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Ciò chiarito, è ora possibile analizzare quella che, a nostro avviso, nel- l’impostazione di Petrone e Cocco, risulta essere la vera nota caratteristica dei reati abituali, e cioè la loro suscettibilità a protrarsi nel tempo dopo il momento consumativo.

In tal modo, come abbiamo anticipato, la definizione del reato abituale viene ampliata considerevolmente: il reato abituale non è più (soltanto) il reato che richiede la commissione di una pluralità di condotte per la sua consumazione, bensì un reato che si può protrarre nel tempo dopo il mo- mento consumativo e che, perciò, rientra nel più ampio genus dei reati di durata.

Questa seconda definizione contrappone il reato abituale principal- mente al reato istantaneo, in cui «il momento perfezionativo si verifica [...] e nello stesso punto il reato si esaurisce» 134, e, rispetto a quest’ultimo, lo

caratterizza essenzialmente dal punto di vista postconsumativo.

In questa prospettiva, pur essendo potenzialmente presente una fase di durata postconsumativa in ogni reato abituale, è evidente come la figura archetipica di reato abituale cessi di essere quella del reato necessaria- mente abituale e diventi quella del reato eventualmente abituale, il quale, potendo essere realizzato con una sola azione e non presentando, pertan- to, caratteristiche peculiari nel corso della fase preconsumativa, potrebbe in ogni caso “racchiudere in sé” anche le azioni dell’agente commesse al di là del momento consumativo.

Orbene: se è certamente corretta l’intuizione per la quale è la presenza di una eventuale fase postconsumativa del c.d. reato abituale a caratteriz- zarlo rispetto al reato (necessariamente) istantaneo, non ci pare però che tale intuizione possa conciliarsi con l’idea per cui, da un lato, la distinzione tra reati abituali e reati istantanei dovrebbe essere tratta dalla natura “plu- ralistica” del comportamento descritto nella norma incriminatrice e, dall’altro, tale fase potrebbe essere descritta ricorrendo ai medesimi con- cetti – la reiterazione di più fatti, l’omogeneità degli stessi e il nesso di abi-

134 M.PETRONE, Reato, cit., 26. Così, anche G.COCCO, Reato, cit., 376 e 379 ss.; ID., Unità,

tualità – impiegati per descrivere la fase preconsumativa dei reati necessa- riamente abituali.

Innanzitutto, per quanto riguarda il reato eventualmente abituale, è evi- dente che, essendo sufficiente un solo “fatto” o “azione” a realizzare il reato, non può dirsi né che la «figura» criminosa sarebbe «descritta in termini plu- ralistici» 135, nel senso che la norma «pur richiedendo la ripetizione frequente

di più fatti omogenei, ammetta [...] la rilevanza del fatto singolo» 136, né che

«la previsione astratta» presenti comunque «come elemento costitutivo la ri- petizione, intervallata nel tempo, di condotte omogenee» 137.

Se, infatti, anche nei reati eventualmente abituali la norma descrivesse il comportamento vietato in termini pluralistici, o fosse possibile inferire dall’interpretazione della norma che il legislatore, formulando la medesi- ma, avesse comunque inteso riferirsi ad un comportamento necessaria- mente multiplo, non potrebbe in alcun modo considerarsi sufficiente la commissione di una sola condotta ai fini della consumazione del reato; ci si troverebbe, in altri termini, di fronte ad un reato necessariamente e non eventualmente abituale.

Se, insomma, si ritiene che il reato di sfruttamento della prostituzione (art. 3 co. 1 n. 3 l. 20 febbraio 1958, n. 75) sia un reato eventualmente abi- tuale 138, occorre prendere atto del fatto che la norma incriminatrice men-

ziona soltanto la condotta di chi «sfrutti la prostituzione altrui» e, a fronte di una tale formulazione, due sole sono le alternative: o (i) si ritiene che ogni ricezione di denaro o altra utilità economica sia sufficiente alla con- sumazione e, allora, occorre ammettere che la norma non si esprime in chiave “pluralistica”; oppure (ii) si ritiene che col termine sfruttamento il legislatore abbia inteso riferirsi esclusivamente ad un complesso di conse- gne di denaro reiterate nel tempo e, allora, il reato non potrebbe che essere qualificato come necessariamente abituale 139.

