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La progettazione di strumenti professionali condivisi: cominciare da una metodologia partecipata.

TAVOLA 1 “Minori in tutela”

3.4. La fase di avvio del percorso formativo per le équipe integrate.

3.4.3. La progettazione di strumenti professionali condivisi: cominciare da una metodologia partecipata.

L’obiettivo del gruppo di lavoro e quindi del percorso formativo, era quello di progettare degli strumenti professionali condivisi dagli assistenti sociali dell’Ambito n. 1 e dagli psicologi dell’ASL di Brescia, per la gestione del servizio Tutela Minori interessati da provvedimenti della Magistratura, secondo quindi un modello operativo di integrazione sociosanitaria e con un approccio multidimensionale alla complessità che caratterizza i bisogni delle famiglie oggetto di intervento.

E’ in questa cornice che si inserisce la scelta metodologica effettuata dai formatori e condivisa dai Responsabili dei due enti che hanno proposto l’avvio di questo percorso formativo, basata su un approccio partecipato che ha permesso di realizzare un “processo partecipato di riflessione nel corso dell’azione”29.

La formatrice, intervistata in merito alla scelta del metodo partecipato, ha rilevato che il gruppo dei professionisti si trovava in un momento di crisi rispetto alla gestione del Servizio Tutela Minori, a causa di diversi fattori (il sovraccarico di lavoro, il numero crescente di casi, la riduzione delle risorse interne, ecc) che li rendevano più resistenti rispetto alla possibilità di rivedere le proprie prassi professionali e rispetto al tempo da dedicare alla progettazione attraverso l’utilizzo di uno strumento specifico. Era quindi necessario utilizzare una metodologia che permettesse innanzitutto una ri-motivazione degli operatori rispetto alla possibilità di introdurre dei cambiamenti all’interno del loro contesto lavorativo, nonostante le criticità esistenti.

In questo senso dunque l’approccio partecipato ha permesso di ri-vedere l’oggetto del proprio lavoro e, come afferma Manoukian, “smontare (de-costruire) la propria rappresentazione dei

29

T. Bertotti, U. De Ambrogio, La valutazione nelle indagini sociali, in “Prospettive Sociali e Sanitarie” n°2/2003, pag. 2.

problemi per poi saperla rimontare (ri-costruire) utilizzando le diverse rappresentazioni che sono state raccolte”30.

Gli operatori sono quindi stati invitati ad esplicitare tutti i passaggi che loro compiono, anche quelli che solitamente rimangono sottintesi, dal momento in cui arriva un provvedimento del Tribunale relativo ad un minore.

I formatori, inoltre, hanno lavorato con il gruppo affinché essi riuscissero a darsi una terminologia condivisa rispetto alle modalità operative solitamente utilizzate e a condividere un quadro teorico comune sul tema della progettazione e valutazione.

Per raggiungere l’obiettivo del percorso formativo è stato scelto un metodo partecipato in quanto, come ha spiegato la dr.ssa Guidetti in sede di intervista, proporre una scheda per la progettazione individualizzata già preconfezionata sarebbe stato sicuramente improduttivo, dal momento che già alcuni operatori manifestavano delle resistenze rispetto al suo utilizzo, al significato del percorso e all’ulteriore tempo da dedicare a questo nuovo strumento.

La formazione è partita quindi con un inquadramento teorico sulla progettazione e sulla valutazione, si è ragionato su come si redige un progetto, provando ad applicare la teoria nei casi concreti portati dagli operatori. I formatori hanno infatti scelto di chiedere agli assistenti sociali e agli psicologi di portare degli esempi di casi sui quali applicare un lavoro di progettazione, provare a capire come funzionava la progettazione e come era funzionata nei loro casi e quindi partire dall’analisi dei problemi, l’individuazione delle strategie di miglioramento, la messa in opera dell’intervento e la valutazione. In questo modo si poteva delineare un quadro preciso rispetto alle prassi in uso relative alla progettazione sui casi concreti, per provare a capire quali erano le aree di miglioramento.

Questa metodologia è stato molto funzionale, in quanto ha favorito il coinvolgimento dei professionisti, che hanno potuto presentare dei casi conosciuti da loro e soprattutto ha permesso una “contaminazione” tra la teoria della progettazione e la quotidianità del lavoro professionale.

La proposta formativa infatti mirava ad un riordino di quello che solitamente viene realizzato nel Servizio di Tutela Minori, ma non proponeva delle prassi operative completamente diverse.

Attraverso questo metodo si è potuto procedere all’elaborazione della scheda, partendo proprio da quello che già gli operatori facevano nella quotidianità del loro lavoro, affinché questo strumento li potesse aiutare a codificare azioni e informazioni che già loro raccoglievano abitualmente.

