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3. La democrazia rappresentativa

3.1. Il voto a suffragio universale maschile

3.1.1. Il suffragio universale

Come abbiamo visto il principio della sovranità popolare comincia a emergere già nel 1848. Nel corso del biennio, infatti, anche quando non si assiste all‘instaurazione di un regime democratico - repubblicano, si afferma comunque la necessità di ottenere una legittimazione dal ―popolo‖. Una legittimazione che, se nelle elezioni parlamentari, sta- bilite nei vari statuti italiani, si concretizza attraverso un suffragio per censo, comincia gradualmente a essere associata al concetto di universalità. Si fa avanti l‘idea di estende- re a tutto il corpo cittadino, inclusivo ovviamente dei soli maschi adulti, il diritto a in- tervenire nella vita politica. In corrispondenza quindi dell‘emergere del principio della sovranità popolare, si ammette come sua traduzione concreta la pratica del suffragio u- niversale.

Un primo esempio di applicazione del suffragio universale è rappresentato dai plebisciti del 1848, nel Lombardo  Veneto, per l‘annessione al Piemonte; in questa occasione si assiste a una generale accettazione del suffragio universale5, mentre idee discordanti emergono a proposito delle concrete modalità di indagine della volontà popolare. Tro- viamo infatti due diversi schieramenti: da un lato i monarchici filo piemontesi, sosteni- tori delle sottoscrizioni pubbliche, ossia della forma plebiscitaria; dall‘altro lato i repub- blicani che al plebiscito preferiscono votazioni elettorali con voto segreto. Si tratta di uno scontro che «[…] dà luogo a un serrato confronto sul modo di pensare il suffragio universale in un contesto di adesione condivisa al principio della sovranità popolare.»6. Nonostante la presenza di queste due visioni contrastanti, possiamo vedere come già nel 1848 il principio della sovranità popolare e il suffragio universale, che al principio si le- ga in maniera inscindibile, rappresentino due concetti ormai imprescindibili sia per i partigiani della monarchia che per i repubblicani.

È quindi facile immaginare come, alla luce dei fatti del 1848, la piena affermazione di tali principi a Roma già alla fine del 1848 e poi, in maniera ancora più incisiva, nel 1849 acquisisca la forza di una realtà incontestabile.

Bisogna però considerare qual è il senso del termine ―universale‖, utilizzato in riferi- mento al suffragio. Di fronte alla reale estensione del suffragio, infatti, si può dire che esso contiene dei principi di esclusione che non permetterebbero affatto di parlare di u- niversalità. Il termine è inserito, ovviamente, in senso oppositivo rispetto al suffragio ri-

5 Afferma infatti Fruci che nel 1848 «[…] il voto universale si presenta come un‘evidenza per i protagoni-

sti del tempo, quand‘anche siano mossi da intenti politici differenti […].» (Fruci, Il suffragio nazionale, p. 601).

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stretto, per censo, delle costituzioni octroyée del ‘48. Tuttavia esso assume anche un va- lore simbolico, come emerge dai discorsi all‘interno della costituente romana, in quanto rintraccia l‘origine del potere dell‘Assemblea in una indefinita universalità, che non tie- ne conto né degli elementi della società esclusi dal suffragio, né dei dissidenti che non aderiscono al principio della sovranità popolare o all‘ideale repubblicano.

In tal modo è possibile per i deputati romani parlare di un‘elezione che arrivando dal ―popolo‖ nella sua interezza attribuisce un‘assoluta legittimità all‘attività legislativa dell‘Assemblea.

Questa idea di universalità ha come conseguenza anche la severa condanna dell‘astensionismo. Nell‘ottica dei deputati romani, infatti, l‘astensione dalle elezioni, ricollegata principalmente all‘ignoranza e al disinteresse di una parte della popolazione, è considerato come un comportamento negativo, che va il più possibile limitato. L‘attribuzione di un carattere di universalità al corpo elettorale si lega quindi anche a questa idea della partecipazione obbligatoria, affermata non solo a parole, ma anche nei fatti, attraverso un‘intensa attività di propaganda. David Armando, mettendo a confron- to il regolamento elettorale romano del 1848 con quello del 1849, nota come in quest‘ultimo vengano inseriti «dei punti assenti nel precedente, conseguenza da un lato dell‘estensione del suffragio all‘intera popolazione maschile, dall‘altro, più in generale, del mutato clima politico che carica la consultazione elettorale di ben più ampie respon- sabilità.»7. Tra le novità del regolamento del ‘49 sottolineiamo qui, a proposito del no- stro discorso sulla condanna dell‘astensionismo, l‘articolo 13 che stabilisce le modalità con cui dare pubblicità alle elezioni, che nell‘articolo stesso sono definite come un dirit- to e un dovere dei cittadini:

Tre giorni prima della riunione, gli elettori saranno avvertiti con tutti i mezzi di pubbli- cità possibili dal capo del comune di recarsi all‘Assemblea elettorale per esercitare il diritto e dovere che hanno di prender parte alla nomina dei rappresentanti del popolo.8

L‘obbligo della partecipazione trasforma quindi il senso stesso del concetto di suffragio universale, come nota Fruci quando afferma: «[…] il suffragio universale deve essere tale non solo nel senso dell‘ammissione di tutti i maschi adulti alla cittadinanza politica, ma anche nel significato di una concreta presenza in massa di tutti gli elettori alle urne. In breve il suffragio da ―universale‖ diventa normativamente ―totale‖, oppure  secondo

7 D. Armando, Costruire la sovranità popolare. le commissioni municipali romane e le elezioni per la

Costituente del 1849, in ISPF-LAB, Laboratorio dell‘ISPF, IX, 2012, p. 125.

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un‘efficace espressione del tempo  ―assolutamente universale‖. Il suo esercizio si tra- sforma in un imperativo implicante responsabilità sociale, alla luce della quale occorre leggere la definizione di diritto-dovere che attraversa tutto il discorso democratico e re- pubblicano, spostandosi ossessivamente sul secondo polo del binomio nella pubblicisti- ca pedagogica quarantottesca.»9.

Oltre ad assumere il valore di principio legittimante dell‘esercizio del potere da parte degli organi eletti, il suffragio universale viene investito di un‘importanza più ampia in quanto strumento attraverso cui attuare un processo di pacificazione sociale, politica e nazionale.

Si tratta in effetti di una concezione diffusa a livello europeo, e particolarmente in Fran- cia, dove le diverse forze politiche accolgono in maniera entusiastica le prime elezioni a suffragio universale diretto, indette per il 5 marzo 1848, a proposito delle quali Rosan- vallon nota: «Dall‘opinione pubblica nessuna voce si alza per contraddire o protestare. Non emerge alcuna obiezione. Prudenze e critiche si cancellano come per miracolo. Non è più una questione di riforma: il principio del suffragio universale si impone im- mediatamente nella sua semplicità e radicalità. Assenso ed entusiasmo sono universali. Nessuno pensa, minimamente, di discutere o commentare il modo in cui si eserciterà ta- le diritto.»10

L‘assenza di una riflessione sulle modalità di espressione della volontà popolare, che abbiamo già riscontrato a Roma, è quindi una caratteristica del 1848 europeo e deriva da quel generale entusiasmo nei confronti di una forma di consultazione popolare, la vota- zione a suffragio universale diretto, a cui, come detto, si attribuisce una funzione mag- giore rispetto a quella pratica immediata: «Il suffragio universale non è considerato una semplice tecnica del potere popolare, ma un vero e proprio sacramento dell‘unità socia- le.»11.

Anche a Roma il suffragio universale viene interpretato come momento di pacificazione sociale, assumendo in tal modo un valore ideologico, che si affianca alla sua funzione pratica di indagine della volontà dei cittadini. Il voto è infatti l‘espressione di un con- fronto non violento che si oppone in maniera netta alla soluzione insurrezionale, e quin- di violenta, dei conflitti politici: «[…] in Italia,  sottolinea Fruci  attraverso l‘ideale e il mito della Costituente, il suffragio universale è rappresentato sia come la consacra-

9 G. L. Fruci, La banalità della democrazia … cit., p. 32.

10 P. Rosanvallon, La Repubblica del suffragio universale, in E Furet e M. Ozouf (a cura di), L’idea di re-

pubblica nell’Europa moderna, trad. it. Laterza, Roma-Bari 1993, pp. 396-7.

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zione della comunione sociale, sia – in una prospettiva progettuale – come simbolo dell‘unità nazionale da realizzarsi tramite la mobilitazione popolare. All‘indomani delle Cinque giornate di Milano, l‘idea del voto pacificatore in alternativa all‘insurrezione quale espressione più autentica della sovranità popolare è continuamente riproposta nel discorso democratico […]».12

Si tratta di una visione che si afferma in maniera analoga sia in Francia che in Italia e che riemerge a Roma nei mesi di attività della Costituente. All‘interno dell‘Assemblea in varie circostanze assistiamo infatti a discorsi, proclami o manifesti che sottolineano la positività della soluzione elettorale rispetto alla negatività dell‘insurrezione.

