Tab 3.1 “Il problema e le risorse disponibili”
3.5.4. La definizione del progetto individualizzato d’intervento.
La quarta area della Scheda per la Progettazione Individualizzata dei Casi prevede, a seguito dell’arrivo del provvedimento da parte dell’Autorità Giudiziaria, la definizione di un progetto individualizzato d’intervento, co-costruito dall’équipe integrata secondo le caratteristiche di congruenza e logicità interna, previste dalla teoria sulla progettazione.
In questa tappa del progetto, l’équipe ha già ricevuto un preciso mandato dal Tribunale che potrebbe essere in linea o meno con quanto suggerito dai professionisti del Servizio Tutela Minori, nella fase precedente, ovvero al termine dell’indagine psicosociale.
Il mandato rappresenta la decisione del Giudice rispetto alle misure e agli interventi che i servizi dovranno mettere in atto a tutela del minore e alle eventuali proposte di aiuto per la famiglia.
Gli operatori hanno deciso di riportare, in forma scritta, tale decisione all’interno dello strumento elaborato, in uno spazio dedicato, al quale seguirà l’indicazione della strategia possibile che l’équipe perseguirà, per la presa in carico di quel determinato caso, in base al contenuto del dispositivo del Tribunale.
Questo passaggio a volte può comportare una ridefinizione, da parte degli operatori del Comune e dell’ASL, del pensiero progettuale elaborato per il minore e la sua famiglia, ad esempio, quando la decisone del Giudice piuttosto di andare verso l’inserimento del minore in comunità d’accoglienza, suggerita dagli operatori, prevede un inserimento in comunità di madre e bambino. In questo caso quindi si tratterà di riprogettare l’intervento, in conformità a quanto disposto dalla Magistratura. E’ chiaro quindi come l’arrivo del decreto rappresenti uno snodo fondamentale per l’operatività dei servizi, i quali, a partire dall’analisi dei bisogni effettuata sul caso, dovranno assumere le prescrizioni del Giudice, restituirle alla famiglia, affrontando quindi probabili meccanismi di negazione e resistenza e, contemporaneamente, dovranno coinvolgerla il più possibile nella progettazione che la riguarda, incoraggiando un desiderio di cambiamento, condizione
imprescindibile per stabilire una minima alleanza, inserita anche come raccomandazione per le équipe, all’interno delle Linee Guida.
In riferimento a questo passaggio così complesso, emergono le seguenti riflessioni: la prima riguarda il ruolo degli operatori che, in una fase precedente, hanno individuato il cambiamento “possibile” per quella famiglia e ora, a fronte di un decreto, dovranno lavorare con i genitori per suscitare in loro il desiderio di raggiungere quel cambiamento ritenuto, dai professionisti, “possibile”. A questo proposito, particolarmente significativo sembra essere il richiamo a quello che Cirillo ha definito “spirito terapeutico” o “atteggiamento non neutrale” che gli operatori dovrebbero assumere in questa fase e che si sostanzia nel desiderio stesso del professionista a voler trovare, anche nei contesti più difficili, qualche risorsa per stimolare la volontà di un cambiamento. Egli infatti afferma: “E poiché non ci può essere cambiamento senza un desiderio di cambiare, sarà il nostro, di desiderio, finché quello dell’utente non c’è, a sostituirlo, per un tratto di strada”43.
La seconda considerazione, invece, intende riportare l’attenzione sull’analisi compiuta al paragrafo 1.2, circa il rapporto tra Magistratura e Servizi, a fronte dell’evoluzione normativa avvenuta negli ultimi anni (riforma del “giusto processo”) e confrontarla con le criticità operative riscontrate all’interno dell’indagine effettuata nel territorio bresciano.
Il rischio d’isolamento dei giudici in una “torre d’avorio”, dopo aver emanato il decreto e incaricato i servizi di intervenire attraverso un mandato, evidenziato al paragrafo 1.2, sembra, in effetti, essere presente a livello pratico anche nei servizi bresciani. I partecipanti al percorso formativo, infatti, hanno scelto di inserire nelle Linee Guida uno specifico punto d’attenzione per i Responsabili dei due enti, che riguarda l’opportunità di prevedere e promuovere delle occasioni di confronto e di scambio con l’Autorità Giudiziaria, non solo in fase d’indagine, ma anche durante l’intervento, affinché sia mantenuto un rapporto in itinere tra i due sistemi, Servizi e Magistratura, evitando il rischio di perdere il significato complessivo del progetto per il minore.
