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Il riferimento è il Piano di Zona che e le indicazioni regionali vanno nella direzione di una

LE LINEE GUIDA PER LA GESTIONE DEL SERVIZIO TUTELA MINORI INTERESSATI DA PROVVEDIMENTI DELL’AUTORITA’ GIUDIZIARIA

R: Il riferimento è il Piano di Zona che e le indicazioni regionali vanno nella direzione di una

integrazione socio sanitaria importante, l’impulso veniva anche da questo… non che prima non si facessero i progetti individualizzati d’intervento, nel senso che un’ equipe ha sempre lavorato pensando al caso però siamo partiti dall’idea, e questa è la traduzione di ciò che vuol dire integrarsi, di lavorare insieme, dall’idea che fosse più tutelante per l’utente e che aiutasse a far chiarezza agli operatori sull’obiettivo da raggiungere e che in qualche modo fosse più tutelante per gli operatori stessi e quindi l’abbiamo visto come strumento che poteva salvaguardare gli operatori dallo scivolare in una non condivisione di obiettivi o aver pensato che l’altro avrebbe fatto delle cose o aver pensato che ci fosse un obiettivo condiviso quindi diciamo un po’ a cascata il nostro obiettivo di lavoro è stato questo…

Per quanto riguarda i fattori ambientali, a Brescia in particolare, ma su tutto il territorio dell’Asl in generale, abbiamo assistito in questi anni un aumento di casi demandati dal tribunale dei minori quindi il carico di lavoro dal 2003 a oggi è quasi raddoppiato sono aumentate le segnalazioni al tribunale di conseguenza sono aumentati i provvedimenti e che a nostro avviso ma credo che siano

facilmente condivisibili una situazione di forte disagio sociale che è sotto gli occhi di tutti e che tutti stiamo vivendo una parte abbastanza consistente, per esempio l’ incremento di casi legati alle separazioni, separazioni conflittuali quindi c’è stato un grosso aumento di carico di lavoro per ciascun operatore che in taluni momenti ha rischiato di provocare o può provocare una situazione burnout e quindi anche lì il progetto individualizzato d’intervento ha la funzione di esplicitare, c’è una parte sulla quale abbiamo lavorato parecchio era quella di qual è l’obiettivo da raggiungere o qual è l’obiettivo che riteniamo raggiungibile e con quali risorse concretamente disponibili questo né stato un aspetto sul quale abbiamo lavorato molto proprio alla luce di questa inversione di tendenza, aumentano i casi e diminuisce il personale o diminuzione di risorse.

Quando abbiamo iniziato il lavoro con il dott. De Ambrogio e poi anche l’anno scorso, c’è stato un momento di forte criticità perché abbiamo avuto circa duecento casi nuovi completamente da mettere in pista, da progettare, da valutare, per cui con un grosso carico importante e con il rischio di dover penalizzare la parte del trattamento e della presa in carico vera e propria a favore della continua valutazione diagnostica iniziale dei casi nuovi sentivamo questa sproporzione con richieste sempre più a breve termine da parte del tribunale quindi con la fatica di dover rispondere entro dei tempi molto ristretti con il rischio di venir meno ad alcuni principi fondamentali del proprio lavoro perché la tempistica non ti consente di dare la giusta attenzione a tutte le situazioni quindi diciamo che è stato uno degli aspetti che ha spinto nella direzione di trovare uno strumento che facesse da guida per lavorare sui casi e che facesse tenere il timone nella situazione di emergenza o anche nella situazione di criticità anche dicendosi tra figure professionali fin qui posso arrivare o troviamo un’altra strada o troviamo altre risorse…

4. Questo strumento può aiutare anche ad alleviare l’operatore da dei vissuti frustranti? R: Assolutamente, infatti gli incontri con il dott. De Ambrogio sono stati caratterizzati un po’ da

questa immersione di vissuti, di frustrazione e di stress di eccessivo carico… C’era bisogno di ricominciare a costruire un linguaggio comune sulla tutela minori.

Non è stato facile…tra Asl e Comuni c’è sempre stata un po’ di conflittualità rispetto soprattutto alla tutela minori, agli impegni economici che questa casistica comporta perché quando questa era gestita in toto dall’asl i comuni lamentavano di essere gli enti pagatori dei servizi di non essere sufficientemente coinvolti nei progetti per cui quando c’è stato questo passaggio c’è stato un po’ la rivendicazione del Comune che ha detto adesso facciamo noi ci pensiamo noi, la facciamo come diciamo noi, non tutti hanno aderito ad alcune proposte, ci sono state alcune prese di posizioni per situazioni pregresse, questo passaggio è stato quindi abbastanza complicato. La formazione quindi era da tempo che non veniva fatta e una delle spinte a chiedere questo corso di formazione al dott. De Ambrogio è stata proprio dettata da questa esigenza, dal confronto anche con la dr.ssa Bonizzoni ci siamo detti che gli assistenti sociali e gli psicologi non si incontravano tutti insieme da molto tempo. Sentivamo che alcune cose rischiavano di essere toccate a livello di singola équipe ma che non era quello il livello su cui alcune cose potevano essere affrontate, quello diventava l’anello finale, dove rischiavano di spendersi alcune conflittualità ma che erano legate ad altre cose, quindi era utile e opportuno rilanciare un po’ l’attività anche attraverso un percorso di formazione condivisa, che è stata molto interessante ed è stata un po’ il contenitore dove andare a riversare anche i malesseri, le fatiche, le rabbie, i rancori verso il proprio ente o verso l’altra istituzione.

5. Su quale idea di integrazione sociosanitaria si regge il nuovo Protocollo d’Intesa? R: La premessa che noi abbiamo condiviso anche nella stesura del protocollo è che nella tutela

minori, come in altri settori, ma qui particolarmente, la parte sociale e la parte psicologica devono viaggiare in maniera integrata proprio perché sono entrambe fondamentali e non solo, non bastano più soltanto a se stesse perché sempre più c’è la necessità di integrarsi anche con altri soggetti del privato sociale, del sanitario, ecc, perché la complessità delle situazioni richiede sempre più di

essere governata attraverso una pluralità di interlocutori e questo aspetto è stato alla base della costruzione dello strumento. Ci sono territori in cui la tutela minori è del comune e agli psicologi dell’ASL è richiesto solo di fare diagnosi, cioè delle prestazioni specialistiche, noi invece partiamo da un presupposto diverso, peraltro condiviso anche a livello nazionale e internazionale, ed è che sono due parti (quella sociale e psicologica) che non possono essere slegate tra di loro. Lo psicologo deve “sporcarsi le mani” con questioni che hanno a che fare più con un piano di realtà e viceversa ci sono delle “contaminazioni” di professionalità. E’ quindi una co-costruzione di un intervento. Vedo che quando si fa fatica a tenere fede a questo principio il caso lo si perde un po’. Risulta un po’ frammentato, l’assistente sociale e lo psicologo vanno un po’ per conto loro.

6. Quali sono le difficoltà che i servizi e gli operatori devono affrontare affinché si realizzi una reale integrazione nella progettazione sui casi di tutela minori?

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