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Vincolo elettorale e opinione pubblica

3. La democrazia rappresentativa

3.3. La visione mitica dei rappresentant

3.3.2. Vincolo elettorale e opinione pubblica

Quando si parla dell‘idea di rappresentanza e del modo di concepire il rapporto tra rap- presentanti e rappresentati, bisogna necessariamente prendere in considerazione anche il problema del vincolo elettorale e del cosiddetto mandato imperativo.

Per affrontare queste tematiche si è pensato di partire dalla definizione di rappresentan- za offerta da Ciaurro e Nocilla alla voce Rappresentanza politica, nell‘Enciclopedia del diritto. Il fulcro della loro analisi consiste nell‘individuazione di due modi diversi di in- tendere il concetto di rappresentanza: da un lato troviamo una visione che dà maggior peso alla ―situazione del rappresentare‖; mentre dall‘altro lato abbiamo una visione che attribuisce importanza al rapporto tra rappresentante e rappresentato. Parlando della prima possibilità i due autori spiegano: «Le teorie che risolvono la rappresentanza in una situazione presuppongono, in definitiva, che esistano interessi comuni, obiettiva- mente determinabili, del popolo (o della nazione) e che tali interessi trascendano quelli dei cittadini, o dei gruppi sociali, sicché esisterebbe una volontà popolare ipotetica diret- ta al perseguimento di tali interessi, differenziantesi perciò stesso dalla empirica, episo- dica volontà popolare […] Il rappresentante sarebbe colui cui è affidata la cura di quegli interessi e che esprime quella volontà popolare ipotetica […]»136

. Ciaurro e Nocilla in- dividuano tre «filoni ideologici», che esprimono questa concezione della rappresentan-

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D. Nocilla e L. Ciaurro, Rappresentanza politica, in Enciclopedia del diritto, Giuffrè editore, Milano, 1987, vol. XXXVIII, pp. 556-557.

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za; di un certo interesse risulta, nel nostro caso, il primo di questi filoni, quello liberale, che viene descritto in questi termini: «Il filone liberale, nel tentativo di fare salva la ne- cessaria scelta elettiva dei rappresentanti, riduce il popolo (o, meglio, la nazione) ad una identità astratta, incapace di volere in proprio e di esercitare la sovranità se non per de- lega […]»137

. A conclusione della descrizione delle ideologie che nascono da un‘idea di rappresentanza di questo tipo, i due autori affermano: «Resta, però, il fatto che tutte le tesi, per le quali la rappresentanza si definisce come una situazione di potere del rappre- sentante, spostano verso quest‘ultimo la sovranità, nel senso di attribuirgliene l‘esercizio in modo completo e definitivo, restandone tutt‘al più al rappresentato l‘astratta titolarità, e sono perciò incompatibili col principio della sovranità popolare, proprio perché la volontà popolare è ipotetica e l‘interesse pubblico, che quest‘ultima persegue, altro non sarebbe che la volontà dello stesso rappresentante e l‘interesse pub- blico così come da quest‘ultimo interpretato.»138

. In opposizione a questa idea troviamo, come si è detto, una visione che concepisce la rappresentanza come rapporto, negando l‘esistenza di un interesse generale superiore e preferendo parlare di interessi particolari e contingenti. Trovare una mediazione tra questi ultimi è quindi il fine dell‘attività poli- tica. In questo caso si immagina che il rapporto tra elettori ed eletti sia regolato da un vincolo, che impone ai secondi di farsi carico della difesa degli interessi particolari dei primi.

Volendo applicare lo schema proposto da Nocilla e Ciaurro all‘idea di rappresentanza dei costituenti romani, quest‘ultima sembrerebbe iscriversi nel filone liberale e in gene- rale in quell‘area di pensiero che concepisce la rappresentanza come situazione a se stante, piuttosto che in funzione della relazione tra le due parti in causa, ossia il rappre- sentante e il rappresentato. Tuttavia inserendo i costituenti nel filone liberale si rischia di ridimensionare in maniera eccessiva l‘adesione dei deputati romani al principio della sovranità popolare. Bisogna allora capire come risolvere questa apparente contraddizio- ne tra una concezione che da un lato vede il rappresentante come il curatore di un inte- resse generale svincolato dagli interessi particolari degli elettori, e dall‘altro riconosce una posizione di centralità al popolo, a cui viene di continuo attribuito il titolo di sovra- no.