Questa immagine viene ad esempio espressa in maniera esemplare nel proclama «ai po- poli romani» del 13 gennaio, redatto da Armellini, quando si afferma:

È uno spettacolo pieno di eterna ammirazione quello d‘un Popolo che travolto negli avvenimenti i più imprevisti e solenni, sorga ad un tratto intero, ordinato, concorde ad attingere nella coscienza de‘ propri diritti, […] Non mancarono provocazioni, eccita- menti, suggestioni, concitati terrori per rompere la dignità impassibile del suo contegno. Ma Egli sprezzò le une, fu sordo agli altri e, inaudito esempio di temperanza e di senno civile […] Primo in Italia avrà proclamato un principio ne avrà cercato l‘applicazione. Questo principio è santo, è l‘elemento vitale delle Società moderne, è il solo che possa chiudere l‘era delle rivoluzioni. In faccia alla libera, solenne espressione del suffragio universale tutte le opinioni, tutti i pareri si tacciono.

Nei vari proclami del mese di gennaio, l‘apprezzamento per la soluzione pacifica della crisi, adottata nello Stato, si lega strettamente all‘esaltazione del suffragio universale come ―principio santo‖, che diventa un tutt‘uno con il principio della sovranità popolare. Nella retorica di Armellini, quest‘idea del voto come alternativa alla guerra civile emer- ge come un concetto cardine, proposto in diverse occasioni; oltre al già citato discorso del 26 dicembre 1848 alla Camera dei deputati13, l‘idea ricompare nell‘intervento del 5 febbraio, davanti ai deputati della neo-eletta Assemblea Costituente romana. Come in questo passo del lungo discorso:

La sovranità, che professiamo e riconosciamo sempre esistente nel popolo per diritto, partito il Sovrano, vi esisteva anche di fatto. Fu dunque ad esso che conveniva ricorrere

12 G. L. Fruci, Il «suffragio nazionale» … cit., pp. 615-616.

13 Come abbiamo già visto, nel famoso discorso tenuto alla Camera dei deputati, Armellini insiste nel

contrapporre la possibilità di una Costituente romana a quella di uno sviluppo rivoluzionario violento del- la difficile situazione dello Stato.

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ed appellarsi per uscire dal bivio terribile fra la sommissione alla tirannide e gli orrori minacciosi dell‘anarchia.14

Più avanti, nel corso dello stesso intervento, Armellini descrive la situazione nello Stato dopo la fuga del papa, sottolineando lo stato di calma e ordine che il governo provviso- rio è riuscito a mantenere: «Fu obbedito ai nostri ordini, furono eseguite le nostre leggi, fu conservata per tutto una tranquillità ammirabile […]»15

.

Anche in occasione di altri discorsi tenuti in seno all‘Assemblea, così come in vari ma- nifesti e proclami redatti dai deputati, troviamo espressioni di lode nei confronti del ―popolo romano‖, di cui si esaltano le capacità civiche dimostrate nel condurre una vera e propria rivoluzione con la sola arma dell‘elezione a suffragio universale e senza ricor- rere ad azioni violente. Si tratta spesso di occasioni per proporre resoconti dei fatti del 1848, in cui si cerca di far emergere la necessità dello sviluppo in senso repubblicano di quegli eventi. Le ricostruzioni proposte dai deputati romani da un lato mostrano l‘ansia di riconoscimento della Repubblica da parte delle potenze europee e degli altri Stati ita- liani, con un velato tono giustificatorio per quanto riguarda la questione papale, e dall‘altro rappresentano una rielaborazione dei fatti, che cerca di dare un‘aura di assolu- ta legittimità all‘operazione condotta negli ultimi mesi del ‘48 e nei primi del ‘49. Alcu- ni momenti e aspetti di quei mesi vengono quindi evidenziati con maggior insistenza; particolare risalto viene, ad esempio, dato all‘atteggiamento ambiguo del papa e alla sua fuga, così come si insiste anche sull‘appoggio della popolazione alla Repubblica e sulla legittimazione ottenuta dal nuovo governo attraverso il suffragio universale. Mentre nessun riferimento viene fatto, ad esempio, all‘uccisione di Pellegrino Rossi.

