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2. La Progettazione e la valutazione nel sociale: aspetti teorico metodologici e dimensioni di processo.

2.5. La valutazione nel sociale: un bisogno endogeno o una necessità?

2.5.1. Le definizioni di valutazione.

Il tema della valutazione sociale, come sottolinea Bezzi55, si trova al crocevia sia di diverse

discipline (sociologia, economia, scienze politiche, psicologia sociale, ecc), ognuna con teorizzazioni e metodologie specifiche, sia di diversi saperi professionali afferenti a più campi d’intervento, quali ad esempio le politiche sociali, la sanità e la politica.

Nella letteratura di settore sono presenti numerose definizioni del termine “valutazione”, ognuna delle quali offre spunti di riflessione interessanti, in quanto mettono in luce diversi aspetti di un concetto complesso.

Dal contributo di Bezzi emerge una definizione che sembra comprendere i capisaldi, ormai consolidati nel campo valutativo. Esso infatti sostiene che quando si parla di valutazione nell’ambito sociale «si intende l’insieme delle attività collegate, utili per esprimere un giudizio per un fine pubblico; giudizio argomentato tramite processi di ricerca che ne costituiscono l’elemento essenziale ed imprescindibile di affidabilità delle procedure e fedeltà delle informazioni, utilizzate per esprimere quel giudizio»56.

Analizzando questa concezione emerge, per prima cosa, che valutare corrisponde all’esprimere un giudizio che però non equivale all’azione di asserire, inteso come atto soggettivo, ma essendo

55 C. Bezzi, Definizione di valutazione, videolezione n. 1, in www.valutazione.it – accesso gennaio 2012. 56

rivolto ad un fine pubblico, quindi ad un interesse collettivo, come si evince anche dalla definizione di Stame, deve essere fondato su attività di ricerca e negoziazione tra diverse parti.

Un punto fondamentale, sottolineato da altri autori57

, è quello relativo alla necessità di argomentare il giudizio attraverso un percorso di ricerca valutativa, per poter disporre di evidenze empiriche, dati e informazioni utili per la decisione.

Bezzi inoltre sottolinea l’integrazione della fase valutativa con le fasi di programmazione, progettazione e intervento, con lo scopo di supportare le scelte decisionali attraverso l’analisi e la valorizzazione degli esiti, anche inattesi, imprevisti o non voluti.

Le funzioni tradizionalmente riconosciute all’attività valutativa riguardano la

rendicontazione (accountability) e l’ apprendimento (learning). La prima finalità, come emerge dall’analisi di Dente e Mesini58, mira a render conto ai cittadini e ai vari stakeholders, delle scelte

compiute dai decisori e a controllare lo stato di attuazione dei progetti o programmi. La funzione di apprendimento (learning) risulta cruciale, quando ci si riferisce alla valutazione nel campo delle politiche e dei servizi sociali, in quanto si riferisce alla possibilità di costruire significati attorno alle esperienze al fine di riprogettare in senso migliorativo gli interventi messi in atto.

In questa prospettiva, De Ambrogio59 pone l’accento sul fatto che valutare nel sociale significa

assumere un’ottica progettuale e strategica, di cui si è già accennato a proposito del processo di progettazione60, che permette di prestare attenzione ai risultati di ogni singolo intervento,

attribuendo valore anche a quelli imprevisti, in quanto permetteranno di sviluppare conoscenza, stimoleranno gli operatori di una politica o di un servizio, ad individuare nuove piste di lavoro, senza perdere la loro mission61perché oppressi dal dover fronteggiare le continue emergenze.

La varietà di pratiche valutative inoltre, sostiene Ranci Ortigosa62, è influenzata dalle

caratteristiche dell’oggetto, dal campo di valutazione e dagli obiettivi del valutatore.

Nel sociale, infatti, sono essenzialmente tre i livelli sui quali ci può essere un interesse valutativo: i casi, i servizi e le politiche63.

La valutazione degli interventi sui casi sociali permette di sviluppare conoscenze sull’efficacia ed efficienza dei programmi proposti all’utente, in relazione ai bisogni evidenziati, al fine di individuare le risposte migliori e produrre un reale cambiamento della situazione iniziale.

57 Tra cui anche le definizioni degli autori americani Suchman, Rossi e Freeman, riportate da L. Dallago, M. Santinello,

A. Vieno, in Valutare gli interventi psicosociale, Carocci editore, Roma, 2004, pag. 11.

58 E. Ranci Ortigosa, Valutazione delle politiche e degli interventi sociali, in “Prospettive Sociali e Sanitarie”, n.- 15-

16/2009, pp. 1-2.

59 U. De Ambrogio, (2003), op. cit., pp. 27-31. 60

Cfr. paragrafo 2.1.1.

61 Con il termine mission si fa riferimento al funzionamento, le attività, i valori, la cultura, ovvero il mandato

istituzionale di un servizio o di una politica, quello che F. O. Manoukian, in Cose mai viste, pp. 35-36, definisce “un binario fisso e ineludibile per il lavoro”.

62

Ibidem

Questo livello di valutazione sarà utile anche al dirigente o responsabile del servizio per comprendere se le risposte fornite ad un determinato gruppo di destinatari (famiglie, anziani, disabili, ecc) risulta effettivamente adeguato a risolvere i problemi di quel target di popolazione. Infine, anche gli amministratori pubblici traggono vantaggio da questi livelli di valutazione per decidere se le politiche attuate nel territorio corrispondono ai bisogni sociali del momento o se devono essere riorientate, affinché venga dato ascolto alla comunità territoriale impiegando al meglio le risorse disponibili.

E’ importante rilevare come la valutazione, in ognuno di questi livelli, assume una dimensione definita “frattale”64, infatti, sia che si tratti di valutare un caso, un servizio o, a livello più macro,

una politica, i soggetti coinvolti adotteranno i medesimi principi metodologici, il disegno valutativo seguirà le stesse tappe e la trasmissione delle informazioni e degli apprendimenti conseguiti alimenteranno vicendevolmente gli altri livelli.

Risulta interessante notare, attraverso i contributi di questi autori, come l’integrazione tra i livelli di valutazione favorisca, a livello di governance, lo sviluppo di processi di apprendimento (learning) basati su evidenze empiriche, che possono aprire nuovi spazi di negoziazione e dibattito anche tra operatori dei servizi, dirigenti e policy maker, permettendo ai primi di acquisire maggiore consapevolezza rispetto ai risultati raggiunti nel loro lavoro e conseguentemente una più solida legittimazione del proprio operato, oltre che una certa capacità contrattuale innanzi agli amministratori, relativamente alle scelte di politica sociale, in un ottica di sviluppo e di miglioramento.

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