Si tratta di una contraddizione notata anche da Nocilla, nella sua analisi delle idee di so- vranità e rappresentanza emerse nell‘ambito della Repubblica romana, e a cui lo studio-

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Ivi p. 557.

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so dà una precisa spiegazione: «Nessuno si preoccupò di chiarire se l'Assemblea eletti- va fosse destinata a divenire il vero sovrano […] e, quindi, ad essere il vero interprete di un interesse generale trascendente gli interessi particolari […] Qua e là si riconosceva, nel corso della discussione, che i deputati dovevano guardare solo all'interesse generale, senza doversi far carico di istanze particolaristiche, ma nello stesso tempo l'occhio dei costituenti si volgeva continuamente al popolo, alla sua approvazione, ai suoi sentimenti, al reale contenuto della pubblica opinione. La chiave di lettura di queste contraddizioni sta forse in una particolare idea di ―popolo‖, che essi avevano […] Onde, popolo e na- zione […] finiscono quasi per identificarsi, per cui i rappresentanti del popolo, come li qualifica l'art. 16, sono rappresentanti non di concreti soggetti […] ma rappresentanti di una entità astratta, in quanto tali svincolati da specifici mandati, curatori di un ipotetico interesse generale, […]».139

È indubbio che sia proprio questo particolare modo di concepire la figura del ―popolo‖ a spiegare come mai in un contesto di diffusa attenzione per i concetti di sovranità e vo- lontà popolare si finisca per considerare il rappresentante come il curatore di un interes- se generale, che trascende le situazioni contingenti. Tuttavia bisogna ampliare questa spiegazione; è, infatti, possibile riconoscere nella visione dei deputati romani non tanto una tendenza a considerare il ―popolo‖ come una realtà astratta, ma piuttosto una ten- denza a identificare ciò che Ciaurro e Nocilla chiamano «volontà popolare ipotetica» con la volontà popolare concreta e contingente. È possibile, infatti, riscontrare una certa insistenza retorica, da parte dei deputati romani, sull‘idea che la concreta volontà del popolo coincida con quel bene generale e collettivo che i rappresentanti della nazione devono assicurare, attraverso un‘attività che guarda all‘insieme piuttosto che al partico- lare. Questa coincidenza tra volontà popolare ipotetica e volontà popolare concreta ha per base due idee: da un lato quella secondo cui la società dello Stato romano non cono- sce divisioni interne; e dall‘altro lato quella che riconosce come obbiettivo centrale della forma di governo repubblicana la ricerca di un‘integrazione tra le diverse parti della so- cietà, finalizzata al perseguimento del bene comune in una dimensione di collaborazione e concordia, sia sociale che politica.

Del resto Ciaurro e Nocilla evidenziano come le teorie che si focalizzano sul rapporto tra rappresentante e rappresentato, entrano in contraddizione con gli attributi di unità e

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D. Nocilla, Sovranità popolare e rappresentanza negli interventi di Aurelio Saliceti … cit., pp. 238- 239.

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indivisibilità tradizionalmente legati al concetto di sovranità140. Si tratta di un particola- re da tenere in considerazione analizzando l‘elaborazione teorica proposta dai costituen- ti romani su questi argomenti, dal momento che, come si è visto, l‘idea che la sovranità debba considerarsi unica e indivisibile permea il dibattito costituzionale e ha delle con- seguenza importanti anche sull‘idea di delega, come dimostrano le discussioni sul tribu- nato e sull‘elezione dell‘esecutivo.

Se è dunque possibile affermare che la Repubblica romana si configura come un caso di democrazia rappresentativa che esclude l‘idea di mandato imperativo, con un conse- guente spostamento dell‘asse di potere verso il rappresentante, bisogna comunque con- siderare che i deputati romani riconoscono al principio della sovranità popolare una po- sizione centrale nella loro costruzione ideologica dei concetti di sovranità e rappresen- tanza.

