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TAVOLA 1 “Minori in tutela”

3.3. Le diverse tappe dell’integrazione dei servizi socio-sanitari bresciani nella tutela minori.

La ri-organizzazione del Servizio Tutela Minori, che, come già anticipato22

, è stata avviata nel 2003, attraverso una riassunzione delle competenze da parte del Comune di Brescia, in merito alle funzioni di tutela dei minori con provvedimento dell’autorità giudiziaria, ha comportato un vero e proprio stravolgimento all’interno dell’assetto organizzativo.

Il Comune, infatti, assumendo la titolarità della funzione di tutela dei minori, acquisisce una funzione di regia rispetto alla presa in carico dei casi, in quanto deve garantire che l’offerta di

21 Ambito del Distretto n. 1 di Brescia, Il Piano Sociale di Zona 2009/2011, pag. 108. 22 § 3.1.

servizi e interventi, su una determinata situazione, sia coerente con quanto il Tribunale ha richiesto tramite il provvedimento.

Attraverso l’intervista effettuata alla Responsabile del Servizio Minori del Comune, in merito alla ricostruzione storica di questo cambiamento organizzativo, si può affermare che in quel periodo non si trattava solamente di affrontare un passaggio burocratico amministrativo di funzioni tra due istituzioni, ma un momento complesso della storia dei servizi del territorio, infatti si poneva la questione di individuare nuove modalità gestionali del servizio, ridefinire spazi e sedi di lavoro, regole e procedure operative tra i due enti (Comune e ASL) ma anche i rapporti professionali tra gli operatori, ognuno con le proprie storie professionali, aspettative verso l’ente di appartenenza e relazioni umane instaurate nel tempo, all’interno del contesto lavorativo. La Responsabile, infatti ricorda con queste parole tale fase di riorganizzazione: «Questo passaggio è stato abbastanza

complesso: sono state assunte persone in mobilità dall’ASL che quindi sono passate al servizio comunale, con storie di lavoro, di persone, che appartengono alla stessa struttura, che sono nella stessa sede (psicologi dell’ASL) e persone che invece appartengono al comune, con mandati, orari, sedi, differenti, operatori sociali, come gli psicologi, che si muovono tutti nello stesso territorio, quindi più accentrati, in un’unica sede, mentre noi più decentrati, più vicini alle famiglie. Anche questa è stata una riorganizzazione dell’ASL: prima aveva dei distaccamenti territoriali, è stata fatta una ristrutturazione di una loro sede, un ex ospedale psichiatrico, che ha accorpato tutti gli psicologi in un’unica sede. Quindi c’è stata un’evoluzione anche culturale, si doveva iniziare ad interfacciarsi con un altro ente, quindi con la necessità di una ridefinizione, anche rispetto alla modalità di confronto: gli assistenti sociali hanno cambiato partner professionale, con tutto quello che questo significa in termini di relazioni anche umane oltre che professionali che si istaurano nel tempo, la parte più informale dei rapporti che poi incide molto anche sul lavoro, molti colleghi sono diventati comunali, implicazioni quindi anche emotive di questo passaggio».

Oltre alle difficoltà derivanti dal trasferimento di alcuni professionisti dall’ASL al Comune, la Responsabile Comunale ha sottolineato anche le criticità rispetto alla realizzazione di una vera e propria presa in carico integrata dei casi tra sociale e sanitario, dove il rapporto era più improntato su una richiesta all’ASL, da parte del Comune, di prestazioni specialistiche di secondo livello.

Le difficoltà collegate al ritiro delle deleghe da parte del Comune è stata confermata anche dalla Responsabile ASL che ricorda come questo passaggio non sia certo stato indolore, portando l’esigenza nei due enti, di sottoscrivere fin dall’inizio, dei protocolli d’intesa che andassero a definire le competenze dei due enti e le modalità di collaborazione, che cosa si intende per conduzione di un caso, quali sono i momenti indispensabili di raccordo e quali sono i segmenti di attività che ciascuno svolge in autonomia e quelli in équipe. Essa, infatti, afferma: «si è trattato di

passare da una modalità di lavoro d’equipe all’interno delle stessa istituzione, consolidata, collaudata e operativa da anni, a una modalità diversa, con figure professionali diverse, perché appunto le assistenti sociali non erano tutte le stesse, alcune sono rimaste le stesse altre erano nuove assistenti sociali messe in campo dall’amministrazione comunale e questo ha comportato un grosso lavoro di riorganizzazione e soprattutto di ricostruzione di una modalità di lavoro condivisa a partire da che cos’è la tutela minori, come si lavora, qual è la funzione dell’assistente sociale, qual è la funzione dello psicologo come ci si integra, come si gestiscono i casi in integrazione, con la differenza sostanziale di essere appartenenti a due organizzazioni diverse e ciascuna rispondente al proprio ente di appartenenza e questo ha portato un consistente lavoro di ripensamento e, fin dall’inizio di questo passaggio, la stesura di protocolli d’intesa fra i due enti». A fronte di queste

criticità, il Responsabile del Settore Servizi Sociali del Comune di Brescia e il Direttore Sociale dell’ASL, nel 2006, hanno sottoscritto le “Linee guida operative tra i Comuni del Distretto n. 1 di Brescia e l’ASL per la messa in rete di servizi e prestazioni sociali e sanitarie in materia di tutela minori interessati da provvedimenti della Magistratura”, al fine di garantire una collaborazione tra i due enti attraverso efficaci interventi sociali e psicologici in tutte le fasi del progetto d’intervento. Con questo protocollo veniva quindi assunto, a livello interistituzionale, l’impegno di redigere in modo condiviso un progetto operativo per ogni situazione in cui vi è una richiesta d’indagine e/o un provvedimento da parte dell’Autorità Giudiziaria.

