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Sovranità popolare e questione nazionale

Il rapporto tra la Repubblica romana e la questione nazionale emerge già nel gennaio del 1849, quando il governo provvisorio, sotto la spinta dell‘ambiente dei circoli popolari, a sua volta influenzato dall‘arrivo dei patrioti mazziniani a Roma97, proclama la doppia natura del ―mandato‖ dei deputati romani, i quali assumono la funzione di rappresentan- ti del ―popolo romano‖ sia all‘interno della Costituente romana che all‘interno della Co- stituente italiana.

94 Ibidem.

95 Le Assemblee del Risorgimento … cit., vol. III, p. 117. 96

Ivi, p. 490.

97 Cfr. A. V. Capaldo, La Repubblica romana e il problema della Costituente italiana nel 1848-1849, Fi-

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Nel proclama a tutti i popoli Italiani del 16 gennaio possiamo infatti leggere: L‘ordinamento di uno Stato non si limita ai rapporti interni, molto meno lo potrebbe essere per l‘Italia in questi momenti decisivi de‘ suoi destini. È giunta l‘ora che dessa non sia più un nome geografico, ma una Nazione, una Patria comune, un tutto di cui niuna parte possa isolarsi e separarsi dall‘altra. Come dunque l‘Assemblea che rappre- senta il nostro Stato, il cuore, il centro della medesima, potrebbe essere un corpo stra- niero, diverso da quello che deve formarne la rappresentanza ed il contingente sociale nella grande Costituente universale Italiana? […]Dichiara quindi e proclama la Com- missione provvisoria di Governo, che l‘Assemblea Nazionale dello Stato Romano riu- nisce altresì l‘attribuzione e il carattere d‘Italiana per quella parte che corrispondere deve al medesimo.

La questione dell‘indipendenza italiana resta un problema centrale nel corso della vita della Repubblica romana, e una costante preoccupazione dei costituenti è quella di ap- portare un contributo significativo ad essa. I rappresentanti romani da un lato mostrano la preoccupazione pratica di distinguersi, su questo piano, dal governo papale, la cui colpa principale è proprio quella di aver rifiutato la partecipazione alla lotta indipenden- tista; dall‘altro lato propongono un‘associazione ideologica tra la causa repubblicana e quella nazionale, che vengono presentate come inscindibilmente legate, nel senso che l‘una dipende dall‘altra ed entrambe rappresentano insieme lo scenario del futuro svi- luppo italiano.

Nella seduta dell‘8 febbraio, l‘intervento di Mamiani pone al centro dell‘attenzione pro- prio la questione nazionale: nel rifiutare la dichiarazione di decadenza del potere tempo- rale del papa, il deputato in primo luogo esamina gli effetti negativi dell‘instaurazione della repubblica a Roma rispetto alla causa nazionale, soprattutto per quanto riguarda i rapporti con gli Stati italiani monarchici; in secondo luogo propone di rimettere la solu- zione del problema alla costituente italiana, proprio in considerazione del fatto che si tratta di una materia di interesse per l‘Italia intera e su cui, di conseguenza, l‘Assemblea romana non può avere autorità.

Gli avversari di questa posizione interpretano il rapporto tra la dichiarazione di deca- denza del potere papale e la lotta per l‘indipendenza in maniera del tutto diversa, e lega- no piuttosto la causa nazionale alla piena affermazione del principio della sovranità po- polare. Possiamo vedere un primo esempio di questa posizione nell‘intervento di Ster-

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bini98, che, proponendo un‘interpretazione antitetica rispetto a quella di Mamaini, so- stiene che il governo papale, e non quello repubblicano, sarebbe d‘ostacolo al conse- guimento dell‘unificazione nazionale, arrivando a fare un‘affermazione incisiva come questa:

L‘antica politica dura ancora: […]. Non vi è strada di mezzo: senza il dominio tempo- rale dei Papi potremo esser liberi, con quello saremo austriaci e per sempre. Non dob- biamo oggi adunque decidere se vogliamo o no il Pontefice per Principe, dobbiamo de- cidere se vogliamo o no essere austriaci, se vogliamo o no l‘indipendenza italiana, se vogliamo o no le nostre libertà.99

In risposta a chi sostiene la priorità della libertà nazionale rispetto a quella politica100, Sterbini propone una visione in cui non esiste soluzione di continuità tra i due tipi di li- bertà, e il processo di liberazione nel suo complesso impone come primo passo la fine del potere temporale del papa.

