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L’adesione alla tesi empirico-fattuale della permanenza, come poc’anzi precisata, consente, peraltro, di risolvere tre annose questioni che da tem- po affaticano la dottrina e la giurisprudenza, ponendo al contempo all’at- tenzione del penalista una problematica ulteriore, che merita una distinta focalizzazione e che sarà accennata in conclusione del presente capito- lo 355.

In primo luogo, la tesi che ravvisa nella permanenza la protrazione nel tempo di una fattispecie dotata di tutti i crismi della punibilità, ed in par- ticolare la conformità al Tatbestand di parte speciale in considerazione, ci pare consenta una migliore chiarificazione dei rapporti tra reato omissivo proprio e permanenza.

A riguardo, ed a prescindere dalle varie concezioni della permanenza ac- colte, è stato nel tempo sostenuto che sarebbero necessariamente istantanei soltanto i reati omissivi propri nei quali è imposto un termine per l’adem- pimento di natura perentoria o essenziale 356; oppure un termine di qualsiasi

natura 357; oppure tutti i reati omissivi propri, perché sarebbe ad essi conna-

354 A.PECORARO-ALBANI, Del reato, cit., 434. 355 V. infra, § 20.

356 L.ALIBRANDI, voce Reato, cit., 3; U.GIULIANI, La struttura, cit., 124-125; G.GRISOLIA,

Il reato, cit., 34 nota 58; G.LEONE, Del reato, cit., 397 ss.; V.MANZINI, Trattato, cit., I, 702- 703, nota 3; A.PECORARO-ALBANI, Del reato, cit., 445-446 G.RAGNO, I reati, cit., 267.

357 R.BARTOLI, Sulla struttura, cit., 167; A.DALL’ORA, Condotta, cit., 206; M.GALLO, Rea-

turata la presenza di un termine perentorio per l’adempimento 358, talvolta

specificando che l’unica eccezione sarebbe rappresentata dai rari casi in cui il legislatore «impone [...] non [...] di agire in senso dinamico», bensì «un [...] tipo di obbligo» che non richiede «al soggetto uno sforzo particola- re» 359; o che sarebbero necessariamente istantanei soltanto i reati omissivi

propri il cui oggetto di tutela risulta «pregiudicato in via definitiva [...] a se- guito della realizzazione del tipo» 360.

Il tema può essere in questa sede soltanto accennato; tuttavia, nostro av- viso, va accolta l’opinione di chi ha affermato che per risolvere la questione «occorre fare riferimento ancora una volta al criterio della tipicità» 361, nel

senso che si dovrebbe sempre prendere in esame la norma incriminatrice per verificare – non diversamente da come si procede per verificare la su- scettibilità alla permanenza di un reato qualsiasi 362 – se sia logicamente

pensabile che, dopo la prima realizzazione del reato, possa presentarsi una fattispecie concreta ancora sussumibile interamente in quella stessa norma incriminatrice.

Se si adotta questo punto di vista, ci sembra che l’unico vero ostacolo alla realizzazione in permanenza di un reato omissivo proprio possa esse- re costituito dall’apposizione espressa di un unico termine entro il quale (o in corrispondenza del quale) debba essere adempiuta la condotta doverosa, a prescindere dalla sua natura perentoria o ordinatoria 363.

Se, infatti, nella norma incriminatrice (o in norme da essa richiamate) è espressamente indicato un unico termine entro il quale debba essere esperita la condotta richiesta, lo scorrere del tempo impedisce la sussun- zione nel Tatbestand legale (“compi l’azione X entro il termine Y”) di un’omissione perdurante dopo la scadenza del termine, poiché, dopo que- sto momento, se è ben possibile per l’agente continuare ad omettere (“non compiere l’azione X”), non è però più possibile omettere entro lo specifico termine indicato dalla norma incriminatrice (non è più possibile, cioè, “non compiere l’azione X entro il termine Y”). Salve eventuali macchine del tempo, difatti, un elemento del reato – l’istante temporale individuato dal- l’imperativo legislativo –, una volta superato, non potrà mai più ritornare. Così, ad es., l’inosservanza di un ordine di presentarsi dinanzi alla au-

358 C.ADORNATO, Il momento, cit., 118-119; A.CADOPPI, Il reato, cit., 865 ss. ed in partico-

lare 887; M.RONCO, Il reato, cit., 143.

359 A.CADOPPI, Il reato, cit., 896-897. In senso adesivo anche: A.CADOPPI,P.VENEZIANI,

Elementi, cit., 199; F.MANTOVANI, Diritto, cit., 428.

360 R.RAMPIONI, Contributo, cit., 40.

361 R.BARTOLI, op. loc. cit. Sostanzialmente nello stesso senso: G.L.GATTA, Trattenimen-

to, cit., 203-204.

362 V. supra, § 14.

363 Sostanzialmente in questo senso, a contrario, anche: D.BRUNELLI, Il reato, cit., 135;

torità di pubblica sicurezza in una data determinata comporterà la natura necessariamente istantanea del reato di cui all’art. 650 c.p., perché non è logicamente pensabile che il reo, una volta mancato l’appuntamento, pos- sa nuovamente “non ripresentarsi” alla data di comparizione fissata nel- l’ordine de quo, la quale è evidentemente insuscettibile di “ripetizione”, es- sendo ormai parte di un passato non più modificabile.

