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della fattispecie permanente al reato abituale

Del resto, a nostro avviso, soltanto il riconoscimento del fatto che l’abitualità è permanenza pura e semplice, permette di risolvere la delicata questione dell’individuazione della disciplina dei reati abituali, che, salvo il fugace accenno contenuto nel novello art. 131 bis c.p. 207, non sono men-

205 Così, ad es., G.MARINUCCI,E.DOLCINI,G.L.GATTA, Manuale, cit., 268.

206 Sui criteri che, a nostro avviso, consentono di sciogliere l’alternativa tra unità e plura-

lità di reati, v. infra, cap. V, §§ 35.2 ss.

207 Nel terzo periodo del comma terzo dell’art. 131 bis c.p., si fa, in effetti, menzione

espressa della categoria dei «reati che abbiano ad oggetto condotte [...] abituali» al fine di escluderla dal novero dei reati in relazione ai quali può pronunciarsi il proscioglimento in ragione della tenuità del fatto. Come abbiamo visto (v. supra, §1, nota 3), si propende, in giu- risprudenza e in dottrina, per l’interpretazione secondo la quale con tale espressione il legi- slatore avrebbe inteso riferirsi proprio ai reati abituali. La norma in esame suscita in ogni caso forti sospetti di incostituzionalità, poiché accomuna una serie di casi del tutto eteroge- nei; si sottopone, infatti, alla stessa disciplina di sfavore, da un lato, una serie di casi descritti sulla base della Tätertypologie (il «caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abitua- le, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità»: primo e secondo pe- riodo del terzo comma dell’art. 131 bis c.p.) e, dall’altro, ipotesi caratterizzate da dati oggetti- vi (il «caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reitera- te»), dalle quali sembrerebbero trarsi presunzioni di pericolosità del tutto inaccettabili (in senso critico anche: A.FERRATO, Particolare tenuità del fatto, in G.COCCO,E.AMBROSETTI (a cura di), Trattato breve di diritto penale. Parte generale. II. Punibilità e pene2, Padova, 2018,

zionati dalla legge, eppure sono caratterizzati da una disciplina derogato- ria, spesso sfavorevole rispetto a quella applicabile alle fattispecie istanta- nee, la cui esatta individuazione e giustificazione rappresentano, secondo chi scrive, problemi ancora non risolti 208.

Siano sufficienti, a riguardo, alcune succinte notazioni.

Per quanto concerne la prescrizione, si ritiene generalmente che questa cominci a decorrere dall’ultima condotta reiterata posta in essere dall’agente dopo la consumazione del reato, applicandosi, in definitiva, la stessa regola stabilita per le fattispecie permanenti 209.

La tesi è accolta da tutta la manualistica che, tuttavia, si guarda bene dallo spiegare come questa soluzione si giustifichi, posto che il primo pe- riodo dell’art. 158 co. 1 c.p. afferma che «il termine della prescrizione de- corre, per il reato consumato, dal giorno della consumazione» – ovvero, per il reato necessariamente abituale, dal momento della realizzazione del- la serie minima e, per il reato eventualmente abituale, dal momento della posizione in essere della prima condotta tipica – e non certo “dal giorno in cui è cessata l’abitualità”.

Questa «rimozione» collettiva «del problema» 210, peraltro, è del tutto

comprensibile, posto che per nulla persuasivi ci appaiono gli argomenti spesi per difendere l’estensione di una regola inequivocabilmente dettata per la sola permanenza, dal carattere evidentemente «sfavorevole» 211 per

il reo, ai reati abituali, che si spiegherebbe «non [...] per una (inammissi- bile) analogia (in malam partem)», bensì come «attuazione del principio generale che il codice sembra aver enunciato per tutti i reati di durata e, dunque, anche per i reati abituali» 212 o, addirittura, sulla base di una vera

e propria «applicazione analogica dell’art. 158, comma 1, ultima parte, al reato abituale» 213, ammissibile perché avente ad oggetto non «l’applica-

zione [...] di una norma incriminatrice, ma di una norma contenente la disciplina relativa all’incriminazione, il trattamento penale del fatto già qualificato come illecito» 214.

