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Il tornante neoliberista ed il “modello sociale europeo”

COESIONE SOCIALE E SCELTE GEOPOLITICHE

5. Il tornante neoliberista ed il “modello sociale europeo”

Con la crisi del 1973-79 entrano in crisi anche i paradigmi del welfare

capi-talism, fondati sulla crescita economica e della sua (moderata) redistribuzione

come strumento di coesione sociale. L’epicentro della svolta è stato il mondo anglosassone, già culla della rivoluzione universalista. L’effettivo “consenso” in merito alle politiche di welfare in Gran Bretagna tra 1945 e 1973 è stato

ridi-42 MOURAVIEVA N., La sécurité sociale en URSS. Rapport du Ministre de la sécurité sociale

de la RSFSR, Editions Langues Etrangères, Mosca, 1956, p. 22.

43 COOK L., The Soviet Social Contract and Why It Failed. Welfare Policy and Workers’

Poli-tics from Brezhnev to Yeltsin, Harvard University Press, Cambridge, 1993, p. 20.

44 INGLOT T., Western Welfare States Watched from the East During the Cold War:

Condem-nation, Competition, and Creative Learning, in Journal of International and Comparative Social Policy, 3, 2013, pp. 241-257.

mensionato dalla storiografia 45. Eppure, che proprio da Oltremanica sia partita la controffensiva ideologica degli anni ’80 ha avuto un valore non solo simboli-co. Il riemergere del neoliberismo è di solito fatto coincidere con l’avvento al potere di Margareth Thatcher in Gran Bretagna e di Ronald Reagan negli Stati Uniti. Fu tuttavia il leader e premier laburista James Callaghan che, durante la Conferenza programmatica di Blackpool del 1976, ammise per la prima volta l’impossibilità di mantenere la piena occupazione come obiettivo politico pri-mario a fronte di un’inflazione ormai stabilmente a due cifre 46.

Se i postulati ideologici alla base del welfare State stavano cambiando, l’im-patto del neoliberismo sui sistemi del welfare è stato meno incisivo di quanto spesso ritenuto. La riduzione della spesa sociale si è limitata a singoli settori, come le pensioni 47. Il welfare State ha creato un vasto blocco di interessi, dalle amministrazioni pubbliche ai beneficiari delle prestazioni sociali che politiche di tagli massicci avrebbero alienato. Lo stesso declino relativo del salario indu-striale ha avuto conseguenze solo parziali sull’estensione della rete di protezio-ne sociale protezio-nei paesi occidentali. Il welfare State ha ridisegnato il terreno della politica, e la natura conservatrice delle istituzioni democratiche ha creato inte-ressi trasversali a tutti i livelli della società che hanno dimostrato una certa resi-lienza alle politiche di austerità 48.

A fronte di un’aumentata pressione sui conti pubblici e di un incremento dei contributi previdenziali, tra la seconda metà degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, Italia e Francia hanno ampliato la platea dei beneficiari delle prestazioni sociali e hanno trasformato la natura del loro welfare State. In Italia, il Servizio Sanitario Nazionale, istituito nel 1978, ha superato la tradizione mutualistica dell’assistenza sanitaria italiana creando un autentico servizio universalistico. Lo stesso anno in Francia una riforma della protezione sociale attuava i principi universalistici solo parzialmente adottati nel 1945. Furono generalizzati gli schemi previdenziali obbligatori a categorie prima non coperte, includendo così nella sicurezza sociale di base circa il 95% della popolazione, secondo un prin-cipio di solidarietà nazionale invece che di affiliazione professionale 49. Nei

pae-45 HARRIET J.,KANDIAH M.,The Myth of Consensus. New Views on British History, 1945-64,

Palgrave Macmillan, London, 1996.

46 Citato in SASSOON D., Cento anni di socialismo, Editori Riuniti, Roma, 1997, pp. 577-578.

47 PIERSON P., Dismantling the Welfare State? Reagan, Thatcher and the Politics of

Retrench-ment, Cambridge University Press, Cambridge, 1994; TORP C., Gerechtigkeit im Wohlfahrtsstaat.

Alter und Alterssicherung in Deutschland und Großbritannien von 1945 bis heute, Vandenhoeck

& Ruprecht, Göttingen, 2015, pp. 197-242.

48 PIERSON P., Coping with Permanent Austerity: Welfare State Restructuring in Affluent

De-mocracies, in ID. (ed. by), The New Politics of the Welfare State, Oxford University Press, Ox-ford, 2001, pp. 410-456.

