dei

41 Il messaggio di Masaryk aveva attraversato la Seconda guerra mondiale e la Resistenza ce-coslovacca. Ci si era rifatti a lui nel manifesto degli inizi degli anni ’40 Za svobodu! Do nové

Československé republiky [Per la libertà! Verso una nuova Repubblica cecoslovacca], dove però il

suo pensiero era stato forzato in direzione del superamento del sistema capitalista; cfr. V ACCARI-NO G., Storia della resistenza in Europa 1938-1945. I paesi dell’Europa centrale: Germania,

Au-stria, Cecoslovacchia, Polonia, Feltrinelli, Milano, 1981, pp. 230-231.

42 Rudolf Slánský era stato dal 1945 al 1951 segretario generale del partito comunista ceco-slovacco.

43 Margolius, già sottosegretario al Commercio estero, venne condannato a morte e le sentenze “contro la banda Slánský”, pronunciate il 27 novembre, furono eseguite all’alba del 4 dicembre. Il corrispondente de “l’Unità” da Praga, Sergio Segre, riferisce il 28 novembre che “le risultanze del processo sono chiarissime e lapidarie”.

44 MARGOLIUS KOVÁLY H., Sotto una stella crudele. Una vita a Praga, 1941-1968, Adelphi, Milano, 2017, p. 75.

rapporti politici 45. In questo senso la Primavera di Praga è il periodo più ricco di contenuti e di significati 46.

L’ascesa di Alexander Dubček alla segreteria del partito comunista, il 5 gen-naio 1968, significò ben presto l’avvio di una svolta decisiva nella storia del so-cialismo non solo in Cecoslovacchia. Con la sua elezione si apriva quello che potremmo chiamare il “triennio d’oro” del socialismo mondiale e l’invasione dell’agosto riuscirà solo a incrinarlo, ma non a interromperlo; sarà invece il sui-cidio del comunismo sovietico.

Nell’ottobre dell’anno successivo salirà alla Cancelleria di Bonn il più prestigioso esponente della Resistenza antinazista, Willy Brandt, che si rial-laccerà nel suo primo discorso al Bundestag proprio ai contenuti dell’espe-rienza praghese 47 e nel ’70 verrà eletto alla presidenza del Cile Salvador Al-lende.

Non vi siete accorti al cinema o alla televisione – osservava Jean Daniel, il direttore de “Le nouvel Observateur” all’apertura della “Biennale del dissenso” nel ’77 – che Alexander Dubček aveva un po’ lo stesso comportamento fisico di Salvador Allen-de? […] Uomini che esprimono l’umanità sotto l’aspetto modesto, medio, profondo. E dietro di loro dei movimenti che rispondono all’aspirazione delle masse e alla compiutezza degli individui. Questi uomini qualunque sono rari e quei momenti pri-vilegiati.

Più oltre esprimeva l’augurio a non dimenticare

il nostro debito verso la Primavera di Praga. Nella storia del nostro cammino, nella genesi della nostra presa di coscienza, Alexander Dubček è un punto insostituibi-le 48.

45 Cfr. LEONCINI F., L’opposizione all’Est 1956-1981. Raccolta di testi con introduzione e

bi-bliografia, Lacaita, Manduria-Bari-Roma, 1989; ristampa della Editrice Cafoscarina, Venezia,

2007. Esso costituisce l’unico lavoro che dia conto in maniera organica e sistematica delle fonti relative a quegli eventi con informazioni sulle personalità più rilevanti.

46 Cfr. LEONCINI F. (a cura di), Che cosa fu la “Primavera di Praga”? Idee e progetti di una

riforma politica e sociale, Lacaita, Manduria-Bari-Roma, 1989; ristampa della Editrice

Cafosca-rina, Venezia, 2007. Nel volume sono contenuti cinque saggi di alcuni tra i maggiori protagonisti di allora e il testo dell’intervista rilasciata da Dubček a “l’Unità” il 10 gennaio 1988.

47 “Noi vogliamo osare più democrazia. Noi renderemo più trasparente il nostro lavoro e vo-gliamo soddisfare il bisogno critico di informazione […] Noi vovo-gliamo una società che offra più libertà e promuova più responsabilità”: BRANDT W., www.willy-brandt.de/fileadmin/brandt/ Downloads/Regierungserklärung_Willy_Brandt_1969 (29 giugno 2019).

