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Una success story centroeuropea

LA PARABOLA CECO-SLOVACCA NELLA PARABOLA DELLA MITTELEUROPA

5. Una success story centroeuropea

La tradizione democratica ceca aveva radici lontane. Masaryk la impersona-va e ne costituiimpersona-va la sintesi. Nel periodo tra le due guerre mondiali egli diventa il punto di riferimento della cultura ceca, rappresenta l’anello di congiunzione tra il pensiero tardo medievale e l’età moderna, mette in rapporto la Riforma re-ligiosa e sociale di Jan Hus e il pensiero umanistico di Comenio (Jan Amos Komenský) con le acquisizioni della filosofia occidentale dei secoli successivi.

Per quanto riguarda l’assetto europeo egli vede le nuove formazioni slave emerse dopo la guerra, vale a dire Polonia, Cecoslovacchia e Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (dal ’29 Jugoslavia), legate da un’inevitabile alleanza antiger-manica, dato che da sempre il loro comune nemico erano stati i tedeschi, ma ciò avrebbe dovuto avere solo un carattere difensivo:

28 Cfr. LEONCINI F., La questione, cit., pp. 152-153.

29 LEIBOVITZ C.,FINKEL A., Il nemico comune. La collusione antisovietica fra Gran Bretagna

e Germania nazista, Fazi, Roma, 2005.

30 “Mi hanno venduto come schiavo alla Germania, come hanno venduto i Negri come schiavi all’America”, disse Jan Masaryk, figlio di Tomáš e allora ambasciatore a Londra, abbracciando tra le lacrime il suo collega sovietico Ivan Maiski. Cfr. MAÏSKI I., Journal 1932-1943. Les

Questi tre stati slavi non saranno stati cuscinetto; questo concetto non ha senso in un’Europa democratica e non militarista, poiché tutte le nazioni saranno leali e avranno rapporti di buon vicinato 31.

Di questa atmosfera caratterizzata da un senso di pacifica evoluzione della politica internazionale, abbiamo testimonianza da parte di Giuliana Benzoni, già fidanzata di Štefánik 32, che frequentò per molti anni tra le due guerre l’ambiente del Castello (Hradčany, sede della presidenza della Repubblica) a Praga:

C’era l’illusione che il quadro internazionale si conservasse immutato. Masaryk ipotizzava, da buon seguace del positivista Auguste Comte, che il periodo dei muta-menti fosse finito. Non immaginava che il suo elaborato sistema di alleanze sarebbe saltato per le micce naziste 33.

Se queste aporie si possono rilevare nell’impostazione ideale con indubbie ricadute sul piano operativo, ben poco si può rimproverare alla condotta politica di Masaryk e dello stesso Beneš, per il fatto che la loro creatura sia stata spazza-ta via nel giro di un ventennio. Molte e gravi furono invece le responsabilità delle potenze democratiche che cedettero fin dal ’36, in occasione della rimilita-rizzazione della Renania, alla dinamica revisionista e aggressiva di Hitler.

Quanto al fatto della fragilità e del cosiddetto “carattere artificiale” della compagine cecoslovacca sarebbe interessante approfondire questa teoria che di-stingue tra Stati naturali e artificiali e domandarsi quali sono gli Stati naturali, dove vi è perfetta identità tra Stato e nazione. Forse la Gran Bretagna, il Belgio, la Spagna, con tutti i loro problemi di secessioni, o la Germania, che fino al ’700 era composta di 360 minuscole sovranità? La Monarchia asburgica non era certo uno Stato “naturale”. Metternich considerava l’Italia niente più che una “denominazione geografica” (12 aprile 1847) e forse taluni protagonisti dell’at-tuale politica tendono a farla ritornare tale 34. Sarebbe peraltro da chiedersi non solo “quale futuro per l’Europa” ma pure “quale futuro per l’Italia” a cent’anni

31 MASARYK T. G., La Nuova, cit., p. 142.

32 Prematuramente scomparso il 4 maggio 1919 in un incidente aereo, sulle cui cause si sono costruite diverse ipotesi. Egli era partito da Campoformido e stava atterrando a Bratislava con un Caproni Ca. 33 ed equipaggio italiano. Rappresenta uno degli ultimi esponenti dell’Europa ro-mantica ed è celebrato in Slovacchia come un eroe.

33 Di antico lignaggio, sedotta dallo straordinario fascino di Milan, la Benzoni, dopo la sua morte, giocò un ruolo assai rilevante negli ambienti politici democratici italiani. Cfr. BENZONI G.,

La vita ribelle. Memorie di un’aristocratica italiana fra belle époque e repubblica, raccolte da

TEDESCO V., Il Mulino, Bologna, 1985, p. 121.

34 La cosiddetta “autonomia differenziata” voluta da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna non appare altro che un paravento per il definitivo distacco del Nord dal Mezzogiorno in vista dell’aggregazione all’area austro-tedesca.

dalla Grande guerra, che era stata intesa anche come compimento dell’unità na-zionale.