Il nuovo Piano di Zona 2009-2011 prevede di realizzare l’integrazione sociosanitaria nelle diverse aree d’intervento, tra cui anche quella relativa alla tutela dei minori, attraverso la condivisione di protocolli operativi che consentano, in via generale, di:

- focalizzare l’attenzione sull’utente;

- effettuare una valutazione multidisciplinare delle situazioni personali; - concordare il raggiungimento di livelli minimi di assistenza integrati23

.

Nello specifico, il Piano, accogliendo le proposte avanzate dal tavolo tecnico dei minori, nell’arco della sua validità, prevede di “ridefinire con l’ASL il protocollo operativo per la presa in carico dei minori sottoposti a provvedimento dell’Autorità Giudiziaria. In particolare, per i progetti che vedono la partecipazione di altri soggetti (comunità alloggio ed affido familiare), si rende opportuno garantire progetti integrati d’assistenza al minore, alla famiglia ed al soggetto accogliente, nei quali l’amministrazione comunale si faccia garante del buon funzionamento così come previsto dalla Legge n. 184/83 nel testo attualmente vigente (art. 5 comma2)”24.

Le indicazioni offerte dalla programmazione sociale territoriale, rispetto alla rivisitazione del protocollo operativo siglato nel 2006 tra Comune e ASL, esprimono proprio un’esigenza tecnica

23

Ambito del Distretto n. 1 di Brescia, Il Piano Sociale di Zona 2009/2011, pag. 16.

degli operatori dei servizi che si occupano di tutela minori, di definire in modo più preciso le competenze, i ruoli, le prestazioni offerte dai due soggetti istituzionali, nelle varie fasi del progetto personalizzato d’intervento.

Coerentemente con lo spirito della Legge regionale n. 3/2008, che pone al centro il progetto individualizzato nella presa in carico integrata delle situazioni complesse o che hanno bisogni sia sociali che sanitari, come nel caso dei bambini con provvedimento della Magistratura, nel 2010 viene quindi sottoscritto il nuovo “Protocollo d’intesa tra ASL di Brescia e Ambito n. 1 per la gestione del servizio tutela minori interessati da provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria” con validità triennale (fino al 31.12.2012).

Secondo la Responsabile del Servizio Tutela Minori comunale, che insieme alla Responsabile del Nucleo Tutela minori dell’ASL, ha lavorato alla stesura del recente protocollo d’intesa, questo strumento operativo, rispetto al precedente, dovrebbe aiutare a definire meglio «chi fa che cosa, nel

rispetto delle reciproche competenze e nel riconoscimento reciproco del proprio bagaglio professionale». Dalle considerazioni della Responsabile Comunale emerge infatti che questo

protocollo, a differenza del precedente, non offre una lista di compiti che i diversi professionisti coinvolti nel progetto individualizzato sul minore devono garantire, ma riconosce una competenza specifica, agli assistenti sociali e psicologi, nel costruire un progetto individualizzato d’intervento di cui entrambi sono titolari nell’esecuzione e corresponsabili, ognuno per la loro parte, nei confronti dell’obiettivo previsto.

Questo passaggio sembra essere fondamentale, in quanto emerge che il modello operativo utilizzato dagli operatori ASL, prima del ritiro delle deleghe da parte del Comune, tendenzialmente vedeva le due figure professionali, assistenti sociali e psicologi, svolgere gran parte delle attività in modo congiunto, pur nel rispetto delle reciproche competenze. Successivamente, con la separazione anche fisica rispetto alla sede di lavoro dei due professionisti, in quanto uno è dislocato nella sede ASL e l’altro nella sede comunale, sembra essere rimasta questa tendenza nell’operare in modo congiunto, ma, con la sottoscrizione dell’ultimo protocollo d’intesa, gli enti hanno manifestato la volontà di rinnovare le proprie prassi operative anche attraverso il riconoscimento di una maggiore autonomia professionale delle due figure, esplicitandone i ruoli all’interno di alcune fasi precise dell’intervento, precisamente:

- il Comune: ha un ruolo significativo in tutte le fasi, ma prioritariamente nella prevenzione, nella

rilevazione, nella protezione e nella riparazione, intesa come reinserimento sociale, come

- L’ASL: ha un ruolo significativo soprattutto in due fasi, quella diagnostica e quella di cura, sia del minore che dei genitori25.