È interessante notare, più avanti nell‘intervento, un‘altra affermazione di Sterbini, con cui il deputato mette a confronto i «principi» e i «popoli» italiani. Le due figure vengo- no poste in antitesi, e al popolo si attribuisce un più sincero attaccamento alla causa na- zionale:

Se i Principi italiani conoscessero i loro veri interessi, dovrebbero oggi unirsi a noi per terminare una volta questo mostruoso governo teocratico contro il quale combatterono

98 Pietro Sterbini (1795-1863), nasce in provincia di Frosinone. Affiliato alla carboneria partecipa ai moti

degli anni venti, in seguito ai quali si rifugia in Francia e successivamente si affilia alla Giovane Italia. Ritorna a Roma in seguito alla aperture liberali di Pio IX e all‘amnistia, ed è deputato alla Camera nel 1848. Nei mesi di vita della Repubblica, oltre ad essere eletto deputato alla Costituente, ricopre incarichi ministeriali. Severini descrive la sua figura in questi termini: «[…] ministro nei diversi governi provvisori del prologo e coinvolto nell‘assassinio di Pellegrino Rossi, fu l’anima nera della Repubblica e fornì alla Costituente un contributo fattivo e costante, in virtù di un pensiero democratico - radicale non alieno da impeti focosi e tribunizi». (M. Severini, Nascita, affermazione e caduta della Repubblica romana, in M. Severini (a cura di), La primavera della nazione: la Repubblica romana del 1849, Affinità elettive, Anco- na, 2006, p. 32). Dopo l‘esperienza della Repubblica romana si stabilisce prima a Parigi e poi a Napoli, proseguendo l‘attività giornalistica.

99 Le Assemblee del Risorgimento … cit., vol. III, p. 73.

100 Due esempi di questa concezione che antepone la realizzazione dell‘indipendenza italiana

all‘instaurazione di un governo liberale, garanzia di libertà politica, si trovano nei discorsi di Rusconi e Audinot, entrambi precedenti a quello di Sterbini: il primo afferma, proprio all‘inizio del suo intervento: «Noi gridiamo altamente, o rappresentanti del popolo, noi siamo prima che tutt‘altro sinceri e schietti ita- liani, e alla redenzione e alla salvezza d‘Italia noi vorremo e sapremo tutto sacrificare.» (Le Assemblee del

Risorgimento … cit., vol. III, p. 68); Audinot, che parla appena prima di Sterbini, sostiene in maniera e-

splicita la priorità della causa nazionale sulla libertà politica interna: «Allorquando l‘altro giorno noi en- travamo in questo sacro recinto, e che io vedeva quella bandiera velata di nero, la quale mi ricordava il martirio lombardo; io non poteva fare a meno di non essere compreso da un religioso sentimento, il quale mi gridava indipendenza essere il primo bisogno della nazione e prima l‘indipendenza anche della liber- tà.» (Ivi, p. 70).

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essi tante volte, e che fu causa tante volte della loro rovina. I principi l‘hanno forse di- menticato: ma i popoli non l‘obliarono davvero: i popoli sono desiderosi che noi rom- piamo finalmente questa barriera innalzata contro la libertà e l‘indipendenza d‘Italia.

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Con questa frase Sterbini introduce l‘immagine della coppia antitetica popolo/principi, dove il primo elemento assume una connotazione positiva e il secondo negativa, proprio in rapporto alla questione nazionale. Ma Sterbini si spinge oltre, instaurando una con- nessione tra la lotta per l‘indipendenza nazionale e la lotta contro l‘assolutismo; una connessione che deriva dalla fiducia nelle capacità del popolo di portare vittoriosamente a termine entrambe queste battaglie, mentre dall‘altro lato i principi sono guardati con diffidenza e accusati di tradimento:

[…] io ho fede nel principio che professo, io lo credo emanato dall‘eterna giustizia, io lo vedo trionfante malgrado le iniquità diplomatiche, malgrado le congiure clericali, malgrado i tradimenti dei Principi. […] mi lusingano le parole dei popoli che hanno giurato di non più tornare sotto il giogo, mi lusingano le grida di nazionale indipenden- za che sorgono da ogni lato, e le cadute continue delle dinastie spergiure.102

Sterbini interpreta quindi la guerra nazionale come una guerra condotta dal popolo, piut- tosto che dalle dinastie regie.