Se torniamo al discorso di Armellini del 5 febbraio possiamo vedere in azione i mecca- nismi fondamentali di questo tipo di rivisitazione degli eventi del ‘48. Innanzitutto tro- viamo l‘attacco alla politica del governo papale, dopo l‘allocuzione del 26 aprile 1848 fino alla fuga di Pio IX, un periodo che viene definito da Armellini come «una lotta continua dei due principi, del costituzionale, che il Principe aveva abbracciato con poca convinzione e con minor conoscenza, e del teocratico […]»16

. Un secondo elemento che emerge è quello della centralità attribuita alla volontà popolare nel processo che porta alla proclamazione delle elezioni per la Costituente romana, afferma infatti Armellini:

14 Le Assemblee del Risorgimento … cit., vol. III, p. 16. 15 Ivi, p. 17.

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Il popolo […] divorando il cammino colla istintiva perspicacia delle moltitudini, aveva sentito il bisogno di un ordinamento fondato sopra basi più stabili delle precedenti, a- veva trovato nella coscienza di sé medesimo l‘unico principio a ciò capace, l‘aveva tradotto in una parola, che tosto s‘incarnava nella pratica – la Costituente Romana.17

L‘affermarsi del principio della sovranità popolare viene presentata come una scoperta del popolo, che in questo passo emerge come realtà personificata, in grado di riflettere sul problema del fondamento da cui si origina il potere.

Un terzo elemento che troviamo nella ricostruzione di Armellini è la descrizione del suffragio universale come conseguenza logica e naturale del principio di sovranità po- polare, e come unico possibile modo di indagare la volontà popolare:

Presentammo in conseguenza al Consiglio dei deputati la proposizione di convocare una Assemblea a suffragio diretto ed universale, conforme al principio della pura de- mocrazia che è la religione politica dell‘Europa attuale, principio di giustizia per quanti credono nel dogma della uguaglianza, e, nello stato attuale, per noi diventa una logica necessità, quando si doveva interrogare la sovranità popolare.18

È interessante notare anche, in questo passo, l‘uso di alcuni termini del lessico religioso, che conferisce un tono sacrale al processo di affermazione della sovranità popolare e del suffragio universale. La spiegazione della svolta democratica si svolge qui su due piani: da un punto di vista pratico essa assume l‘aspetto di una scelta razionale, originata da una necessità oggettiva, quella di conoscere la volontà popolare, da un punto di vista i- deologico, invece, rispecchia un sentire, comune all‘intera Europa, che ha il carattere di una verità religiosa. Un ulteriore momento di esaltazione del suffragio universale, all‘interno del discorso è quello in cui Armellini, rivolgendosi direttamente ai deputati della Costituente, afferma: «voi [rappresentanti] siete il risultato di questa intrapresa singolare dell‘elezione a suffragio diretto ed universale, di cui fu dato in Italia il primo esempio da noi […], che sarà fecondo di immense conseguenze, e formerà l‘epoca più gloriosa della nostra storia, quella della nostra nazionalità e indipendenza»19. Il suffra- gio universale diventa quindi evento inaugurale di una nuova epoca, nella quale troverà infine realizzazione anche il processo di unificazione politica dell‘Italia. Entrambi gli eventi, l‘affermarsi del suffragio universale e il compimento dell‘unificazione italiana,

17 Ivi, p. 16. 18 Ivi, pp. 16-17. 19

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sono collocati in quella dimensione futura caratterizzata positivamente come epoca di progresso, una visione temporale di cui abbiamo già parlato nel capitolo precedente. Un altro esempio di riesame degli eventi precedenti alla nascita della Repubblica è il proclama a Tutti i popoli, redatto da Agostini e presentato in Assemblea il 2 marzo. L‘intento che l‘Assemblea si prefigge nel realizzare questo proclama è quello di spiega- re la situazione romana ai ―popoli‖ d‘Europa e difendere l‘operato dell‘Assemblea dalle accuse che ne mettono in dubbio la legittimità. In esso ritroviamo una ricostruzione molto sintetica degli eventi accaduti dopo l‘allocuzione papale del 26 aprile, e attraverso di essa è possibile scorgere una contrapposizione netta tra le scelte di Pio IX, considera- te possibile causa di degenerazioni violente, e la capacità dei cittadini dello Stato e del Governo provvisorio di mantenere la calma e giungere ad una soluzione pacifica della crisi:

[…] un sistema di reazione fu la risposta che venne dal Papato. Cadde la reazione. Il Papato dapprima dissimulò: vide la pace del popolo, e fuggì. E nel fuggire portò seco la certezza di destare la guerra civile; violò la Costituzione politica; ci lasciò senza Go- verno; respinse i messaggi del popolo; fomentò le discordie; stette in braccio del più fe- roce nemico d‘Italia, e scomunicò il popolo! […] Provocati e abbandonati a noi stessi, abbiamo compiuto la rivoluzione senza versare una stilla di sangue; abbiamo riedifica- to senza che appena si sentisse lo strepito della distruzione»20.

Al proclama si decide di annettere una nota, la Circolare ai popoli d’Europa, che ha la funzione di spiegare alle potenze europee, in maniera più precisa, i fatti del 1848. Il te- sto, redatto dal ministro degli esteri Rusconi21 e letto in aula il 3 marzo, parte dall‘allocuzione del 29 aprile, che è presentata come causa sia della spaccatura all‘interno del fronte di lotta per l‘indipendenza nazionale, sia dell‘attrito creatosi, all‘interno dello Stato romano, tra il «Principato» e il «paese», sia infine della vittoria austriaca nel Lombardo-Veneto.

La crisi politica nello Stato pontificio, e i sommovimenti di novembre si legano stretta- mente, in questa ricostruzione dei fatti, alla svolta antinazionale della politica papale:

20 Ivi, p. 491.

21 Carlo Rusconi (1819-1889), è scrittore bolognese. Sul fronte politico si distingue proprio in occasione

della Repubblica romana, a cui partecipa sia come deputato che come ministro. Dopo il ritorno di Pio IX si rifugia in Inghilterra, tornando in Italia dopo l‘unificazione. Sull‘esperienza repubblicana romana scri- verà un‘importante testo (La Repubblica romana del 1850) che ne ricostruisce gli eventi e le dinamiche interne.

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Il novembre giunse e lo sdegno sì a lungo compresso traboccò; il popolo insorse e chie- se ragione del sangue che per l‘indipendenza d‘Italia avea sparso, degli stenti che per quella indipendenza avea patiti, dell‘avvenire che un‘insana parola gli avea chiuso din- nanzi. I falsi consigli acciecarono il Principe che in quel moto generoso di un popolo non vide che l‘irruenza di pochi faziosi; e alle moltitudini che gridavano Italia e Indi- pendenza, Pio IX rispose fuggendo nel regno di Napoli.22

In questo passo risultano di interesse soprattutto due elementi: innanzitutto che non si faccia alcuna esplicita o implicita menzione dell‘omicidio Rossi; in secondo luogo la descrizione della protesta contro la politica papale, presentata come un movimento che coinvolge l‘intero popolo e non una sua parte (una fazione) come viene sostenuto dal papa. L‘importanza di scagionare il movimento repubblicano dall‘accusa di faziosità emerge qui, come anche in molte altre circostanze, come una preoccupazione fonda- mentale dei protagonisti della Repubblica romana. Ritroviamo quindi ancora una volta quella preoccupazione di affermare il carattere universale dell‘adesione alla svolta re- pubblicana. Il popolo assume, inoltre, l‘aspetto di una realtà monolitica, capace di agire in maniera unanime per risolvere il problema del vuoto di potere generato dalla fuga del papa, come emerge anche da quest‘altra frase:

Il paese, scorgendosi a sé abbandonato, nominava una Giunta di Stato, per impedire un dissolvimento totale, per allontanare un‘anarchia che diveniva inevitabile: la quale, non avendo intero battesimo di legittimità agli occhi del popolo, convocava la Costituente che sola poteva supplire alla deficienza degli ordini mancati.23

Un altro eloquente passo della nota di Rusconi si sofferma proprio sulla scelta della Co- stituente di dichiarare la decadenza del potere temporale del papa:

La Costituente si inaugurò […] Emanazione del popolo, del suffragio universale, la Costituente pesò le condizioni d‘Italia, sviscerò l‘essenza del Papato, […] e dichiarò decaduto il Papato. La Repubblica emerse da quelle ruine, pura, incruenta, degna d‘un popolo che con tanto ordine, che con tanta dignità si era comportato. La Repubblica fu bandita, come lo stato che più si conveniva alle virtù di cui queste moltitudini si erano