Durante i primi incontri gli operatori, con la supervisione dei ricercatori/formatori, hanno iniziato da un lato a strutturare quali tipi di informazioni, per esempio, vengono raccolte nell’analisi dei casi, nella valutazione, quali sono i soggetti che vengono interpellati, che tipo di documentazione

viene chiesta, ecc e dall’altra a stendere delle linee guida utili all’utilizzo di questa scheda e che fungono da accompagnamento alla scheda stessa.

Dalle osservazioni della ricercatrice, si può affermare che il gruppo era certamente competente rispetto, ad esempio, alla raccolta e all’utilizzo delle informazioni, ma quello che mancava era un momento di codifica di queste informazioni. La progettazione veniva gestita in modo meno esplicito, per cui ad esempio, tutta l’analisi del caso, la valutazione del caso e quindi poi il passaggio dall’osservazione all’individuazione degli obiettivi veniva un po’ sottintesa nelle relazioni che venivano inviate al Tribunale. E’ emerso infatti che lo strumento della relazione, pur essendo ovviamente utilizzato dagli operatori nei rapporti con il Tribunale, dal punto di vista della forma, risultava poco immediata e scarsamente strutturata: alcuni mettevano più in evidenza determinate caratteristiche, altri si spingevano molto di più a descrivere il caso, mentre altri ancora più a ragionare sugli obiettivi però senza spiegare perché avevano scelto quegli obiettivi.

L’idea di una scheda costruita direttamente dai professionisti, con l’aiuto dei ricercatori/formatori, consentiva quindi di mettere in fila tutte le informazioni sul caso a partire dall’osservazione che ne era già stata fatta, individuare degli obiettivi, dagli obiettivi pensare alle strategie, dalle strategie alle azioni, e successivamente impostare un disegno di valutazione.

E’ stato utilizzato pertanto il metodo della progettazione, ovvero da un’analisi dei bisogni si arriva ad individuare delle azioni, delle modalità d’intervento, facendo in modo che tutti questi passaggi logici siano esplicitati e condivisi tra i diversi soggetti, per non incorrere nel rischio, evidenziato dalla formatrice, relativo al fatto che alcune informazioni siano condivise, altre invece rimangano implicite e non venendo esplicitate all’interno delle équipe integrate, potrebbero creare dei gap di informazione tra un professionista e l’altro che deve intervenire.

Sono state elaborate dal gruppo più versioni della scheda: una prima versione più ipotetica, che poi è stata modificata e, successivamente, i ricercatori/formatori l’hanno riproposta con le modifiche apportate ed è stato chiesto agli assistenti sociali e agli psicologi di provare a compilarla. Essi hanno proposto ulteriori aggiustamenti fino ad arrivare alla versione definitiva.

Lo stesso procedimento è stato seguito per l’elaborazione delle Linee Guida: sono state stese in una prima versione, poi viste insieme, modificate e poi riscritte. Questo processo rispecchia pertanto un’ottica progettuale e strategica di fondo che permette di mettere in discussione le ipotesi di partenza e di valorizzare i risultati di ogni singolo passo. Tale approccio ha quindi permesso, ai componenti del gruppo, di sentirsi partecipi al processo di co-costruzione di questo strumento di progettazione in quanto hanno provato a sperimentarlo direttamente, suscitando in alcuni di loro entusiasmo e voglia di metterlo in pratica, mentre in altri ha sollevato delle perplessità rispetto al tempo da dedicare a questo nuovo modo di progettare sui casi.

La partecipazione dei professionisti non si è esaurita quindi in un adempimento formale, perché richiesto dai vertici, ma ha assunto una dimensione dinamica e laboratoriale, in cui tutti hanno potuto contribuire attivamente in un processo di co-costruzione, collegando la metodologia proposta dai formatori con la propria operatività per realizzare un nuovo strumento professionale di progettazione.

L’approccio della co-costruzione conoscitiva è stato valutato come un aspetto innovativo anche dalla Responsabile Comunale, in quanto, a suo parere, ha permesso agli operatori di partecipare in modo attivo a questa occasione di formazione «perché tutti erano abituati ad andare al corso di

formazione a cui devono solamente assistere, mentre in questo caso la costruzione dello strumento di progettazione è partita proprio da loro. L’abilità dei formatori è stata proprio quella di intercettare, scrivere, fermare, il poter poi riprendere nell’incontro successivo, da parte dei partecipanti, quanto era stato detto, precisarne i significati, è stata proprio la voce concreta degli operatori. Quindi un primo cambiamento, rispetto all’approccio, è che hanno materialmente contribuito, quindi diventa anche molto più difficile boicottarlo. Un altro aspetto importante è stato quello di poter avere uno spazio di monitoraggio con il formatore per l’applicazione dello strumento».

3.4.4. La progettazione individualizzata nella prassi tradizionale del servizio: punti di forza e

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