Anche Vinciguerra contesta la plausibilità dei pericoli illustrati da Mamiani, in merito al conflitto che nascerebbe all‘interno del fronte indipendentista se Roma proclamasse la repubblica, proponendo l‘immagine di una lotta ―nazionale‖ condotta non dai re, ma dai ―popoli‖; il deputato afferma infatti: «Si temono le baionette piemontesi, ma queste so- no portate da chi è nato dal popolo: e questo popolo quando trattasi di cacciare l‘Austriaco si batterà egualmente»103

.

Infine Savini mette in dubbio che si possa realizzare la stessa Costituente italiana senza prima eliminare l‘elemento monarchico:

Ci si dice: la Costituente italiana deciderà: ma dov‘è questa Costituente? Chiamate voi tale quella trovata a Torino dal principio della federazione, e della federazione dei Principi! Ma viveddio la coscienza dei popoli è dunque diventata un balocco da fan- ciulli? Ma chi potrà più credere ai Principi? […] La costituente italiana non v‘è; né è

101 Ivi, p. 74.

102 Ivi, p. 75. 103

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sperabile, o cittadini, se noi manterremo gli ostacoli che vi si frappongono, e questi o- stacoli sono appunto i Principi, sono appunto le Dinastie […].104

Possiamo vedere emergere da questi interventi l‘idea che, non solo il principato papale, ma il potere monarchico in generale, sia inconciliabile con il processo di ―redenzione‖ della nazione, e di conseguenza la lotta per l‘indipendenza nazionale viene inquadrata nell‘ottica di un movimento di stampo popolare.

Anche quando si tratta di ripensare la storia che ha portato alla proclamazione della Re- pubblica, e di giustificare l‘esautorazione del governo papale, si finisce per rintracciare nella questione nazionale il fattore scatenante da cui è dipeso il nuovo corso degli eventi. Come leggiamo nella Nota del Ministero degli esteri, del 3 marzo, indirizzata agli Stati europei, dove la politica papale ―antinazionale‖ è richiamata a difesa della scelta di al- lontanare il pontefice dal potere politico:

Fin che il Papato ci assecondò, finché esso si dimostrò amico della nostra indipendenza, noi col Papato procedemmo; noi dal Papato una consacrazione cercammo al glorioso nostro risorgimento. Ma allorché esso ci disertò, allorché esso ci dichiarò che il suo ca- rattere sacerdotale gli vietava di corroborare i santi conati dell‘indipendenza, allorché esso ci disse che gl‘interressi del mondo cattolico gl‘impedivano di patrocinare gl‘interessi italiani, allora noi non avemmo che un grido, allora noi esalammo dal pro- fondo del cuore che eravamo italiani e il Papato ripudiammo che ci avea ripudiati, ono- rando il sacerdote, ma non obbedendo mai più che alla voce d‘Italia.105

In tal modo la nascita della Repubblica, e quindi la sua stessa esistenza, risultano intrec- ciate alle sorti della causa nazionale, come i deputati romani non mancheranno di sotto- lineare in occasione della ripresa del conflitto tra il Piemonte e l‘Austria, a metà marzo, quando si presenterà per la Repubblica l‘occasione concreta di contribuire alla guerra di indipendenza.

La notizia della ripresa del conflitto tra Piemonte ed Austria arriva a Roma il 18 marzo, senza una comunicazione ufficiale da parte del governo piemontese.

Anche se nel breve periodo di ripresa del conflitto il Piemonte non riconoscerà la Re- pubblica, avvierà comunque col governo romano un rapporto informale per ottenere

104 Ivi, p. 83. 105

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l‘appoggio militare dello Stato. In questa situazione l‘Assemblea vede da un lato la pos- sibilità di ottenere un riconoscimento dagli altri Stati italiani, e dall‘altro l‘occasione per realizzare l‘indipendenza nazionale e avviare le trattative per la formazione della costi- tuente. Tutti i deputati romani, tranne pochissime eccezioni106, insistono dunque sulla necessità di trovare nella lotta per l‘indipendenza il terreno di conciliazione tra il princi- pio monarchico e quello repubblicano, ribaltando quindi la visione che abbiamo visto emergere nella seduta dell‘8 febbraio. Se in quella occasione viene affermata l‘idea, come si è detto, che il popolo sia il vero protagonista della lotta nazionale, adesso l‘idea che si impone è quella di veder collaborare le forze monarchiche e repubblicane in un unico sforzo. Il periodo della guerra tra Piemonte ed Austria è quindi improntato alla concordia e alla conciliazione dei due principi. Una posizione che in aula viene sostenu- ta, con veemenza, in particolare da Mazzini e Adinot.

