permanente come produzione e mancata rimozione di uno stato antigiuridico: a) nel pensiero di G Leone
3. Segue: b) nel pensiero di G Ragno
La tesi secondo la quale sono permanenti quei reati in cui il precetto è «doppio» o ha un «doppio aspetto» 32, il primo di natura negativa – divieto
di creazione di uno stato antigiuridico – e il secondo di natura positiva – obbligo di rimozione dello stato antigiuridico creato – è stata poi accolta e sviluppata, con alcune rilevanti precisazioni e differenze, nell’ampia mo- nografia dedicata all’argomento in esame da Giuseppe Ragno 33.
Secondo Ragno, innanzitutto, occorrerebbe prendere le mosse non tanto dal rapporto tra natura del bene giuridico tutelato e funzione del- la legge penale, quanto piuttosto, direttamente, dalla «fattispecie astrat- ta», che deve incriminare «non solo la produzione dell’evento» – inteso in senso strettamente «normativo, cioè come offesa o messa in pericolo di beni protetti» 34 – «ma anche il mantenimento di esso» 35. Un caso fa-
cile di reato permanente, da questo punto di vista, sarebbe rappresenta- to dal delitto di ratto a fini di matrimonio (art. 522 co. 1 c.p. abr.), «in cui con due fattispecie sono formulati due precetti: non sottrarre e non ritenere» 36.
Se, invece, l’imperativo normativo fosse unitario, non incriminando espressamente la mancata rimozione di uno stato antigiuridico – come, ad es. nel delitto di sequestro di persona, «ove si fa riferimento solo al privare» 37 –, la «derivazione del secondo precetto, più che» – come nella
tesi del Leone – «da un fenomeno di logica espansione del precetto ma- nifesto», sarebbe conseguenza della stessa «esistenza di uno stato anti-
30 G.LEONE, Del reato, cit., 431. 31 G.LEONE, op. loc. cit. 32 G.RAGNO, I reati, cit., 119.
33 V. in particolare G.RAGNO, I reati, cit., 118 ss. 34 G.RAGNO, I reati, cit., 97.
35 G.RAGNO, I reati, cit., 27. 36 G.RAGNO, I reati, cit., 123. 37 G.RAGNO, I reati, cit., 122.
giuridico che, per essere tale, deve supporre un obbligo di rimozione» 38.
Non si potrebbe, tuttavia, dire che tale obbligo «derivi da un’attività (pe- ricolosa o lesiva [...]) antigiuridica precedente e non sia contemplato dalla norma»: l’obbligo sarebbe sì insito nella norma, ma «implicita- mente» 39.
Ma non solo. La «considerazione, lineare e decisiva» 40, che consenti-
rebbe di provare l’esistenza del «precetto di rimuovere lo stato antigiuridi- co, come connaturato all’essenza del reato permanente», consisterebbe nel fatto che «il concorrente, che interviene con la sua condotta nel periodo di consumazione del reato permanente, non potrebbe essere dichiarato pu- nibile, se non sussistesse [...] il precetto di rimuovere lo stato antigiuridi- co, non avendo egli creato lo stato suddetto» 41. Insomma, se «chi trova già
sequestrata una persona [...] non la libera, ma ne continua lo stato di pri- gionia [...] risponde di concorso in sequestro, è perché ha mantenuto lo stato antigiuridico», avendo violato «l’obbligo di rimozione» e non certo «quello di non creare lo stato che già esiste» 42.
Il processo poc’anzi descritto funzionerebbe, inoltre, anche in direzione opposta: «sempre che sia descritto» nel Tatbestand «uno stato antigiuridi- co», anche se «il verbo usato» nella norma incriminatrice afferisse soltanto «al mantenimento dello stato», questo comunque presupporrebbe d’esser stato creato e, pertanto, il secondo precetto che comanda la rimozione della situazione antigiuridica «suppone e comporta un’estensione del divieto di creazione del presupposto, cioè della creazione dello stato» 43.
Oltre che nel fondamento dogmatico, la concezione del Ragno si diffe- renzia poi da quella del Leone in relazione alle condizioni necessarie per la qualificazione di un reato come permanente 44.
Da un lato, infatti, la possibilità di configurare un reato come perma- nente viene collegata, nell’opera di Giuseppe Ragno, non tanto alla natura materiale o immateriale del bene giuridico tutelato, che sarebbe «sempre un’entità immateriale» 45, bensì alla non «distruttibilità [...] dell’oggetto su
cui cade la condotta tipica» 46; dall’altro, viene negato che la natura per-
manente della figura incriminatrice dipenda dalla possibilità dell’agente di
38 G.RAGNO, I reati, cit., 123. 39 G.RAGNO, I reati, cit., 48. 40 G.RAGNO, I reati, cit., 47. 41 G.RAGNO, I reati, cit., 46.