Già questa prima obiezione evidenzia, a nostro avviso, che, se si inten- de distinguere il reato istantaneo dal reato abituale in ragione della possi- bile durata nel tempo di quest’ultimo dopo il momento consumativo, non si può al contempo continuare ad affermare che la distinzione trovi la sua origine nella descrizione in termini pluralistici del comportamento vietato da parte dalla norma incriminatrice; il reato eventualmente abituale, infat- ti, figura archetipica di reato abituale che prosegue nel tempo dopo la

135 M.PETRONE, Reato, cit., 48. 136 M.PETRONE, Reato, cit., 47-48.

137 G.COCCO, Reato, cit., 380; ID., Unità, cit., 77.

138 Così, ad es., G.COCCO, Reato, cit., 381; ID., Unità, cit., 78 e M.PETRONE, Reato, cit., 48. 139 Una parte della dottrina, in effetti, qualifica il delitto come necessariamente abituale:

cfr., per una ricostruzione delle varie opinioni sul punto, L.BONTEMPI, Art. 3 L. 20 febbraio 1958, n. 75, in E.DOLCINI,G.L.GATTA (diretto da), Codice penale commentato4, Milano,

consumazione, non può, per definizione, essere previsto da una norma in- criminatrice che descriva un comportamento che sia (o possa interpretar- si) in senso necessariamente “pluralistico”.

Ma non solo. A nostro avviso, se si intende tracciare la distinzione tra reato istantaneo e reato abituale in base alla possibilità che quest’ultimo “prosegua” dopo la Vollendung, nemmeno a fronte di un reato necessaria- mente abituale si può affermare che la possibile durata postconsumativa della fattispecie sarebbe già riscontrabile a partire dall’osservazione delle caratteristiche della norma incriminatrice.

Infatti, il dato per cui una norma incriminatrice menzioni espressa- mente una pluralità di condotte, o comunque descriva il Tatbestand in termini necessariamente pluralistici, non dà nessuna informazione in or- dine all’effettiva protrazione della fattispecie al di là del momento consu- mativo.

Si prenda, ad es., il delitto di maltrattamenti (art. 572 c.p.), considerato dalla maggioranza della dottrina realizzabile esclusivamente mediante la reiterazione di plurime condotte 140: com’è possibile trarre dalla norma di

cui all’art. 572 c.p. indicazioni relative alla durata nel tempo del reato do- po il momento consumativo?

Se, dopo la realizzazione della serie minima necessaria per la consu- mazione, non seguono altre condotte di maltrattamento, il reato sarà indi- stinguibile da un qualunque reato realizzato in forma istantanea, a prescin- dere da qualsivoglia locuzione usata dal legislatore nella norma incrimi- natrice 141. In un caso siffatto, non sarebbe possibile ravvisare alcuna fase

di durata postconsumativa del reato; il delitto di maltrattamenti non po- trebbe in alcun modo considerarsi “protratto nel tempo” dopo la sua con- sumazione.

Del resto, come avevamo già notato nel rigettare le tesi che cercavano i tratti caratteristici della permanenza a partire dall’osservazione della norma incriminatrice 142, l’idea che la protrazione nel tempo di una o più

condotte dopo la fase consumativa possa essere desunta a priori, in via esegetica, non è condivisibile per la ragione più generale per cui un Tat- bestand non descrive nient’altro che un complesso di elementi minimi la cui realizzazione è necessaria e sufficiente per la consumazione, senza fornire alcun elemento da cui si possa dedurre l’effettiva durata nel tempo del reato successivamente al momento consumativo.

Mutatis mutandis, insomma, valgono anche in quest’ambito le osserva- zioni che avevamo già tratto in relazione alla natura empirico-fattuale del

140 Per una ricostruzione del dibattito sul punto, e per i necessari riferimenti bibliografici

e giurisprudenziali, M.MIEDICO, Art. 572, in E.DOLCINI,G.L.GATTA (diretto da), Codice pe- nale commentato4, Milano, 2016, 2762 ss.

141 In questo senso, chiaramente, già R.A.FROSALI, Concorso, cit., 608 ss. e 620. 142 V. supra, cap. II, § 15.

concetto di permanenza 143: la durata postconsumativa di un reato è de-

terminabile soltanto in senso empirico-fattuale e non è implicata né deri- vabile dalla formulazione della norma incriminatrice.