49 PALIER B., Gouverner la sécurité sociale. Les réformes du système français de protection

si scandinavi le crisi degli anni ’70 hanno solo parzialmente modificato le basi politiche del welfare socialdemocratico. In Svezia, solo negli anni ’90 l’aggra-varsi della crisi economica ha posto seriamente sotto pressione la spesa socia-le 50. A partire dagli anni ’80 il discorso pubblico ha spostato l’accento sul ruolo del terzo settore e sulle misure di workfare.

In una più lunga prospettiva storica, è a partire dagli anni ’90 che gli effetti della svolta neoliberista si sono fatti sentire nella percezione del ruolo del

welfa-re nelle società europee e nelle politiche per adattarlo alle condizioni

economi-che e geopolitieconomi-che del mondo post-1989. Mancano studi sistematici sull’impatto della fine della Guerra fredda sul welfare europeo; basti qui rilevare che i think

tank neoliberisti salutarono il crollo dell’URSS come l’inizio dello

smantella-mento degli stati sociali con cui i paesi dell’Europa occidentale avevano rispo-sto alla minaccia comunista 51. Il collasso dell’avversario diretto del capitalismo occidentale non ha però fatto perdere al welfare State il suo ruolo nel definire lo spazio europeo a livello nazionale e comunitario. Anche dopo il 1989 le politi-che di welfare si sono intersecate, non solo a livello retorico, con l’adesione dell’Unione europea e dei governi nazionali ad una precisa visione di società e di politiche pubbliche che oggi guida le scelte operate dai Paesi europei in mate-ria di welfare, dentro e fuori l’area monetamate-ria comune.

Lo stato sociale si è progressivamente intersecato con il processo di integra-zione europea. Il welfare è divenuto nell’ultimo decennio un settore in cui si possono registrare gli effetti delle politiche comunitarie piuttosto che un fattore di convergenza continentale.

I primi accordi di collaborazione sovranazionale intra-europea erano di ca-rattere economico e commerciale, pur avendo la finalità politica di servire in maniera più efficace gli interessi e la stabilità interna degli Stati nazionali attra-verso una maggiore integrazione economica in Europa occidentale 52. La crea-zione del mercato comune doveva favorire a livello nazionale l’aumento della produttività, la piena occupazione e l’elevazione degli standard di vita dei lavo-ratori. La sicurezza sociale non era al centro dei primi trattati istitutivi; il Tratta-to di Parigi sulla CECA menzionava come gli Stati firmatari avrebbero “studia-to tutte le misure che siano necessarie affinché le disposizioni relative alla

sicu-50 Sull’evoluzione del welfare nordico nel XX secolo, si veda CHRISTIANSEN N.F.,PETERSEN

K. (eds.), The Nordic Welfare States, in Scandinavian Journal of History, 26, Issue number, 2001, pp. 153-267.

51 PALMER T.G., The Fall of the Berlin Wall, Cato Institute, 9 November 1999, https://www. cato.org/publications/commentary/fall-berlin-wall (27 maggio 2019).

52 MILWARD A., The Reconstruction of Western Europe 1945-51, Methuen & Co., London, 1984; ID., The Committee of European Economic Cooperation (CEEC) and the Advent of the

Customs Union, in LIPGENS W. (ed. by), A History of European Integration, vol.1. 1945-1947, Clarendon Press, Oxford, 1982, pp. 507-569.

rezza sociale non siano di ostacolo ai movimenti della mano d’opera” 53. Nel 1953 si arrivò ad un accordo provvisorio sulla sicurezza sociale tra i paesi del Consiglio d’Europa 54. Si stavano delineando le linee guida per una politica di sicurezza sociale su scala (piccolo)europea nell’accesso alle prestazioni previ-denziali e pensionistiche. Tale sforzo di coordinamento non ha riguardato i mo-delli né le spese per il welfare dei singoli Paesi, rimasti legati a policy legacies nazionali 55. A metà anni ’60, l’Alta Autorità della CECA non faceva riferimen-to a misure di sicurezza sociale sovranazionale, ma a politiche economiche che avevano un impatto sull’occupazione 56.

Alcuni principi di politica sociale erano comuni ai paesi industrializzati co-me dato strutturale, piuttosto che per una volontà politica di convergenza tra Paesi europei, ed è corretto rilevare che “la politica sociale è rimasta a lungo ai margini del progetto europeo che è stato anzitutto e soprattutto un progetto eco-nomico. Si è dovuto aspettare gli anni ’80 per vedere muovere i primi passi in ambito sociale” 57. È negli anni ’90 che si comincia a parlare del “modello so-ciale europeo”, definito come una condivisione di alcuni paradigmi di politica sociale che sottintendono un patto democratico tra Stato e società, tanto con i singoli cittadini quanto con i corpi di rappresentanza intermedi.