3.3.1. Gli aspetti innovativi del nuovo Protocollo d’Intesa tra ASL di Brescia e Ambito n. 1.

Il Protocollo d’Intesa tra il Comune di Brescia, ente capofila e l’ASL di Brescia è stato definito dalle due Responsabili dei servizi coinvolti (ASL e Comune), con il coinvolgimento dei rispettivi dirigenti.

Dalle informazioni raccolte tramite le interviste somministrate alle Responsabili, è emerso che la definizione congiunta dei contenuti di questo atto d’intesa si è raggiunta a seguito di diversi incontri tecnici tra i due enti. Durante il percorso di redazione del protocollo, esse avevano organizzato degli incontri di servizio con i propri professionisti di riferimento, per raccogliere i loro suggerimenti, dubbi o perplessità, affinché questo nuovo strumento d’integrazione tra i due enti risultasse il più condiviso possibile con le équipe operative.

I destinatari del Protocollo d’Intesa, come è riportato nello stesso documento, sono “i minori in condizioni di trascuratezza o patologie della cure, maltrattamento fisico, psicologico o abuso emozionale, abuso sessuale, violenza assistita e le loro famiglie, interessati da provvedimenti della Magistratura nell’area civile, penale, amministrativa, comprese le richieste di indagine psicosociale, preliminari all’assunzione di eventuali provvedimenti”26.

L’aspetto più innovativo di questo atto, consiste nel prevedere una rivisitazione della progettazione individualizzata dei casi attraverso una metodologia specifica e con la creazione di uno strumento concreto che possa garantire il raggiungimento di un’integrazione sociosanitaria a diversi livelli: nella presa in carico, nella corresponsabilità rispetto agli obiettivi definiti, rispetto alle risorse da mettere in campo, nell’individuazione di criteri e strumenti condivisi di verifica e rivalutazione del progetto d’intervento.

Da sottolineare, inoltre, la volontà di esplicitare tra i presupposti fondamentali della progettazione individualizzata, anche il coinvolgimento attivo del minore e della sua famiglia nella costruzione del loro progetto e nella verifica dei risultati raggiunti.

Si ritiene infatti che l’ampliamento dei processi partecipativi delle famiglie nella costruzione dei progetti che li riguardano, volti alla tutela del minore in situazione di pregiudizio, sia la condizione indispensabile per promuovere un processo di cambiamento in grado di restituire dignità,

25 Allegato n. 1: “Protocollo d’intesa tra ASL di Brescia e Ambito n. 1 per la gestione del servizio tutela minori

interessati da provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria”.

26

consapevolezza rispetto ai propri limiti e potenzialità, competenze genitoriali e fiducia in se stessi, nelle istituzioni e nel territorio.

Quando il cambiamento, invece, non può essere raggiunto l’obiettivo del progetto sarà comunque la tutela del minore, ma attraverso interventi sostituivi della famiglia d’origine.

A differenza del precedente protocollo, qui emerge l’esigenza da parte dei soggetti istituzionali, di dotarsi di una metodologia di lavoro, di procedure operative che permettano alle équipe integrate (assistente sociale e psicologo) di formulare un pensiero progettuale sulle situazioni e non solo quindi di assicurare un insieme di prestazioni.

Esso inoltre definisce in modo abbastanza preciso la metodologia operativa che i due enti dovranno seguire nella progettazione congiunta sulle situazioni, offre indicazioni rispetto alle diverse fasi che il progetto dovrà contenere (analisi della situazione, definizione degli obiettivi, individuazione delle azioni, dei tempi di realizzazione e delle risorse disponibili, il monitoraggio e la valutazione del progetto) e prevede l’individuazione, all’interno del progetto, di un “referente del caso”, di norma coincidente con la figura dell’assistente sociale, con funzioni di regia dell’intero processo d’aiuto, di coordinamento delle professionalità e delle risorse messe in campo.

3.4. La fase di avvio del percorso formativo per le équipe integrate.

A seguito dell’approvazione del “Protocollo d’Intesa tra ASL e Ambito n. 1 di Brescia per la gestione del servizio tutela minori interessati da provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria”, si è posta l’esigenza per i referenti dei due enti, operanti nel campo della tutela minori, di affinare le proprie competenze professionali in merito alla progettazione sui casi e parallelamente costruire degli strumenti specifici di progettazione, monitoraggio e valutazione sui casi, utilizzabili dalle microequipe integrate, composte dall’assistente sociale del servizio comunale e dallo psicologo dell’ASL.

Le Responsabili dei servizi dei due enti, hanno quindi deciso di rivolgersi ad un ente di formazione esterno, nello specifico l’Istituto di Ricerca Sociale di Milano (di seguito IRS), al fine di programmare un percorso formativo integrato, ossia rivolto agli assistenti sociali e psicologi impegnati in questo ambito di lavoro.

La prima parte del percorso formativo si è svolta nel periodo che va da giugno a novembre 2010, per un totale di n. 5 incontri. La seconda parte invece si è sviluppata attraverso n. 4 incontri, organizzati nel periodo che va da dicembre 2010 a maggio 2011, con l’obiettivo, da parte della committenza, di usufruire di un ulteriore spazio formativo finalizzato ad accompagnare la

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