Argomenti, questi ultimi, che, a tacer d’altro, finiscono per sovvertire le

147; S.CANESTRARI,L.CORNACCHIA,G.DE SIMONE, Manuale, cit., 735). Preferibile, pertanto, la tesi, seppur isolata in giurisprudenza, secondo cui sarebbe «aperta la [...] possibilità, in caso di “reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate”, di applicare l’art. 131 bis cit., all’esito di una valutazione di particolare tenuità delle singole condotte o dei singoli fatti» (così Cass., Sez. III, 5 maggio 2017, n. 38849, Alonzo, cit.).

208 Sul punto, v. supra, cap. I, §§ 2.1 ss. 209 V. in particolare supra, cap. I, § 2.2.2. 210 Così, D.BRUNELLI, Il reato, cit., 67. 211 M.PETRONE, Reato, cit., 76. 212 M.PETRONE, op. loc. cit. 213 D.BRUNELLI, Il reato, cit., 73. 214 D.BRUNELLI, Il reato, cit., 68.

regole di ermeneutica giuridica consacrate nelle disposizioni sulla legge in generale, sol che si consideri che l’art. 14 disp. prel. c.c., ove si afferma chiaramente che «le leggi [...] che fanno eccezione a regole generali o ad al- tre leggi non si applicano oltre i casi e tempi in esse considerati», pone un evidente sbarramento all’estensione di una regola evidentemente derogato- ria ed eccezionale 215, qual è quella dettata per la permanenza, alle situa-

zioni in essa non espressamente previste.

In questo caso, insomma, non può nemmeno farsi questione di appli- cazione di asseriti principi generali delle fattispecie di durata o di inter- pretazione analogica – la quale, a nostro avviso, sarebbe comunque vietata perché in malam partem 216 – proprio perché la regola che si vuole estende-

re ha carattere eccezionale rispetto all’unico principio generale sancito dall’art. 158 co. 1 c.p., che è quello che individua il momento dal quale de- corre la prescrizione nel «giorno della consumazione»; e, cioè, dal giorno in cui per la prima volta sono stati realizzati tutti gli elementi della norma incriminatrice 217.

215 Contra, afferma che la regola posta dall’art. 158 co. 1 c.p. per le fattispecie perma-

nenti non avrebbe «efficacia costitutiva [...] limitandosi la disposizione medesima ad esplicitare che nei casi in cui condotta e lesione si protraggono nel tempo [...] è alla loro cessazione che deve ricollegarsi la decorrenza del periodo di tempo oltre il quale lo Sta- to non ha più interesse alla repressione del fatto» (R.RAMPIONI, Contributo, cit., 72-73). L’A. in parola, però, distingue, con riferimento al reato permanente, tra «perfezione» o «realizzazione» del reato – corrispondente al momento comunemente denominato “con- sumazione” – e il momento successivo della «consumazione» o «esaurimento» del reato (R.RAMPIONI, Contributo, cit., 106), che corrisponde, nell’idea dell’A. al momento della cessazione della permanenza (R.RAMPIONI, Contributo, cit., 20 e 73). È perfettamente comprensibile, allora, che l’A. non scorga la natura derogatoria della regola dettata dall’art. 158 co. 1 c.p. per i reati permanenti. Sui differenti usi linguistici impiegati per indicare il momento della Vollendung, v. supra, cap. I, § 1, note 3 e 4. Per una critica del- la distinzione tra il momento di perfezione e consumazione del reato v. invece infra, cap. IV, §§ 14 ss. Nega la natura eccezionale della norma in esame anche D.BRUNELLI, Il rea- to, cit., 73, che afferma che in entrambi i casi la norma «sceglie pur sempre [...] un mo- mento del fatto e non un momento del postfatto». Riesce, però, facile replicare che la natura eccezionale della norma non si manifesta in relazione all’appartenenza al fatto o al postfatto del dies a quo, quando nell’individuazione nel tempo di tale momento, posto che nulla avrebbe vietato al legislatore di far decorrere la prescrizione, nelle fattispecie permanenti, dal momento della consumazione, come nei reati realizzati in forma istan- tanea e, invece, non l’ha fatto, ponendo appunto una regola derogatoria. Sul punto, v. anche supra, cap. I, § 2.2.2.

216 Sul divieto di analogia in malam partem, per tutti., v. G.MARINUCCI,E. DOLCINI,

Corso, cit., 167 ss.