Il primo ha sempre sostenuto la priorità dell‘indipendenza nazionale, tanto da aver, in varie circostanze, chiesto all‘Assemblea di rinunciare alla realizzazione di una Costitu- zione per lo Stato romano, che di fatto va in senso contrario rispetto all‘obiettivo dell‘unificazione politica della nazione107

. Nella seduta del 18 marzo, Mazzini, con la sua tipica eloquenza, afferma la necessità di vedere nell‘unificazione il fine comune che permetta di superare le diffidenze tra repubblica e monarchia:

Roma repubblicana militerà contemporaneamente a fianco del Piemonte monarchico. Le due bandiere hanno trovato anch‘esse com‘io vi diceva per noi, un terreno comune; hanno trovato una cosa, che santifica le due formole. Le questioni di forma spariscono. Noi siamo, nella guerra, fratelli. […] La bandiera repubblicana proceda con calma so- lenne, con dignità, senza intemperanza d‘entusiasmo come di diffidenza presso all‘altra bandiera. […] D‘altra parte noi non dobbiamo temere di sorgenti di diffidenza fra le re- ciproche. Un terreno di moderazione era stato scelto tra noi prima della proclamazione della Repubblica; quel terreno deve essere lo stesso dopo la nostra bandiera, la bandie- ra che fu sollevata in Roma, in nome della quale s‘iniziò il progresso italiano, la ban- diera della costituente; non è la bandiera di una forma, neppure della forma che noi qui

106 Da segnalare in particolare il caso di Cernuschi che si schiera contro un impegno della Repubblica nel-

la guerra contro l‘Austria, ritenendo piuttosto prioritaria la difesa del territorio dello Stato, minacciato, se- condo il deputato, dal Regno di Napoli. Cernuschi infatti, influenzato dall‘esito della prima esperienza re- pubblicana romana, teme l‘attacco da sud e vorrebbe concentrare su quel fronte tutti gli sforzi militari. A tal proposito possiamo vedere il commento di Cernuschi quando nella seduta del il 29 marzo, viene data notizia delle sconfitte subite: «Bisogna difendere il territorio. Non altro. Che Indipendenza? … Che Re- pubblica? … Ora si tratta della terra, della terra … » (Ivi, p. 1011).

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L‘idea è espressa in aula, da Mazzini, nell‘intervento del 18 marzo, con le famose parole: «io vi dico che una Costituzione non può farsi oggi. Vi sono due specie di Costituzioni, Costituzione italiana e Costi- tuzione romana. Una Costituzione romana, secondo me, non deve farsi, una Costituzione italiana non può farsi. […] Parmi che Roma dovrebbe avere dalla Commissione che incaricaste di redigere la Costituzione, una dichiarazione di principi, una espressione della fede […]» (Ivi, p. 787)

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scegliemmo: è la bandiera della libertà, del diritto inviolabile che tutti gli italiani hanno di scegliere la forma da essi preferita.108

Per Mazzini è importante affermare il carattere non invasivo della Repubblica. In un momento delicato per le sorti dell‘unificazione, il messaggio che si vuole dare è che la forma repubblicana di governo è in grado di promuovere uno spirito di concordia sia all‘interno che all‘esterno, e inoltre non è mossa da intenti espansivi. In tal modo la pro- clamazione della Repubblica a Roma, come si legge nelle ultime righe del discorso, va oltre il suo senso concreto immediato, e simboleggia piuttosto la libertà di «tutti gli ita- liani» di decidere autonomamente la forma di governo da adottare.

Una posizione analoga a quella di Mazzini è espressa da Audinot nella seduta del 25 marzo, quando, in risposta a Sterbini, che insiste sull‘importanza di ottenere un ricono- scimento immediato da parte del Piemonte, afferma:

Non si avveri mai che la Repubblica faccia meno di ciò che è stato fatto sotto i Papi. Del resto io vedo che la nostra Repubblica ha già contratto un dovere di prender parte alla guerra; è un dovere che si lega intimamente colla sua esistenza. […]se anche ve- nisse vinta la guerra senza il concorso delle armi romane, la nostra Repubblica perireb- be, poiché in questi supremi momenti veder soverchiato il genio repubblicano dalla bandiera del principio monarchico nella guerra dell‘indipendenza, in cui non si do- vrebbe conoscere distinzione di bandiera, ci porrebbe in una condizione così umiliante che bisognerebbe cadere. Da queste conclusioni parmi che, indipendentemente dalla conclusione delle trattative, noi dobbiamo far gli apparecchi di guerra, e se ci fosse an- che impossibile di venire ad una conclusione dei trattati, se noi non possiamo combinar nel modo di aprire la guerra congiuntamente al Piemonte, io nondimeno dico che noi dovremmo contribuire alla guerra.109