42 G.R
AGNO, I reati, cit., 122.
43 G.RAGNO, I reati, cit., 125; v. anche, per un’applicazione del principio al reato di asso-
ciazione per delinquere, G.RAGNO, I reati, cit., 136 ss. ed in particolare 146.
44 G.RAGNO, I reati, cit., 66 ss. 45 G.RAGNO, I reati, cit., 75. 46 G.RAGNO, I reati, cit., 84.
far venire meno lo stato antigiuridico dallo stesso prodotto, poiché ben vi potrebbero essere casi in cui «anche quando sarebbe in potere dell’agente rimuovere, in astratto, lo stato descritto dalla norma», la norma attribuis- se «rilevanza giuridica soltanto al momento iniziale della compressione di un bene» 47.
Ancora diversa rispetto all’impostazione di Leone, poi, è la classifica- zione delle possibili categorie del reato permanente 48.
Infatti, pur non negando che un reato istantaneo si possa «atteggiare come reato permanente, sempre che l’oggetto sia un bene comprimibi- le» 49, e riconoscendo così l’«esistenza della categoria dei reati eventual-
mente permanenti» 50, l’Autore ritiene di dar pieno riconoscimento anche
alla categoria dei reati necessariamente permanenti 51, nei quali «il legi-
slatore ha voluto elevare a disvalore penale solo un fatto permanente e non anche un atto componente la serie di atti che costituiscono la per- manenza» 52.
Vi sarebbero, insomma, reati impossibili da realizzare in forma istan- tanea poiché, «per aversi reato» occorrerebbe sempre «una certa dura- ta» 53; l’esempio è rappresentato dal delitto di concubinato (art. 560 c.p.
abr.), in relazione al quale si osserva che «nulla avrebbe impedito al legi- slatore di prevedere come reato l’adulterio del marito; invece ha richiesto un fatto permanente: il mantenimento (in casa o notoriamente altrove) della concubina» 54.
In particolare, si tratterebbe di una sorta di punibilità “condizionata” al raggiungimento «del minimo di durata richiesto dalla norma per configu- rabilità del reato» 55. Dopodiché, sarebbe «punibile tutto il sistema e tutta
la serie di atti, ab initio»; ed essendosi verificata già «con la realizzazione del primo atto» «la lesione del bene giuridico», la consumazione del reato retroagirebbe al «primo momento di detta lesione» 56. Qualora, poi, il rea-
to necessariamente permanente perdurasse «al di là del momento in cui può dirsi conclusa la permanenza necessaria» il reato assumerebbe la forma del «reato ulteriormente permanente» 57.
47 G.RAGNO, I reati, cit., 119. 48 G.RAGNO, I reati, cit., 311 ss. 49 G.RAGNO, I reati, cit., 88. 50 G.RAGNO, I reati, cit., 316. 51 G.RAGNO, I reati, cit., 315 ss. 52 G.RAGNO, I reati, cit., 317-318. 53 G.RAGNO, I reati, cit., 319. 54 G.RAGNO, I reati, cit., 318. 55 G.RAGNO, I reati, cit., 320. 56 G.RAGNO, I reati, cit., 324-325. 57 G.RAGNO, I reati, cit., 355.
Vero e proprio capolavoro di astrattezza, infine, la descrizione della struttura del reato permanente da parte del Ragno, il quale distingue un «imperativo-base» e un «duplice imperativo-soprastante» 58.
Rispetto all’imperativo-base – che, par di capire, è quello esplicitato dalla norma incriminatrice – sarebbe «dato distinguere tra reati perma- nenti misti», nei quali la prima fase della condotta è «commissiva», poiché il comportamento comandato si estrinseca in un non facere e la «condotta nella seconda fase» è sempre «omissiva», «e reati permanenti non misti», caratterizzati da una «condotta ab initio omissiva» 59.
Con riferimento al «duplice imperativo-soprastante» («non creare e ri- muovi lo stato antigiuridico»), invece, «normativamente» parlando, «la condotta della seconda fase è sempre omissiva, così come la condotta del- la prima fase [...] è sempre commissiva» 60. Tutto ciò, «anche quando la
prima fase è data da una omissione» poiché «essa, rispetto allo stato anti- giuridico, è pur sempre commissiva» 61.
Si precisa, infine, che, nonostante la «duplicità normativa» 62 e il fatto
che la condotta possa essere «naturalisticamente varia e [...] non ininter- rotta», dal punto di vista giuridico quest’ultima si presenterebbe sempre e comunque «unitaria ed ininterrotta» 63.