Diversamente, non ci pare possa costituire un ostacolo alla possibile realizzazione in permanenza di un reato omissivo proprio l’apposizione espressa di termini multipli o, comunque, periodici, entro i quali (o in corri- spondenza dei quali) debba essere eseguita una determinata condotta, po- sto che, in questo caso, è ben possibile realizzare il Tatbestand alla scaden- za di ciascun termine, omettendo nuovamente di porre in essere la condot- ta attiva comandata e realizzando, così, un nuovo fatto storico rispondente esattamente al tipo astratto delineato dalla norma incriminatrice.

Si pensi, ad es., al reato di omessa corresponsione dell’assegno divorzile (art. 12 sexies l. 1° dicembre 1970, n. 898; ora art. 570 bis c.p.), che è una- nimemente – e, a nostro avviso, correttamente – considerato permanente (rectius: suscettibile di realizzazione in permanenza) nel caso di plurimo mancato pagamento dell’assegno di mantenimento dovuto, con scadenza mensile, al coniuge separato o all’ex coniuge, secondo quanto rispettiva- mente stabilito dalla sentenza di separazione o da quella di divorzio 364.

18. Segue: b) l’individuazione dei reati necessariamente istantanei

Inoltre, la tesi qui accolta, nel definire i reati necessariamente istantanei come quei reati la cui norma incriminatrice descrive una condotta logi- camente incompatibile con la protrazione del Sachverhalt nel tempo, for- nisce un solido criterio per la loro identificazione, ponendo così un freno ad alcune applicazioni assai generose della disciplina della permanenza fatte dalla giurisprudenza di legittimità e già segnalate nel precedente ca- pitolo 365.

A riguardo, siano sufficienti alcuni esempi.

Emblematica, innanzitutto, la qualificazione come permanente del rea- to di messa in esercizio di un impianto in assenza di preventiva comunica- zione (art. 279 co. 3 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152) e del previgente ma identi- co reato di attivazione di un impianto in difetto di preventiva comunicazio- ne alle autorità competenti (art. 24 co. 2 d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203

364 Così, tra le altre: Cass., Sez. VI, 27 aprile 2017, n. 23794, B., cit.; Cass., Sez. VI, 20

gennaio 2015, n. 5423, B., cit.

abr.) 366, la cui norma incriminatrice – rispettivamente – punisce e puniva

«chi mette in esercizio un impianto [...] senza averne dato la preventiva comunicazione» o «chi attiva l’esercizio di un impianto senza averne dato [...] comunicazione preventiva», attività che nel linguaggio del legislatore pacificamente si riferiscono – e si riferivano – alla prima attivazione di un impianto generante emissioni prima della sua effettiva messa a regime 367.

Orbene, è del tutto evidente che la condotta incriminata dalle norme incriminatrici in esame – che, peraltro, a differenza di quanto talvolta ri- tiene la giurisprudenza in questione, ha natura commissiva e non omissi- va – non può – e non poteva – in alcun modo protrarsi nel tempo, poiché non è in alcun modo possibile mettere in esercizio per la prima volta un impianto... per più di una volta.

O ancora, sempre nel medesimo ambito, si pensi al reato di inizio di costruzione di un impianto senza autorizzazione (art. 24 co. 1 d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 abr.; ora parte della più ampia norma incriminatrice di cui all’art. 279 co. 1 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152), che puniva «chi inizia la costruzione di un nuovo impianto» senza la prescritta autorizzazione e che è stato considerato permanente 368, nonostante il verbo “iniziare” in-

dichi inequivocabilmente una condotta insuscettibile di protrarsi nel tempo, perché non è possibile “iniziare ogni giorno” a installare lo stesso impianto.

Lo stesso vale, poi, per il reato di inizio dei lavori in zone sismiche senza preventiva autorizzazione (art. 94 co. 1, 95 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), considerato da giurisprudenza granitica permanente «sino a quando chi intraprende un lavoro [...] termina il lavoro o ottiene la relativa autorizza- zione» 369, nonostante dalla lettura combinata degli artt. 94 e 95 citati pos-

sa chiaramente evincersi che la condotta vietata consiste nell’«iniziare la- vori senza preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della regione» e non nell’”eseguirli” o nel “proseguirli” 370.

Tutte soluzioni, quelle poc’anzi indicate, che sono forse aderenti alla ratio della legislazione speciale in considerazione e alle (solite note) esi- genze repressive, ma, a nostro avviso, non certo ad un’esegesi il più possi- bile aderente alla logica della stretta legalità.

366 Cfr., tra le altre, la giurisprudenza di legittimità citata supra, cap. I, § 3.1, nota 96. 367 Per una panoramica della giurisprudenza e della dottrina sul punto, sia consentito

rinviare a R.CRESPI,T.DE FAZIO,E.PREVIATI, Art. 279, in E.DOLCINI,G.L.GATTA (diretto da), Codice penale commentato4, Milano, 2016, 3167 ss.

