• Non ci sono risultati.

TAVOLA 1 “Minori in tutela”

3.4. La fase di avvio del percorso formativo per le équipe integrate.

3.4.1. Il gruppo di lavoro “integrato”: motivazioni e aspettative rispetto al percorso.

Per comprendere le motivazioni, il bisogno formativo espresso e latente e le aspettative che hanno dato impulso a tale richiesta di consulenza esterna, sono stati sentiti i Responsabili dei due enti, alcuni partecipanti del corso, assistenti sociali e psicologi, e la ricercatrice/formatrice dell’area “Progettazione e valutazione dei servizi sociali” dell’IRS, Dr.ssa Cecilia Guidetti, che ha condotto il percorso formativo insieme al Dott. Ugo De Ambrogio.

In questo modo è stato possibile cogliere i diversi punti di vista sul percorso intrapreso: i Responsabili, quali promotori dell’intervento e, in base a quanto stabilito dal protocollo d’intesa, referenti rispetto ai rapporti interistituzionali tra i due enti con funzioni di garanti dell’organizzazione e del funzionamento delle reciproche attività in campo di tutela minori con provvedimento della Magistratura, gli assistenti sociali e psicologi, quali operatori concretamente “sul campo” e la ricercatrice, che nel ruolo di formatore esterno ha potuto conoscere da vicino il gruppo di lavoro, accompagnandolo in un processo di riflessione e analisi sulle metodologie operative in atto e di rielaborazione di nuove metodologie professionali che consentano un miglioramento qualitativo degli interventi erogati.

E’ stato chiesto ai Responsabili dei due enti con quali obiettivi e da quali esigenze è sorta la richiesta di consulenza formativa esterna nel processo di implementazione del Protocollo d’Intesa e su quali aspettative e motivazioni professionali si è sorretto il processo di co-costruzione conoscitiva intrapreso attraverso il percorso formativo.

Dalle risposte fornite si evince che alla base di tale richiesta vi era innanzitutto un mandato istituzionale, che era quello di rendere operativo il contenuto del protocollo d’intesa. Per questo motivo è stato scelto di approfondire a livello teorico il tema della progettazione e valutazione sociale sui casi e, contemporaneamente, di essere accompagnati nella creazione e sperimentazione di uno strumento di progettazione da esperti in tale ambito.

Oltre a questa richiesta, posta dai Responsabili dei due enti, è emerso un altro bisogno formativo, che come ha sottolineato la dr.ssa Guidetti, «era un po’ meno esplicito ma che è emerso già dal

primo incontro» ed era quello di creare uno spazio di formazione condiviso tra psicologi e assistenti

sociali che, da molti anni, pur lavorando insieme, non avevano avuto la possibilità di usufruire di spazi di riflessione e confronto all’interno di un momento formativo e di supervisione.

Tutti gli intervistati, sia i professionisti che i loro Responsabili, sottolineano infatti la necessità di fermarsi e pensare rispetto a quello che si stava facendo, in modo condiviso, rispetto all’operato di tutte e due gli enti, contemporaneamente. La Responsabile ASL per il Nucleo Tutela Minori infatti afferma che c’era il bisogno «di dirsi delle cose in un contesto allargato».

Con il ritiro delle deleghe dall’ASL, infatti, il Comune si è riappropriato delle funzioni di tutela e quindi, come ha sottolineato la dr.ssa Guidetti, si è trattato di un passaggio delicato che, se non accompagnato da uno spazio di supervisione, rischia di gravare sulla vita lavorativa degli operatori. Dalla lettura offerta dalla ricercatrice/formatrice, quindi, questo percorso è stato «un’occasione per

mettere tutti attorno a un tavolo a ripensare anche un po’ all’operato e a come si erano costruite le prassi di collaborazione tra ASL e Comune».

Per quanto riguarda la motivazione degli operatori rispetto al loro coinvolgimento nel percorso formativo, dalle interviste emerge che in generale tutti i partecipanti erano interessati ad avere, dopo molto tempo, uno spazio congiunto di confronto sul loro modo di lavorare al fine di individuare una migliore collaborazione tra ASL e Comune, infatti la voce stessa degli operatori afferma:

- «l’aspettativa era di individuare uno strumento che aiutasse ad integrare maggiormente le due figure» (assistente sociale).

- «credo che fosse la prima formazione che venisse fatta insieme da quando c’è stato il passaggio di competenze dall’asl al comune nel 2003, quindi è stato un po’ come mettere le basi per una gestione comune»(assistente sociale).

- «ho detto “finalmente ci possiamo confrontare tutti insieme e portare quali sono le difficoltà, trovare delle soluzioni”. L’obiettivo era costruire il progetto individualizzato e lavorare su quello, in realtà, siccome era da tempo che non avevamo questi momenti in cui potevamo dirci tutte le cose, sono uscite una serie di problematiche che erano rimaste in sospeso» (psicologo).

Rispetto al coinvolgimento degli operatori sul tema della progettazione individualizzata e della creazione dello strumento, sembra essere stato significativo il fatto che alcuni di loro, precedentemente, erano stati coinvolti anche nella stesura del protocollo d’intesa, in particolare gli assistenti sociali, quindi avevano avuto la possibilità di ragionare e riflettere sulle possibili piste di lavoro da seguire per migliorare l’efficacia della collaborazione tra ASL e Comune nella tutela minori, cogliendo quindi l’importanza di individuare una nuova modalità di progettazione individualizzata sui casi attraverso l’utilizzo di uno strumento operativo creato da loro stessi

operatori. Altri professionisti invece, non avendo preso parte ai lavori preparatori alla elaborazione del protocollo, perché di recente assunzione, o assunti con un monte ore limitato, sono stati meno facilitati nel cogliere da subito la valenza della proposta formativa e quindi nella costruzione di una motivazione specifica.

Un altro aspetto messo in luce dalla consulente esterna, riguarda la differenza tra le due categorie professionali rispetto alla concezione del percorso formativo e quindi al modo di percepire la possibilità di immaginare un cambiamento delle proprie prassi lavorative, in particolare, l’appartenenza organizzativa degli operatori sembra influenzare questo aspetto.

Per gli psicologi pensare di modificare le prassi d’intervento nella progettazione sui casi poteva risultare un po’ più complesso, in quanto, come afferma la ricercatrice/formatrice, appartenenti ad

«un’organizzazione molto grande, molto poco semplificata nei passaggi tra l’unità di tutela, il direttore sociale, e il direttore generale, quindi un’organizzazione un po’ macchinosa, all’interno della quale ci si sente abbastanza legati, con poca possibilità di intervento […] un po’ per il numero di ore disponibili, che effettivamente erano molto poche, un po’ per questa scarsa abitudine a mettere in discussione le prassi d’intervento con la propria organizzazione».

Per gli assistenti sociali sembrava invece più fattibile provare a modificare il proprio modo di operare, anche attraverso la sperimentazione della scheda sulla progettazione individualizzata e le relative Linee Guida, che durante il percorso sono state elaborate. In questa categoria professionale emerge quindi una concezione dell’organizzazione di appartenenza, il Comune, più flessibile, in cui l’operatore può trovare maggiore spazio di manovra nell’introduzione di cambiamenti dei comportamenti professionali.

Outline

Documenti correlati