Andando poi a guardare nel dettaglio in che modo, in alcune circostanze, i deputati ro- mani utilizzano l‘espressione ―mandato popolare‖ è possibile trovare nuovi interessanti spunti di analisi. Bisogna innanzitutto precisare che se anche nei discorsi all‘interno dell‘Assemblea si trovano riferimenti all‘obbligo dei rappresentanti di rispettare la vo- lontà popolare, è pure vero che, nell‘idea dei deputati romani, tale volontà si è già mani- festata nell‘atto elettorale, secondo una visione che attribuisce alla scelta dei rappresen- tanti un significato tale da esprimere già in sé stessa dei precisi valori politici. Come si è visto analizzando l‘attività preelettorale di circoli e comitati, la scelta dei candidati si le- ga all‘adesione, da parte di questi ultimi, agli ideali espressi nelle ―professioni di fede‖, che si configurano in tal senso come dei veri e propri manifesti elettorali vincolanti. Da ciò deriva l‘idea che i rappresentanti scelti dal popolo conoscano perfettamente la volontà popolare, la quale anzi viene a coincidere perfettamente con quella dei rappre- sentanti stessi.

Di conseguenza in quelle circostanze in cui i deputati parlano di mandato popolare e dell‘obbligo dei rappresentanti di rispettarlo, si riferiscono a un mandato che la popola- zione avrebbe collettivamente e unitariamente affidato a tutta l‘Assemblea. Nella sedu- ta dell‘8 febbraio ad esempio, alcuni deputati, come si è già evidenziato, usano il termi- ne ―mandato‖ riferendosi alla volontà che gli elettori avrebbero manifestato attraverso la semplice partecipazione alle elezioni per la Costituente. La decisione di eleggere dei rappresentanti, incaricati di riscrivere il testo costituzionale, viene infatti interpretata da

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alcuni, tra cui Savini e Vinciguerra, come una manifestazione di adesione alla soluzione repubblicana; Audinot, invece, si appella all‘idea del mandato popolare per avallare la sua teoria che il fine principale dell‘Assemblea debba essere quello di realizzare l‘unificazione nazionale.

Troviamo un altro caso di uso del termine mandato, analogo a quelli citati, nella seduta del 17 febbraio. In questa occasione infatti Politi adopera l‘espressione alla fine del suo discorso a favore del decreto che obbliga gli impiegati pubblici a sottoscrivere una for- mula di adesione alla Repubblica:

Non dubitate pel bene della Repubblica che qualsivoglia cittadino o funzionario dello Stato colla fronte aperta e senza reticenza si dichiari per la Repubblica, si dichiari con atto visibile e non microscopico colla stessa franchezza con cui noi qui abbiamo e- spresso il mandato che il popolo ci affidava. Noi qui non avremmo potuto in quella so- lenne sera dell‘8 rimanerci dubbiosi su quello che dovevamo dichiarare. Sia così dell‘impiegato civile che è il braccio e l‘elemento vitale dello Stato. Prometta alla luce del mondo di amare e di rispettare quest‘unico mezzo di salvamento per la nostra so- spirata nazionalità.141

Anche Politi usa il termine ―mandato‖ facendo riferimento alla decisione presa l‘8 feb- braio e interpretando, come già hanno fatto i suoi colleghi, la partecipazione alle elezio- ni come la manifestazione di una precisa volontà politica, che consiste innanzitutto nel desiderio di realizzare un radicale mutamento istituzionale.

In tutte queste circostanze il riferimento a un mandato del popolo sembra essere princi- palmente un espediente retorico utilizzato dai vari deputati per avallare le proprie posi- zioni. Eppure la necessità di utilizzare questa formula retorica dimostra indirettamente che i deputati romani attribuiscono in effetti una certa importanza alla volontà della po- polazione e alle aspettative che gli elettori hanno riposto nei loro rappresentanti.

Allo stesso tempo bisogna sottolineare che l‘utilizzo del termine, in questi interventi, fa- rebbe pensare all‘esistenza di un mandato unico, che consiste nell‘instaurazione della repubblica, secondo Savini, Vinciguerra e Politi, e nella realizzazione dell‘unificazione nazionale secondo Audinot. Pensando quindi ad un singolo mandato, designato colletti- vamente dalla popolazione, e che esprime l‘interesse generale della società, si esclude la presenza di diversi mandati rispecchianti gli interessi specifici di gruppi sociali o politi- ci particolari. Ciò dimostra, come si è detto prima, che per i deputati romani la volontà

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concreta del popolo coincide con quella volontà popolare ipotetica che guarda all‘interesse collettivo piuttosto che agli interessi personali degli individui o di singoli gruppi.