48 DANIEL J., Il diritto di dire no, in Libertà e socialismo. Momenti storici del dissenso, Sugar-co edizioni, Milano, 1977, pp. 15-16.

Unico leader comunista a guidare con vastissimo consenso 49 un movimento riformatore, altro discorso sarà per Gorbačëv, egli aveva capito che quel model-lo imposto nel dopoguerra in Europa centrale e di cui egli stesso era stato parte-cipe non era riuscito a innervarsi nella realtà sociale, economica e culturale di quell’area e l’aveva capito all’ora giusta e in un luogo, un paese da sempre in-dustrialmente avanzato, che avrebbe costituito il laboratorio privilegiato per ten-tare un cambiamento di rotta.

Il giornalista americano di origine polacca Tad Szulc, corrispondente del

New York Times, descrive con grande aderenza e un pizzico di ilarità

l’irrefrena-bile gioia della popolazione che sfilava il 1° maggio davanti alla tribuna delle autorità:

The hero of the day was, of course, Alexander Dubček. His long Pinocchio nose pointing up and his blue eyes twinkling, he smiled and laughed as the crowds cheered him wherever he went. He was his usual shy self, but he accepted gifts of flowers, signed autographs, and allowed himself to be mobbed by admirers until the policy reluctantly and apologetically surrounded him with a protective cordon 50.

Un’analisi ravvicinata dei documenti e dei programmi elaborati nel corso degli otto mesi della Primavera 51 ci permette di andare al di là dei facili giudizi di circostanza e delle considerazioni sbrigative espresse di volta in volta da stu-diosi, uomini politici e giornalisti sul carattere ingenuo e illusorio dell’esperi-mento cecoslovacco e sulla irriformabilità del sistema.

Lo scopo non era quello di “aggiornare” o “migliorare” il sistema sovietico (il kadarismo si muoveva in questo senso) bensì quello di creare una forma ori-ginale di organizzazione democratica e per ciò stesso socialista (cioè sostanziata dai diritti sociali), un modello nuovo che si sarebbe differenziato anche dalle esperienze del mondo occidentale ma che comunque si sarebbe inserito nel grande alveo di quella democrazia umanistica, affermatasi successivamente alla Seconda guerra mondiale con le realizzazioni del laburismo inglese e del pro-gramma della Resistenza francese, in sintonia con le prospettive aperte in Italia

49 La grande maggioranza della società e della intelligencija rivedeva la possibilità di ricolle-garsi all’esperienza democratica d’anteguerra.

50 Cfr. SZULC T., Czechoslovakia since World War II, Grosset & Dunlap, New York, 1971, p. 312. La straordinaria atmosfera di quei mesi è ora documentata visivamente in LEONCINI F.,

Dubček. Il socialismo della speranza, Gangemi, Roma, 2018, con una sessantina di foto di raro

impatto emotivo, corredate da testi esplicativi e scritti dell’epoca.

51 A cominciare dall’intervento di Dubček al comitato centrale di fine ottobre ’67, nel quale egli sostiene l’esigenza di “realizzare un rivolgimento radicale che porti a essenziali trasformazio-ni nel lavoro del partito”. Cfr. DUBČEK A., Le ventimila parole di Dubček per un’autentica

dalla Costituzione repubblicana e con le nuove formulazioni della socialdemo-crazia tedesca, che Willy Brandt stava portando alla Cancelleria.

Si tratta pertanto di “dissequestrare” gli eventi cecoslovacchi del ’68 dalla loro originaria collocazione interna al blocco sovietico; vi era la consapevolezza che si stava costruendo qualcosa di “altro” e ci si proponeva di affrontare in mo-do inedito non solo la crisi del paese ma quella più generale della società con-temporanea 52. In altre occasioni ho ricordato la scarsa praticabilità di un diverso comportamento di Dubček rispetto a un intervento armato che aveva colossali proporzioni e analogamente appaiono ingiustificate le accuse nei suoi confronti di non aver saputo affrontare con fermezza e coraggio la situazione determinata dall’occupazione, quando ormai la sua persona era oggetto di pesanti pressioni e condizionamenti.

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