La narrazione del “modello sociale europeo” è stata utilizzata in opposizione al neoliberismo anglosassone per legittimare una via europea all’economia di mercato 58. Anche studiosi critici verso le politiche sociali europee post-Maastricht hanno legittimato l’esistenza di un modello sociale continentale. Secondo Lu-ciano Gallino, esso “designa un’invenzione politica senza precedenti, forse la più importante del XX secolo. Essa significa che la società intera si assume la responsabilità di produrre sicurezza economica e sociale per ciascun singolo in-dividuo, quale che sia la sua posizione sociale ed i mezzi che possiede” 59. Sotto tale retorica, si è affermata una profonda revisione dell’indirizzo di politica so-ciale dei paesi europei e dell’UE, tanto da poter considerare il modello europeo come una variante del neoliberismo, piuttosto che come un’alternativa ad esso.

53 Trattato istitutivo della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, Parigi, 1951, p. 79. 54 European Interim Agreement on Social Security Schemes relating to Old Age, Invalidity and Survivors, HMSO, London,1954, Cmd. 9099.

55 DELPEREE A., Politique sociale et intégration européenne, Pichon & Durand-Azias, Paris, 1956, pp. 160-199.

56 La politique sociale de la CECA, Bureau d’Information des Communautés Européennes,

Paris, 1965.

57 L’HORTY Y., L’Europe sociale n’existe pas, in Idées économiques et sociales, 4, 2008, p. 18.

58 ALBER J., The European Social Model and the United States, in European Union Politics, 7, 2006, pp. 393-419.

59 GALLINO L., Il modello sociale europeo e l’unità della UE, in Quaderni di Sociologia, 59, 2012, pp. 15-26, p. 15.

Dagli anni ’90 si è pensato ad un’identità sociale sovranazionale in Europa. Di fronte al mondo globalizzato e post-fordista, l’UE ha operato un cambio di paradigma nelle politiche sociali a livello continentale 60. Dalla centralità del cit-tadino/lavoratore, ci si è orientati verso politiche contro disoccupazione e pover-tà. Sono state proposte linee-guida di politica sociale per far fronte all’impatto dell’unione monetaria sui singoli Paesi e sono state varate riforme a livello na-zionale improntate al workfare 61. Vi è uno stretto legame tra la dimensione na-zionale e quella geopolitica nel promuovere paradigmi e politiche di welfare su scala continentale.

Dal Trattato di Maastricht del 1992, l’élite tecnica e politica che ha plasmato l’architettura dell’UE ha supportato una visione del welfare State che non diffe-risce dai modelli anglo-americani. Secondo Tommaso Padoa-Schioppa, le poli-tiche sociali dei Paesi europei dovevano convergere verso

un programma completo di riforme strutturali deve oggi spaziare nei campi delle pensioni, della sanità, del mercato del lavoro, della scuola e in altri ancora. Ma dev’essere guidato da un unico principio: attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del XX secolo hanno progressivamente allontanato l’individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere 62.

Il dibattito odierno si concentra sulla sostenibilità finanziaria del welfare ed è lo specchio della sua perdita di centralità come strumento di coesione sociale. La recessione del 2008 conferma come vi sia una divaricazione tra la resilienza della spesa sociale e la retorica che ne accompagna i tentativi di ristrutturazio-ne 63. Ciò che pare convergere in Europa è l’incapacità degli attori socio-politici di ripensare le politiche di welfare aldilà del paradigma dell’austerità. Su questa impasse politica si sono innestati, ben prima della crisi del 2011, i partiti definiti “populisti”, molti dei quali formatisi negli anni ’80 con una piattaforma antifi-scale interna al paradigma neoliberista. In numerosi paesi tali partiti oggi porta-no avanti una critica anti-austerity ed un discorso politico che distingue tra le

60 European Communities, Economic and Social Consultative Assembly, Economic and So-cial Committee, Growth, Competitiveness and Employment, Brussels, 1993, http://aei.pitt.edu/ 41789/1/A5931.pdf (1° luglio 2020).

61 BRAUNN T., La flexicurity danese, in BORIONI P. (a cura di), Welfare scandinavo. Storia e

innovazioni, Carocci, Roma, 2003; PALIER B., Du welfare au workfare: les transformations des

politiques de lutte contre la pauvreté, in La Découverte, 2, 2008, pp. 162-168.