Parallelamente a ciò è possibile trovare anche casi in cui si afferma esplicitamente l‘indipendenza dei rappresentanti rispetto alla volontà dei cittadini. Possiamo vederne un esempio interessante nella seduta del 4 marzo. Nel corso dell‘interpellazione ai mini- stri del commercio e delle finanze, di cui l‘Assemblea attacca la condotta nell‘esecuzione del decreto sull‘invio di finanziamenti destinati al commercio delle pro- vincie, Arduini arriva a proporre lo stato d‘accusa per i due ministri. La proposta del deputato viene accolta da un applauso nelle tribune, una manifestazione di appoggio del pubblico allo stato d‘accusa che suscita la reazione di Bonaparte. Quest‘ultimo in quali- tà di presidente dell‘Assemblea, ammonisce il pubblico con queste parole: «Io ho ammi- rato finora il tatto squisito e il dignitoso contegno di questo pubblico veramente romano, ai sentimenti italiani, mentre sa all‘occorrenza serbare il necessario silenzio. Lo prego a seguitare a non intromettersi in una discussione in cui l‘onore del Ministeri e il decoro dell‘Assemblea sono interessati. […]».142

E più avanti, di fronte ad una nuova manife- stazione di approvazione per la proposta di Arduini da parte delle tribune, Bonaparte re- clama in maniera esplicita la libertà dei deputati di decidere sulla questione senza essere influenzati dal parere dei cittadini: «Prego di nuovo e caldamente il pubblico a non dare alcun segno di approvazione o disapprovazione. […] Siamo liberi, e vogliamo restar li- beri del nostro voto.»143.

In generale si può dire che all‘interno della Costituente romana domina una grande con- fusione sui concetti di mandato e di vincolo elettorale; confusione derivata sia dall‘assenza di un dibattito su questi aspetti problematici del sistema rappresentativo, sia dalla tendenza a filtrare la realtà attraverso una visione fortemente idealizzata della situazione sociale romana e della reale natura della forma di governo repubblicana. Del resto se la questione del vincolo politico tra elettori ed eletti, e di conseguenza quel- la del mandato imperativo, restano fuori dalle riflessioni dei costituenti romani, vengono comunque reintrodotte nei fatti, secondo Nocilla, attraverso l‘adozione del voto palese: «Certamente, gli interventi non sembrano soffermarsi su un punto fondamentale, che

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cioè la pubblicità del suffragio rafforza il vincolo tra elettori ed eletti, esaltando il rap- porto rappresentativo»144

La questione della frequenza delle elezioni è un altro elemento della discussione sul te- sto costituzionale da cui è possibile dedurre la propensione dei deputati romani a rico- noscere l‘esistenza di un forte legame tra rappresentanti e rappresentati.

L‘idea che l‘elezione a suffragio universale dei deputati crei un legame tra questi ultimi e i cittadini che li hanno scelti, implica la necessità di rinnovare con una certa frequenza l‘Assemblea legislativa, in modo che i suoi membri siano, il più possibile, espressione sincera dei sentimenti e della volontà popolare, un‘idea espressa nel corso del dibattito da Salvatori Braccio. Sulla base di questa concezione nel testo costituzionale si stabili- sce, come abbiamo visto, che la legislatura duri tre anni, piuttosto che quattro come ori- ginariamente proposto dalla seconda commissione. In tal modo i deputati romani dimo- strano di voler tenere costantemente in considerazione il giudizio dell‘opinione pubblica. La questione dell‘opinione pubblica si lega strettamente a quella del vincolo elettorale e del mandato imperativo. Se da un lato, infatti, i deputati romani escludono dal testo co- stituzionale qualsiasi riferimento ad un mandato imperativo, e di fatto la questione viene del tutto ignorata nel corso del dibattito in aula, dall‘altro emerge dalle loro parole la concreta preoccupazione di conoscere e rispettare la volontà popolare.

A prescindere da come i deputati immaginino il rapporto tra rappresentanti e rappresen- tati è un fatto che nella loro attività legislativa l‘attenzione nei confronti dell‘opinione pubblica si manifesta con una certa frequenza. Un‘attenzione che emerge sia dalla pre- occupazione di conoscere il contenuto dell‘opinione pubblica, come si deduce dall‘interesse verso i giudizi riportati sui giornali e verso le petizioni e gli indirizzi dei cittadini all‘Assemblea, sia dalla volontà di concorrere alla divulgazione delle informa- zioni e quindi alla concreta formazione dell‘opinione pubblica.