217 Sul punto v. supra, cap. I, § 2.2.2. Contra, gli Autori che affermano che con il termine

«consumazione» il legislatore nell’art. 158 c.p. abbia inteso invece riferirsi al momento in cui «il reato [...] ha raggiunto la massima gravità concreta» (F.MANTOVANI, Diritto, cit., 425-426) o al momento in cui «in cui la offesa tipica raggiunge, nella situazione concreta, la maggiore gravità» (A. PAGLIARO, Il reato, cit., 332 e 334) o, ancora, al momento in cui «l’offesa si sia esaurita» (G.DE FRANCESCO, Diritto, cit., 2, 82). Per una critica a questa tesi, v. infra, cap. IV, § 14 ss.

Ancora maggiore perplessità desta, poi, l’affermazione per la quale la regola generale posta dal primo periodo dell’art. 158 co. 1 c.p. tornerebbe a trovare applicazione rispetto al «reato necessariamente abituale impro- prio» e al «reato eventualmente abituale», nei quali, «data la rilevanza pe- nale dei singoli episodi», la prescrizione dovrebbe «decorrere da ciascuno di essi» 218.

Innanzitutto, per quanto riguarda il reato necessariamente abituale improprio, non si capisce come la rilevanza penale delle singole condotte costitutive del reato ai sensi di una diversa norma incriminatrice possa ri- levare al fine di individuare il dies a quo della prescrizione di un reato previsto da un’altra norma incriminatrice.

Ma, soprattutto, se anche un simile argomento fosse accettabile, non si capirebbe perché la prescrizione non potrebbe decorrere in maniera par- cellizzata anche nei reati necessariamente abituali propri, quando, nel caso concreto, le singole condotte che protraggono la fattispecie realizzano an- che un’altra norma incriminatrice.

Basti pensare, ad es., ad un delitto di maltrattamenti (art. 572 c.p.), com- messo mediante condotte che costituiscono anche plurimi reati di lesione personale (art. 582 c.p.). In cosa differirebbe un caso siffatto da un’ipotetica fattispecie riconducibile al reato “abituale improprio” di relazione incestuosa (art. 564 co. 2 c.p.), i cui singoli episodi sono penalmente rilevanti anche ai sensi della diversa norma incriminatrice dell’incesto (art. 564 co. 1 c.p.)? 219

Più in generale, infine, occorre rilevare come, ancora una volta, si con- fonda la fase preconsumativa con la fase postconsumativa del reato. Dopo la consumazione del reato, tutti i successivi fatti storici che protraggono la fattispecie devono costituire una nuova violazione della norma incrimina- trice; pertanto, al contrario di quanto si afferma, tali fatti sono sempre pe- nalmente rilevanti, anche nei reati necessariamente abituali propri. Dal punto di vista postconsumativo non c’è alcuna differenza tra le varie cate- gorie di reato abituale e, dunque, non vi è alcuno spazio per una discipli- na della prescrizione differenziata.

Ed è appena il caso di notare che, se più semplicemente si riconoscesse che tutti i casi di protrazione del tempo di un Sachverhalt sono, in realtà, fattispecie permanenti, il problema dell’individuazione del momento dal quale decorre la prescrizione sarebbe agevolmente risolto nel pieno rispet- to del principio di legalità.

Sempre a titolo di esempio, si pensi alla disciplina della competenza per territorio, e alle difficoltà che si sono presentate con riferimento all’indivi- duazione del locus commissi delicti dei reati abituali, che è stato di volta in volta radicato nel luogo di commissione dell’ultima condotta reiterata,

218 M.PETRONE, Reato, cit., 75.

219 Sulla completa superfluità della categoria del reato necessariamente abituale impro-

nel luogo della consumazione, nel luogo in cui l’offesa tipica raggiunge, nel- la situazione concreta, la maggior gravità o, ancora, nel luogo in cui la con- dotta viene consumata all’atto di presentazione della denuncia 220, argomen-

tando spesso in via apodittica, e che potrebbe invece essere agevolmente fissato, se si accogliesse la tesi qui perorata, nel luogo dove si è verificata la consumazione del reato, in applicazione del criterio dettato dal terzo comma dell’art. 8 del codice di procedura penale.

E lo stesso dovrebbe valere, a nostro avviso, per tutti gli altri aspetti controversi della disciplina sostanziale e processuale del reato c.d. abitua- le, al quale dovrebbe semplicemente applicarsi la disciplina prevista per le fattispecie permanenti 221.

16. Ulteriori prospettive di indagine: esistono altre fattispecie di dura-