62 PADOA-SCHIOPPA T., Parigi e Berlino. Ritorno alla realtà, in Corriere della Sera, 26 agosto 2003, p. 1.

63 TAYLOR-GOOBY P.,LERUTH B.,CHUNG H., After Austerity: Welfare State Transformation in

Europe after the Great Recession, Oxford University Press, Oxford, 2017; VAN KERSBERGEN K., VIS B.,HEMERIJCK A., The Great Recession and Welfare State Reform: Is Retrenchment Really

categorie “meritevoli” o meno degli aiuti sociali 64. Specie nell’Europa meridio-nale, a questo nazionalismo del welfare si associa una critica delle basi dell’ar-chitettura dell’euro che mina alle fondamenta, non più le basi dei patti sociali nazionali, bensì la costruzione stessa dell’UE.

6. Conclusioni

Lo scienziato politico Kees Van Kersbergen ha sottolineato come il welfare

State venga associato all’Europa nelle sue origini, nelle sue caratteristiche e

nel-la sua stessa identità 65. Le assicurazioni sociali obbligatorie e contributive sono effettivamente un prodotto della congiuntura politica e della struttura economica europea della fine del XIX secolo.La ricerca di maggiore coesione sociale non è però prerogativa dei sistemi politici europei. Pochi anni prima della legislazione sociale bismarckiana, negli Stati Uniti nascevano i primi programmi pubblici di pensioni ai veterani della Guerra civile, alle lavoratrici e alle madri 66. Lo storico Gerhard Ritter ha notato come lo stato sociale nella sua evoluzione abbia rap-presentato “un contributo fondamentale alla produttività economica e alla stabi-lità politica, perché esso offre la pace sociale, fonda l’integrazione e la legitti-mazione di una società” 67. Per questi motivi, sistemi di protezione sociale si so-no diffusi già dal periodo interbellico al di fuori del contesto europeo, e soso-no oggi presenti in qualche forma ovunque nel mondo, aldilà dei diversi modelli politico-sociali.

Nel corso di quest’ultimo secolo, tuttavia, l’espansione della politica sociale ha cambiato l’auto-rappresentazione delle società europee al loro interno e verso l’esterno, con un impatto importante sui campi di appartenenza geopolitici. La prospettiva di lunga durata ne evidenzia il mutamento nelle singole nazioni e nello spazio europeo. Tale dinamica si è riproposta sotto forma di condivisione di alcuni principi generali tra paesi nello stesso sistema di alleanze, competizio-ne sistemica tra modelli politici, transfers di esperienze, programmi, riforme a livello sovranazionale. I tentativi susseguitisi per una maggiore interconnessio-ne tra paesi europei si è di solito basata sulla convergenza e sull’alliinterconnessio-neamento

64 ENNSER-JEDENASTIK L., Welfare Chauvinism in Populist Radical Right Platforms: The Role

of Redistributive Justice Principles, in Social Policy & Administration, 52, 2018, pp. 293-314. 65 VAN KERSBERGEN K.,The Welfare State in Europe, in AA.VV., The Search for Europe: Contrasting Approaches, BBVA Openmind, 2014, https://www.bbvaopenmind.com/en/articles/

the-welfare-state-in-europe/ (27 maggio 2019).

66 SKOCPOL T., Protecting Soldiers and Mothers. The Political Origins of Social Policy in the

United States, Harvard University Press, Cambridge, 1992. 67 RITTER G., Der Sozialstaat, cit., p. 209.

dei patti sociali a livello nazionale. Gli anni 1951-1979 in Europa occidentale sono stati una parentesi eccezionale, in cui alla (lunga) congiuntura economica e geopolitica mondiale si sono accompagnate precise scelte politiche degli Stati per garantire inclusione e pace sociale attraverso crescita, consumi, piena occu-pazione, concertazione neocorporativa e welfare State 68.

Tale modello è entrato in crisi negli anni in cui il processo di integrazione europea ha accelerato verso l’unione monetaria. Il welfare State in Europa non è ad oggi messo in discussione, sebbene le ristrutturazioni degli ultimi trent’anni ne abbiano cambiato natura e finalità. Se però durante l’“epoca dell’oro” la cre-scente integrazione europea aveva rafforzato il patto sociale all’interno dei sin-goli Paesi, tale interconnessione tra le istanze nazionali e le politiche europee sembra essersi incrinata. Anche su questa tensione tra la tenuta della coesione sociale a livello nazionale ed i paradigmi dominanti a livello europeo si stanno giocando le trasformazioni in atto sul continente.

68 MILWARD A., The Life and Death of the Great European Boom, in Journal of European

In-tegration History, 1, 2014, pp. 53-74; MAIER C.S., The Politics of Productivity: Foundations of

American International Economic Policy after World War II, e ID., The Two Postwar Eras and

the Conditions for Stability in Twentieth Century Western Europe, in ID., In Search of Stability, Cambridge University Press, Cambridge, 1987, pp. 121-184.

IL PROGETTO SOVRANAZIONALE DELL’UNIONE

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