Il ragionamento del deputato, a sostegno della scelta di partecipare alla guerra a pre- scindere dall‘atteggiamento piemontese nei confronti della Repubblica, si basa su due elementi. Da un lato si afferma la necessità di mostrare la superiorità del governo re- pubblicano rispetto a quello papale, presentando il rapporto tra monarchia e repubblica nei termini di una competizione, di cui l‘impegno nella causa indipendentista rappresen- ta il banco di prova. Dall‘altro lato Audinot sostiene che, nel partecipare alla guerra, la Repubblica mostra di dare priorità alla nazione, in una circostanza in cui, in nome di un

108 Ivi, p. 785-786 109

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obiettivo superiore alle differenziazioni ideologiche, «non si dovrebbe conoscere distin- zione di bandiera».

Rispetto quindi all‘atteggiamento di assoluta chiusura, quando non antagonismo, regi- strato nella seduta dell‘8 febbraio tra l‘elemento popolare e quello monarchico all‘interno della stessa lotta nazionale, assistiamo in questa circostanza a un cambiamen- to sostanziale del giudizio.

Se prima con la proclamazione della Repubblica i deputati romani agiscono in ottempe- ranza al rifiuto di sacrificare la libertà interna in virtù dell‘ottenimento dell‘indipendenza nazionale, nella situazione che si viene a creare con la riapertura del conflitto da parte piemontese, sono disposti a venire a patti con uno Stato monarchico dando quindi priorità alla causa nazionale. Ciò non toglie comunque che i deputati ro- mani attribuiscano una superiorità alla forma repubblicana e all‘elemento popolare nella lotta nazionale; proprio per confermare questa idea la partecipazione alla guerra diventa un dovere da cui la Repubblica non può fuggire.

Dopo la sconfitta subita dal Piemonte, l‘atteggiamento e il giudizio dei deputati nei con- fronti della monarchia cambia nuovamente, tornando a esprimersi con toni fortemente negativi, come vediamo ad esempio nel discorso di Andreini110 del 16 maggio.

L‘intervento, nato in conseguenza della notizia dell‘invio di delegati francesi a Roma, vuole essere una risposta alle principali accuse mosse alla Repubblica. La parte del lun- go discorso, che ci interessa in questa circostanza, è quella in cui Andreini spiega le ra- gioni della sconfitta subita nella guerra antiaustriaca:

Ci si è gettato in faccia che non siamo capaci di combattere. Non fummo capaci di vin- cere perché re, sofisti e gesuiti parlanti linguaggio d‘indipendenza indussero le molti- tudini a fidare in essi, ed essi per odio a libertà popolare perdettero a Custoza, perdette- ro a Novara, vendettero Alessandria e dettero un bacio a Radetzky. Ma Milano, Bre-

110 Andreini Rinaldo (1818-1890), nato a Imola, vive a Bologna dove consegue la laurea in medicina. Di

idee mazziniane, fin dal 1843 comincia un‘attività insurrezionale che lo porta a partecipare a vari tentativi fallimentare per tutti gli anni quaranta, e a vivere in esilio spostandosi di continuo. Nel 1847, dopo l‘amnistia, rientra a Bologna dove scrive su vari giornali propagando idee di stampo mazziniano. Nel 1848 si arruola partecipando alle varie battaglie nel Veneto. Tornato a Bologna viene eletto alla Costitu- ente. Dopo la caduta della Repubblica ricomincia la vita da esule, peregrinando tra Inghilterra, Francia, Belgio e Svizzera, per finire nel 1850 ad Algeri. Tornato nel 1860 a Bologna, tenta la direzione del gior- nale Corriere del Popolo, fondato da Stanzani e finanziato da Bertani. La collaborazione non dura a lungo a causa del credo fortemente mazziniano di Andreini, che contrasta con le posizioni favorevoli a Vittorio Emanuele di Bertani. Nel 1861 torna ad Algeri concentrandosi sull‘attività di medico. Muore a Fort de l'Eau nel 1890. (Cfr. A. Cirone, v. Andreini Rinaldo, in DBI, vol. 3, 1961).

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scia, Venezia, Palermo, Livorno, Bologna e Roma mostrarono che anche il popolo ita-