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Rifondazioni jugoslave e post-jugoslave

JUGOSLAVIA, PRIMA, DURANTE E DOPO

5. Rifondazioni jugoslave e post-jugoslave

Se la Seconda guerra mondiale ha drammaticamente mostrato gli effetti che teorie nazionali, persino razziali e razziste, hanno avuto anche tra gli Slavi del sud, persino in questo contesto è possibile vedere altro. Perché a fronte di nazionalismi criminali sorsero forme di resistenza antifascista dall’esplicito carattere sovrana-zionale 19. Di nuovo, nemmeno in questo caso si vuole edulcorare la storia fornen-do un’immagine idilliaca del movimento resistenziale jugoslavo. Questa era piut-tosto l’immagine fornita dalla propaganda d’epoca socialista, che dipingeva i po-poli jugoslavi nei loro costumi popolari, che ballavano tenendosi per mano 20. Non siamo così naïve da credere in toto a quella rappresentazione strumentale.

Tuttavia, è innegabile che anche nella seconda Jugoslavia vi furono forme di sincera adesione al progetto jugoslavista, nella sua nuova versione, che rispetto a quella monarchica era meno nazionalista, e ora anche socialista. La collaborazione e il “compromesso”, non solo tra serbi e croati, prese corpo e in vario modo resi-stette per alcuni decenni. Similmente all’impero asburgico letto come “prigione dei popoli”, anche la Jugoslavia è stata presentata come innaturale, forzosa e violenta coabitazione tra comunità etniche incompatibili. Ma è sufficiente qualche conver-sazione a tavola con jugoslavi non troppo nazionalisti perché sorga più d’un dub-bio rispetto all’affidabilità di quel quadro. E se le conversazioni occasionali non sono ritenute sufficienti, esiste ormai un’ampia mole di studi che ha smontato la tesi dell’“odio atavico” che avrebbe prodotto le guerre degli anni ’90 21.

19 Sulle tensioni tra istanze nazionali e internazionaliste, si veda la raffinata analisi di W ÖR-SDÖRFER R., Krisenherd Adria 1915-1955. Konstruktion und Artikulation des Nationalen im

itali-enisch-jugoslawischen Grenzraum, Schöningh, Paderborn, 2004 (ed. it. Il Mulino, 2009), pp.

315-425. Per una prospettiva di genere: WIESINGER B.N., Partisaninnen. Widerstand in Jugoslawien

1941-1945, Böhlau, Wien, 2008.

20 Sulla rappresentazione semplicistica del movimento resistenziale jugoslavo: HÖPKEN W.,

Der Zweite Weltkrieg in den jugoslawischen und post-jugoslawischen Schulbüchern, in ID. (Hrsg.), Öl ins Feuer? Schulbücher, ethnische Stereotypen und Gewalt in Südosteuropa, Hahn-sche Buchhandlung, Hannover, 1996, pp. 159-177; ID., Guerra, memoria ed educazione in una

società divisa: il caso della Iugoslavia, tr. it. in Passato e presente, 43, 1998, pp. 61-90; P ETRUN-GARO S., La ´Lotta di liberazione popolare´ in Jugoslavia e negli Stati successori: una questione

di (r)esistenza, in AGOSTI A.,COLOMBINI C. (a cura di), Resistenza e autobiografia della nazione.

Uso pubblico, rappresentazione, memoria, Edizioni Seb 27, Torino, 2012, pp. 309-319.

21 GAGNON V.P., The Myth of Ethnic War: Serbia and Croatia in the 1990s, Cornell Universi-ty Press, Ithaca, 2004; BOUGAREL X., Yougoslavie: la “revanche des campagnes” entre réalité

sociologique et mythe nationaliste, in Balkanologie, 2, 1998, pp. 17-35; più recentemente lo

stes-so autore è tornato sul tema stes-sollevando nuove questioni: ID., Twenty Years Later: Was Ethnic War

Just a Myth?, in Südosteuropa, 4, 2013, pp. 568-577; HALPERN J.M., KIDECKEL D.A. (eds.),

Neighbors at War. Anthropological Perspectives on Yugoslav Ethnicity, Culture and History, The

Pennsylvania State University, University Park, 2000; ŽANIĆ I., Flag on the Mountain. A Political

Le dinamiche della violenza collettiva sono anch’esse un fenomeno assai complesso. Gli studi interdisciplinari (penso anzitutto a quelli sociologici e an-tropologici), anche solo quelli legati all’ex Jugoslavia, hanno messo bene in lu-ce i fattori economici, il ruolo delle paure, quello degli “impresari dell’odio”, che strutturano le mobilitazioni a livello locale e regionale 22. Al di là della scar-na considerazione che, per mettere in atto un massacro a livello locale basta, in certe condizioni, un piccolo gruppo di uomini armati, i conflitti che hanno por-tato alla dissoluzione della Jugoslavia sono stati senz’altro caratterizzati da an-tagonismi nazionali. Eppure, non possono essere spiegati semplicemente ricor-rendo a quella chiave interpretativa. Mi sforzerei di non cadere, di nuovo, nella trappola teleologica per cui quanto è avvenuto fosse “destino” che avvenisse. Questo atteggiamento priva di responsabilità quegli attori che invece hanno pro-mosso e orientato il conflitto. Invece di chiedermi se il serbo e il croato siano davvero una lingua o due diverse, invece che parlare di eredità medioevali (si veda l’onnipresenza del mito della “battaglia del campo dei merli”, del 1389) 23, o di “spazi vitali” delle comunità nazionali, va messo al centro il concetto ap-punto di “responsabilità”, cercando, come è stato fatto sia in sede storiografica sia, con obiettivi diversi, in sede giudiziaria, di ricostruire nel dettaglio gli even-ti e di individuare quaneven-ti hanno fatto di tutto perché la dissoluzione della Jugo-slavia fosse drammatica.