368 V., tra le altre, le sentenze di legittimità citate supra, cap. I, § 3.2, note 117, 118, 119, 120. 369 Così, da ultimo, Cass., Sez. III, 11 febbraio 2014, n. 12235, Petrolo, cit.; Cass., Sez. III,

17 febbraio 2011, n. 17217, Galletti, cit.; Cass., Sez. III, 25 giugno 2008, n. 35912, Cancro, cit.; Cass., Sez. III, 5 dicembre 2007, n. 3069, Mirabelli, cit.

370 Correttamente in questo senso, tra le più le recenti: Cass., Sez. III, 8 ottobre 2008, n.

19. Segue: c) la cessazione delle fattispecie permanenti

Infine, secondo chi scrive, la tesi che ricostruisce la permanenza come una fattispecie che, pur protraendosi nel tempo, non perde la sua Tatbe- standsmäßigkeit, né gli altri requisiti della punibilità, porta ad un decisivo passo avanti nell’individuazione del momento di cessazione della perma- nenza.

Infatti, nell’ottica qui accolta, è evidente che la permanenza cessa quando, al di là di eventuali temporanee interruzioni, non è più possibile individuare nelle circostanze di fatto oggetto di giudizio i segni della con- formità alla norma incriminatrice di volta in volta in considerazione. Il criterio è, dunque, ancora una volta, quello della sussumibilità del Sach- verhalt permanente all’interno del Tatbestand di parte speciale: quando non è più possibile rintracciare fatti storici ad esso conformi, la perma- nenza non può che dirsi definitivamente cessata.

L’applicazione di questo criterio consente, ad es., di risolvere agevol- mente l’intricato contrasto insorto in giurisprudenza in ordine all’indivi- duazione del momento “conclusivo” del reato di gestione di una discarica non autorizzata (art. 51 co. 3 d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 abr., ora art. 256 co. 3 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152). Come si ricorderà, infatti, la giurispru- denza ad oggi ha individuato ben cinque diversi momenti di cessazione della permanenza del reato in parola: il rilascio dell’autorizzazione ammi- nistrativa, l’ultimo atto «di conferimento o manipolazione dei rifiuti», la rimozione dei rifiuti conferiti, la completa bonifica dell’area e, per non farsi mancare nulla, il termine di «dieci anni a far data dall’ultimo confe- rimento» di rifiuti 371.

Per risolvere la questione, ci pare che occorra semplicemente prendere le mosse dal riconoscimento del fatto che le norme incriminatrici in esame puniscono – e punivano – la condotta di «chiunque realizza o gestisce una discarica non autorizzata» e, dunque, la condotta di chi “amministra, so- vrintende” l’attività di gestione dei rifiuti in una discarica; un concetto che, a sua volta, implica (quantomeno) l’esecuzione di condotte di conferimento e manipolazione dei rifiuti. In altri termini, la discarica dev’essere operati- va: non si può certamente gestire un’attività commerciale ormai conclusa. Ma allora, dato che la permanenza consiste nella protrazione in con- creto degli elementi costitutivi dell’illecito, appare del tutto evidente che, in assenza di nuove condotte di conferimento e manipolazione dei rifiuti, nelle quali si sostanzia l’attività di illecita gestione di una discarica, man- chi innanzitutto la fattispecie tipica e, pertanto, con l’ultima manipolazio- ne o con l’ultimo conferimento la permanenza debba necessariamente dirsi conclusa.

Il che, del resto, consente anche di chiarire il ruolo assunto dall’au- torizzazione nell’ambito della determinazione del momento “finale” della fattispecie (permanente). Da un lato, infatti, l’assenza di autorizzazione alla gestione di una discarica costituisce un elemento (negativo) del Tatbe- stand, che implica evidentemente l’atipicità delle condotte di “gestione” successive all’ottenimento dell’autorizzazione; dall’altro, non ci pare cer- tamente possibile, in assenza di condotte di gestione, estendere la fatti- specie permanente fino al momento del tardivo ottenimento dell’autoriz- zazione.

Se, però, è vero che il rilascio dell’autorizzazione mancante può, pur in presenza di condotte di gestione, comportare la cessazione anticipata del- la permanenza, non si comprende davvero come possa rintracciarsi la Tatbestandsmäßigkeit nella “mancata rimozione dei rifiuti” o nella “manca- ta bonifica dell’area” o, addirittura, nel periodo di dieci anni successivo all’ultimo conferimento di rifiuti.

L’unico modo per giustificare questa estensione dell’ambito del penal- mente rilevante sarebbe, a ben vedere, quello di rintracciare nel reato permanente – cosa che, peraltro, la giurisprudenza si guarda bene dal fa- re, motivando in via sostanzialmente apodittica – un secondo precetto implicito, che comandasse la rimozione o il divieto di mantenimento di uno stato antigiuridico; sennonché, però, come già abbiamo dimostrato nel criticare la concezione bifasica e le tesi analoghe, tale precetto non rap- presenta che un’illusione, tanto più pericolosa quanto in radicale contra- sto col principio di legalità 372.

20. Ulteriori prospettive di indagine: la controversa spiegazione del-