Il “caso” cecoslovacco è senz’altro esemplare per dimostrare che la convi-venza tra componenti etniche e religiose diverse può svilupparsi pacificamente, al di là di tensioni e contrasti che sono propri di qualsivoglia formazione statua-le. Nel periodo interbellico questo Paese raggiunse uno standard economico e sociale che lo pose tra i primi posti nella scala mondiale con un livello culturale assai elevato e riuscì a sottrarsi all’influenza delle dittature nazifasciste e bol-scevica che dominavano l’Europa.

Il celebre giornalista tedesco Emil Ludwig, noto in Italia per i Colloqui con

Mussolini, nei suoi Colloqui con Tomáš Garrigue Masaryk del ’35 definì lo

sta-tista praghese “il più grande homo europaeus […] i cui pensieri serviranno più per il futuro che per il presente” 35. E l’Italia antifascista volle subito ricordare solennemente nel 1945, il 7 marzo, giorno anniversario della sua nascita, la fi-gura e l’opera dello scomparso “presidente filosofo”, caso raro di un intellettua-le al vertice dello Stato. La commemorazione venne affidata a Benedetto Croce, che in qualche modo poteva essere considerato suo “collega” ed era assurto a simbolo della libertà nel periodo oscuro che si stava concludendo. Quale sede fu scelto proprio quel Palazzo Venezia che era stato il palcoscenico del dittatore 36.

Con buona pace della studiosa inglese Mary Heimann, che recentemente ha voluto precisare fin dal titolo della sua monografia Czechoslovakia. The state

that failed 37, e di coloro che parlano di un “peccato originale” per la scarsa rap-presentatività o l’assenza di alcune delle componenti nazionali non ceche nel-l’“Assemblea costituente”, quella della Prima repubblica cecoslovacca fu “una storia di successo” 38.

Edmund Husserl, originario come Masaryk della Moravia del sud, vide in questo Paese l’unico approdo alla sua impegnativa attività scientifica che stava portando avanti in Europa contro i totalitarismi. Nel ’34 era stato fondato a Pra-ga, in occasione del congresso filosofico, il Cercle philosophique pour les

re-cherches de l’entendement humain, il quale si affiancava al già noto Circolo

35 Gespräche mit Masaryk. Denker und Staatsmann [Colloqui con Masaryk. Pensatore e uomo

di Stato], Querido Verlag, Amsterdam, 1935, pp. 8-9. Egli fu eletto per quattro volte alla presi-denza della Repubblica e restò in carica dal 1918 al 1935.

36 Il discorso venne pubblicato su Nuova Antologia nel mese successivo, pp. 257-263, e in

Quaderni della ‘Critica’ diretti da B. Croce, 2, 1945, pp. 81-87; ristampato, con testo ceco a

fron-te e introduzione dello scrivenfron-te, in Nuova Rivista Italiana di Praga, 6, 2000-2001, pp. 70-80.

37 HEIMANN M., Czechoslovakia. The State that Failed, Yale University Press, New Haven-London, 2009.

38 Su questa linea interpretativa concordano KERSHAW I., All’inferno e ritorno. Europa

1914-1949, Laterza, Bari-Roma, 2016, pp. 212-213; JUDT T.,SNYDER T., Novecento. Il secolo degli

linguistico di Roman Jakobson, dove lavoravano assieme studiosi cechi, russi, tedeschi e polacchi. L’anno successivo Husserl vi tenne le sue celebri conferen-ze sulla “Crisi dell’umanità europea e la filosofia”.

Alla fine degli anni ’30 non solo la Cecoslovacchia, ma anche gli altri Stati sorti dopo il tramonto degli imperi, Polonia e Jugoslavia, scomparvero e questo avvenne non tanto per la loro interna fragilità, l’essere cioè un insieme di nazio-nalità e fedi diverse, quindi soggetti “di per sé stessi” a implosione, quanto piut-tosto per atti di sopraffazione e aggressione che si verificarono tra il 1938 e il 1941.

È una tesi semplicistica quella che vuole queste formazioni inesorabilmen-te destinainesorabilmen-te al fallimento 39 e quale prodotto del tanto “famigerato Trattato di Versaglia”, per dirla con l’espressione cara alla pubblicistica fascista. Tra l’altro l’Italia, che era stata tra i vincitori della guerra e aveva precorso con Mazzini e la corrente neomazziniana di Salvemini e Bissolati le idee wilso-niane del riscatto delle nazionalità, riuscì nella “brillante” impresa di capovol-gere a suo sfavore il risultato conseguito e passò nelle file dei Paesi sconfitti e revisionisti 40.

Di fatto la nascita dei nuovi Stati dell’Europa centrale, compresi quelli del Baltico, era la risultante di un ben preciso processo storico, un’ineludibile con-seguenza degli eventi. I popoli emergenti in questo momento storico erano gli slavi della Monarchia e i polacchi. Erano essi che con la guerra e dalla guerra ottenevano il riconoscimento della loro individualità nazionale, erano essi che completavano il ciclo del loro risorgimento, non tanto il popolo tedesco che aveva raggiunto la sua unità e indipendenza nel secolo precedente ed era caduto vittima della svolta imperialista che ne aveva caratterizzato successivamente il suo sviluppo politico.

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