E adesso? Ora che la Jugoslavia non c’è più? Attualmente continuano i proget-ti nazionali esclusivisproget-ti, serbo, bosgnacco, croato e via dicendo, e vengono sen-z’altro mantenuti vivi discorsi e pratiche di ostilità reciproca. Eppure, nemmeno ora sono scomparsi atteggiamenti alternativi. Vi è ad esempio una potente “jugo-nostalgia”, diffusa e non irrilevante, che caratterizza non solo la memoria di chi in Jugoslavia è vissuto davvero, ma anche chi è nato dopo 24. Ha a che fare con la

22 SÉMELIN J., Purificare e distruggere. Usi politici dei massacri e dei genocidi, Einaudi, Torino, 2007 (ed. or. 2005); MALEŠEVIĆ S., The Sociology of War and Violence, Cambridge University Press, Cambridge, 2010; cfr. il classico TROTHA T.von (Hrsg.), Soziologie der Gewalt, numero spe-ciale di Kölner Zeitschrift für Soziologie und Sozialpsychologie, 37, 1997. KALYVAS,S.N., The

Log-ic of Violence in Civil War, Cambridge University Press, Cambridge, 2008; ID., Promises and

Pit-falls of an Emerging Research Program: the Microdynamics of Civil War, in KALYVAS S.N., SHAPIRO I.,MASOUD T. (eds.), Order, Conflict, and Violence, Cambridge University Press, Cam-bridge, 2008, pp. 397-421. Più specificamente in relazione ai territori jugoslavi: DULIĆ T., Utopias of

Nation. Local Mass Killing in Bosnia-Herzegovina, 1941-42, Uppsala University Library, Uppsala,

2005; KORB A., Im Schatten des Weltkriegs. Massengewalt der Ustaša gegen Serben, Juden und

Roma in Kroatien 1941-1945, Hamburger Edition, Hamburg, 2013 (ed. it. Massari Editore, 2018). 23 Per una decostruzione di questo mito: MARTELLI B., La guerra in Bosnia. Violenza dei miti, Il Mulino, Bologna, 1997.

24 PETRUNGARO S., Jugostalgia. Ripensamenti al cospetto della Jugoslavia defunta, in PETRI

R. (a cura di), Nostalgia. Memoria e passaggi tra le sponde dell’Adriatico, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2009, pp. 255-274; VELIKONJA M., Titostalgia: A Study of Nostalgia for Josip

memoria di quegli anni, una memoria, come tutte le memorie collettive, che è pla-smata e continuamente riplapla-smata, guardando in verità sempre al futuro.

Inoltre, sebbene questa non sia la stagione di nuovi progetti nazionali di stampo jugoslavista, di cui infatti non si parla, ci troviamo ormai – perlomeno in certi settori della società – in una fase effettivamente post-bellica, dove emergo-no pratiche dal basso che in qualche modo vanemergo-no al di là dei presunti confini in-valicabili 25. E se prima ho fatto l’esempio del contadino, del commerciante, dell’elemosinante, ora porto quello del cestista. Come dimostrato da alcuni studi sul campo, c’è tutta una serie di attività, non solo economiche (questo è ovvio), ma anche sportive, che ha ripreso ad uscire dagli angusti confini nazionali, per ricostruire un circuito post-jugoslavo. Perché per organizzare un bel torneo di basket è meglio muoversi tra Zagabria, Belgrado e Skopje, che giocare sempre con gli stessi amici del quartiere 26. Vi sono inoltre svariate iniziative artistiche che si pongono come obiettivo quello di capitalizzare il passato jugoslavo, sfrut-tandolo per la mobilitazione politica attuale. Lo studio di alcuni cori post-jugo-slavi può rivelarsi in questo senso molto interessante 27.

Così, la Jugoslavia non c’è più, eppur in qualche modo persiste. Questi pro-cessi di riavvicinamento, non promossi dall’alto, contrastano seriamente, “dal basso”, la tesi della naturale incompatibilità. Si tratta di pratiche informali e non governative, a volte orientate al profitto economico, altre invece espressione di una comune cultura. A modo loro, esse criticano quelle teorie politiche e i pro-getti conseguenti che si sono posti come obiettivo la separazione. Una partita a basket non abbatte i muri né ferma le guerre; offre però una nota ottimista, che non fa mai male, e uno sguardo interessante sulla realtà post-jugoslava, che va ben al di là del canestro.

Broz, Peace Institute, Ljubljana, 2008; KOLSTØ P., Identifying with the Old or the New State:

Na-tion-Building vs. Yugonostalgia in the Yugoslav Successor States, in Nations and Nationalism, 20,

2014, pp. 760-781; per un quadro di riferimento più ampio alle nostalgie post-comuniste: T ODO-ROVA M., ZSUZSA G. (eds.), Post-Communist Nostalgia, Berghahn Books, New York-Oxford, 2010; RAUDVERE C. (ed. by), Nostalgia, Loss and Creativity in South-East Europe: Political and

Cultural Representations of the Past, Palgrave Macmillan, London, 2018.

25 RISTIĆ I. (ed. by), Defragmenting Yugoslavia, numero tematico di Südosteuropa, 59, 2011.

26 RISTIĆ I., Rapprochment as a Paradigm Shift: Does the Wheel Come Full Circle in Former

Yugoslavia?, in ivi, pp. 286-300.

27 PETROVIĆ T., The Political Dimension of Post-Socialist Memory Practices: Self-Organized

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