Esattamente come la permanenza, dunque, anche il fenomeno deno- minato abitualità, se denota la possibile durata postconsumativa dei reati in esame, denota semplicemente il protrarsi della fattispecie concreta al di là del momento consumativo.

Tra le righe, lo ammette lo stesso Petrone, ove afferma che la fase di durata del reato abituale è, in tutti i casi, soltanto «eventuale» 144 e ove ri-

conosce, trattando del reato eventualmente abituale, che “abituale” il rea- to lo deve «essere in concreto, [...] altrimenti si comporterà come un reato istantaneo» 145.

È del tutto evidente, infatti, che una norma non può mutare la sua na- tura, prevedendo di volta in volta un reato “pluralistico” abituale o un rea- to istantaneo a seconda delle evenienze della fattispecie concreta; anche questo, lo avevamo già notato in relazione alla categoria, da noi respinta, dei reati eventualmente permanenti e sarebbe superfluo ribadirlo in que- sta sede 146.

Se, però, il fenomeno denominato “abitualità” non è configurato da una norma, ma descrive semplicemente una realtà fattuale – e, cioè, il protrarsi nel tempo di una fattispecie concreta – occorre chiedersi che co- sa perdura nel tempo dopo la consumazione, dando così luogo al fenome- no in esame.

Non condivisibile, in particolare, la terminologia utilizzata da Petrone, che, anche in riferimento alla fase postconsumativa continua a parlare di reiterazione di fatti o azioni, utilizzando lo stesso lessico impiegato per descrivere un requisito per la consumazione dei reati necessariamente abituali.

Infatti, posto che – come già osservato con riferimento alle fattispecie permanenti 147 – non è certo possibile rinunciare al principio di legalità

nella fase postconsumativa, molto meglio parlare, anche dopo la Vollen- dung, di protrazione nel tempo di tutti gli elementi costitutivi del reato. Costituirebbe un’amara beffa, ritenere che soltanto nelle fattispecie per- manenti si dovrebbero rintracciare tutti i crismi della punibilità nelle condotte successive alla consumazione, mentre nelle fattispecie abituali sarebbe sufficiente a fondare la perdurante responsabilità dell’agente una sorta di tipicità monca, figlia di un dio minore; e ciò, naturalmente, non

143 V. supra, cap. II, § 15. 144 M.PETRONE, Reato, cit., 55. 145 M.PETRONE, Reato, cit., 18.

146 V. amplius supra cap. II, §§ 5, 12 e 15.

può non valere anche in relazione al protrarsi dell’antigiuridicità e della colpevolezza.

Se, tuttavia, si riconosce che le condotte successive alla consumazione debbano risultare tipiche, antigiuridiche e colpevoli, appare del tutto super- fluo il requisito dell’omogeneità, che sarebbe realizzato in re ipsa. Per quan- to riguarda, poi, il nesso di abitualità, ci pare appena il caso di aggiungere che, essendosi già rilevata l’inconsistenza di tale requisito trattando della fase preconsumativa del reato abituale, non si vedono ragioni per ravvi- sarne la necessaria sussistenza nella fase postconsumativa.

La cosiddetta abitualità non descrive, insomma, nulla di diverso dal fe- nomeno empirico-fattuale consistente nella ripetizione nel tempo di un Sachverhalt, costituito da una successione di fatti storici nei quali debbono potersi rintracciare tutti gli elementi necessari per la punibilità ai sensi di una determinata norma incriminatrice: conformità al tipo legale, antigiuri- dicità e colpevolezza.

Si noterà, a questo punto, che la definizione appena formulata è la me- desima da noi impiegata per descrivere la permanenza. Naturalmente, non è un caso; a nostro avviso, infatti, non vi è sostanziale differenza tra questi due fenomeni dal punto di vista postconsumativo.

Sulla questione torneremo a breve, dopo aver succintamente passato in rassegna le altre concezioni del reato abituale sviluppate dalla dottrina ita- liana, le quali, come vedremo, o appaiono evidentemente non condivisibi- li, o sono sostanzialmente riconducibili a quelle finora esaminate.

9. Il reato abituale come mera reiterazione di condotte nel pensiero del