La descrizione del progetto individualizzato d’intervento, in questa parte della Scheda, avviene attraverso la predisposizione di una griglia composta da 5 colonne (Tabella 3.2) in cui vengono declinati in modo schematico i diversi passaggi logici, tipici della fase progettuale.
Nella prima colonna si individueranno gli obiettivi del progetto, ovvero l’esplicitazione di che cosa si desidera cambiare per quella situazione e che, come si afferma a livello teorico44, possono
riguardare caratteristiche dei singoli individui (atteggiamenti, comportamenti, stati affettivi, ecc), le relazioni tra due o più persone del sistema familiare o fra due o più sistemi (per esempio le relazioni tra genitori e scuola, tra il minore e il contesto extrascolastico, ecc).
43
S. Cirillo, (2005), op. cit., pag. 89.
Per raggiungere quel determinato obiettivo si dovrà quindi prevedere un’azione specifica che consentirà di ottenere il cambiamento ipotizzato: ad esempio, se l’obiettivo individuato è “migliorare il livello di socializzazione del minore”, un’azione corrispondente potrebbe essere quella di prevedere l’iscrizione del bambino ad un’attività sportiva del quartiere. Un altro passaggio sarà quello di identificare gli attori, ovvero i soggetti che rivestiranno un ruolo preciso nel raggiungimento di quel determinato obiettivo. Tornando all’esempio precedente, si può immaginare che per aumentare il grado di socializzazione del minore, raggiungibile attraverso la sua iscrizione ad un’attività sportiva, possano essere coinvolti i genitori, oppure un educatore, nel caso in cui sia stato attivato un servizio educativo domiciliare, oppure l’assistente sociale del Comune che conosce nel territorio le associazioni sportive e potrebbe mettere in rete la famiglia e l’associazione sportiva. Nel progetto individualizzato vanno inoltre indicate le risorse necessarie per realizzare quella determinata attività e quelle effettivamente disponibili in quel momento. Infine, deve essere indicato il tempo necessario per raggiungere ogni obiettivo prefissato, questo per organizzare anche a livello temporale gli interventi e per conferirgli un maggior livello di concretezza.
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Tab. 3.2 “Obiettivi, azioni e attori”
Obiettivi Attività/azioni Attori Risorse Effettive Disponibili Tempi di raggiungimento dell’obiettivo 1. 2. 3. 4.
E’ stato chiesto ai diversi professionisti un parere rispetto all’utilità di questa forma di progettazione individualizzata, in cui obiettivi, azioni, attori, ecc, vengono declinati in modo schematico.
Secondo gli intervistati, in particolare da parte degli assistenti sociali, questa griglia pur rappresentando «una fatica in più per gli operatori», viene vista come un potenziale punto di forza nella fase di progettazione per più motivi: per prima cosa consente, a livello di documentazione interna del servizio, di garantire una “tracciabilità” dei diversi passaggi che sottendono l’intero progetto sul caso, in particolare, considerato il tourn-over di operatori verificatosi negli ultimi anni, quando c’è da fare un passaggio di consegne ad altri colleghi, questo documento presenta delle
caratteristiche di maggiore visibilità, di chiarezza, per cui può risultare più agevole la comprensione del pensiero progettuale degli operatori che fino a quel momento si sono occupati del caso.
L’esplicitare in modo logico i diversi obiettivi, le azioni, gli attori che compongono il progetto individualizzato complessivo, secondo gli intervistati, rappresenta una guida, una bussola d’orientamento, nella stesura delle relazioni al Tribunale, infatti un assistente sociale afferma:
«aiuta a ricostruire il percorso, anche quando si devono scrivere le relazioni al Tribunale, si riescono ad esplicitare meglio i vari passaggi che hanno portato ad affermare una determinata conclusione. Nelle relazioni, infatti, spesso il ragionamento che sta dietro alle conclusioni rimane più implicito».
Oltre a questi aspetti viene evidenziato come l’esplicitare questi passaggi logici possa aiutare l’assistente sociale nella relazione con lo psicologo, in quanto, entrambi i professionisti, sono, in un certo senso, “costretti” a chiarire le rispettive posizioni e punti di vista sul caso e questo può dunque facilitare i processi decisionali insiti nel processo d’aiuto.