Le sedute del 3 e 4 marzo, e la delicata discussione sulle interrogazioni dei due ministri Sterbini e Guiccioli (rispettivamente commercio e finanze), offrono da questo punto di vista dei buoni esempi. Per capire la situazione che si viene a creare in queste giornate bisogna risalire indietro nel tempo, fino alla legge votata il 19 febbraio. Quest‘ultima, proposta proprio dal ministero, autorizza la Banca romana a emettere dei biglietti, assi- curati dal governo, a sostegno sia delle spese dello Stato sia dell‘attività commerciale di Roma, Ancona e Bologna. La discussione sul decreto legge è particolarmente accesa,

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vista la difficoltà per molti deputati di accettare che la Banca si arroghi una prerogativa dello Stato, ossia quella di emettere moneta. In queste prime giornate di marzo l‘Assemblea si ritrova però a constatare che l‘esecuzione della legge non è avvenuta nei tempi e nei modi previsti, soprattutto per quanto riguarda l‘invio degli aiuti economici alle provincie.

Nella seduta del 3 marzo, quando si comincia a parlare dell‘interpellazione nei confronti dei due ministri, il deputato Minghini introduce la questione facendo riferimento alle notizie giunte all‘Assemblea per mezzo di una lettera «di una casa primaria di Anco- na»145. Anche il deputato Berretta afferma di aver ricevuto notizie da Ancona sul man- cato arrivo dei sussidi previsti, mentre Carpi parla di una situazione analoga sul fronte bolognese, di cui ha avuto notizia tramite «una istanza […] firmata da 66 manifatturieri, negozianti, ecc. […]»146

.

La vicenda che ruota intorno a questa interpellazione assume una certa rilevanza, con- cludendosi addirittura con le dimissioni del ministro Guiccioli e con un rimpasto mini- steriale; risulta perciò interessante notare come l‘interesse dell‘Assemblea verso il pro- blema dei finanziamenti alle provincie sia stato risvegliato proprio dagli appelli prove- nienti dai cittadini. L‘episodio mostra infatti un‘attitudine, da parte dei deputati romani, ad ascoltare e ad attribuire importanza alle istanze che provengono dalla popolazione. Un‘attitudine del resto confermata dalla pratica ricorrente di dare lettura, all‘inizio delle sedute, delle petizioni provenienti dai cittadini, così come dal riconoscimento a livello costituzionale del diritto di petizione, sancito nell‘articolo 10.

Un altro aspetto del modo in cui l‘Assemblea si relazione all‘opinione pubblica emerge nella seduta del 4 marzo, quando comincia l‘interpellazione e Sterbini chiede che sia re- vocata la richiesta di procedere in comitato segreto: «Le interpellazioni, le accuse  af- ferma il ministro  sono state fatte in pubblico, è giusto, è di diritto, che qualunque ac- cusato o interpellato in pubblico, in pubblico risponda e si difenda. […]»147. Sterbini re- clama il diritto di esprimere pubblicamente la propria difesa, dal momento che in pub- blico sono stati espressi i dubbi sulla sua condotta. Sterbini accentua consapevolmente la gravità dell‘interpellazione paragonandola ad una vera e propria accusa, invocando quindi il diritto a scagionarsi pubblicamente. La proposta viene accettata dagli stessi de- putati che hanno proposto lo stato d‘accusa, in particolare da Andreini, che si dice asso-

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Assemblee del Risorgimento ... cit., vol. III, p. 514.

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Ivi, p. 515.

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lutamente disposto a ritirare la proposta riconoscendo quindi la legittimità della richiesta del ministro. Già da questo primo problema formale emerge un interesse diffuso nei confronti del contenuto dell‘opinione popolare. Nella stessa ottica possiamo interpretare un passaggio dell‘intervento di Audinot all‘interno della stessa seduta; sostenendo la te- si che i due ministri non debbano essere messi in stato d‘accusa, ma che sia comunque dovere dell‘Assemblea pronunciare una dichiarazione con cui si constati la mancata e- secuzione della legge, il deputato argomenta:

[…] Però l‘Assemblea, disapprovando, riconosca che se gravissimo danno non è avve- nuto, pure rimane un fatto gravissimo, cioè quello della inesecuzione della legge, e del- la mancanza d‘adempimento d‘una promessa fatta dall‘Assemblea ai popoli governati. Da ciò consegue […] senza confondere una omissione colla frode, io credo che sia do- vere di quest‘Assemblea di mostrare con un ordine del giorno motivato che disapprova la negligenza dei ministri che hanno mancato al loro dovere.148