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na italiana: a) osservazioni preliminar

La concezione in esame merita, a nostro avviso, di essere condivisa nel suo nucleo fondamentale, rappresentato dalla rinuncia a descrivere il rea- to permanente mediante asserite caratteristiche comuni a tutte le norme incriminatrici che prevedono reati permanenti, siano esse la presenza di un precetto “doppio”, che imponga non solo di “non cagionare”, ma anche di “rimuovere” 297 o di “non mantenere” uno stato antigiuridico 298, o un

precetto che prescrive un obbligo di agire, anziché un divieto 299.

Tuttavia, come si è visto, sussistono notevoli divergenze nell’ambito della dottrina maggioritaria in relazione all’esatta individuazione del con- cetto e della struttura del reato permanente. Si tratterà pertanto, qui di seguito, di verificare se tali divergenze abbiano natura meramente lessica- le, oppure corrispondano a tesi realmente differenti, e, se del caso, di sot- toporre alcune asserzioni della teoria maggioritaria ad analisi critica.

Innanzitutto, a fronte dell’affermazione, certamente condivisibile, per la quale il reato permanente si caratterizza per il protrarsi della condotta tipica nel tempo, una parte della dottrina, come si è visto, richiede anche

294 RBARTOLI, op. loc. cit.

295 A.PECORARO-ALBANI, op. loc. cit.

296 F.ANTOLISEI,L.CONTI, Manuale, cit., 267. Nello stesso senso: R.BARTOLI, Sulla strut-

tura, cit., 162 e 174; S.CANESTRARI,L.CORNACCHIA,G.DE SIMONE, op. loc. cit.; G.COCCO, Unità, cit., 78-79; ID., Reato, cit., 382-383; G.CONTENTO, Corso, cit.,II, 442; G.DE FRANCE- SCO, Profili, cit., 565 e 575; ID., Diritto, cit., 2, 82; G. DE VERO, Corso, cit., I, 434; G.GRISO- LIA, Il reato, cit., 30-31; A.MANNA, Corso, cit., 208 V.MANZINI, Trattato, cit., I, 699; G.MARI- NI, Lineamenti, cit., 595 e 598; V.B.MUSCATIELLO, Pluralità, cit., 273-274 e 281; A.PECORA- RO-ALBANI, Del reato, cit., 431 ss.; R.RAMPIONI, Contributo, cit., 66 ss.; M.ROMANO, Pre-Art. 39, cit., 346; A.SANTORO, Manuale, cit., 313. Parla di continuità «quanto meno tendenziale» S.PROSDOCIMI, Profili, cit., 177 e 185.

297 Così i fautori della teoria bifasica: v. supra, § 2 ss.

298 In questo senso gli A. che ricostruiscono il reato permanente come produzione e

mantenimento di uno stato antigiuridico: v. supra, §§ 6 ss.

il contemporaneo protrarsi nel tempo dello stato antigiuridico (id est, del- la lesione al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice); altri Au- tori, invece, ritengono che il protrarsi dell’offesa non potrebbe mai carat- terizzare il reato permanente, non essendo quest’ultima «elemento del reato» 300.

A nostro modesto avviso, l’opinione di chi intende escludere l’offesa dalla struttura del reato non appare accettabile. A riguardo, occorre in- nanzitutto osservare come non sia del tutto chiaro a cosa esattamente in- tendano fare riferimento gli Autori che affermano che l’offesa non appar- terrebbe alla struttura del reato, quanto al suo «contenuto» 301, posto che

nessuno di loro, in definitiva, finisce per negare l’operatività del principio di necessaria offensività del reato 302, così implicitamente confermando –

esattamente come sostiene il resto della dottrina – che l’offesa deve pur perdurare, in concreto, per tutto il tempo in cui perdura la condotta.

In secondo luogo, ci pare che costituisca ormai un punto di arrivo con- solidato della scienza penalistica italiana il riconoscimento della «funzio- ne dogmatica» del bene giuridico, che «non può che riverberarsi sulla de- terminazione delle componenti costitutive del reato» e che, «con riferi- mento alla categoria della tipicità, [...] consiste [...] nel far sì che la tipicità concettualmente includa la lesione del bene giuridico» 303.

Se, però, questa seconda obiezione è vera, appare superfluo conside- rare – come fa il resto della dottrina – condizione necessaria perché un reato possa dirsi permanente la protrazione dello stato antigiuridico, poiché tale requisito non ci sembra nient’altro che la declinazione, nel- l’ambito dei reati permanenti, del principio per cui non vi è reato senza offesa ai beni giuridici. In altri termini, al protrarsi della condotta corri- sponde il protrarsi dell’offesa, non per via di qualche strano esoterismo, ma soltanto perché ad ogni condotta tipica corrisponde necessariamente un’offesa al bene giuridico tutelato; altrimenti, la tipicità è soltanto ap- parente. Ci sembra, insomma, che colga ancora una volta nel segno chi ha osservato come non vi sia, in realtà, «alcun bisogno di fare menzione dello stato, della situazione originata della condotta» per definire il reato permanente, perché «il cosiddetto protrarsi della situazione antigiuridi- ca [...] non è che il naturale persistere [...] dell’offesa tipica inerente al reato» 304.

300 Così, come si è visto, R.BARTOLI, Sulla struttura, cit., 146 e 161; G.DE FRANCESCO,

Profili, cit., 564-565; A.PECORARO-ALBANI, Del reato, cit., 405.

301 R.BARTOLI, op. loc. cit.; G.DE FRANCESCO, op. loc. cit.; A.PECORARO-ALBANI, op. loc. cit. 302 R.BARTOLI, Sulla struttura, cit., 161; G. DE FRANCESCO, op. loc. cit.; A.PECORARO-

ALBANI, op. loc. cit.

303 Così, per tutti, G.FIANDACA,E.MUSCO, Diritto, cit., 195; D.PULITANÒ, Diritto, cit., 170. 304 S.PROSDOCIMI, Profili, cit., 175. Conforme sul punto R.RAMPIONI, op. loc. cit.

Del tutto fuorviante, poi, rilevare che lo stato antigiuridico debba di- pendere dalla volontà dell’agente 305. Ci pare inutile ripetere in questa sede

osservazioni già svolte in precedenza; basti qui ricordare che qualunque fatto di reato dev’essere necessariamente sorretto da un coefficiente di imputazione soggettiva, sia esso permanente oppure istantaneo, e che, comunque, non può certamente dirsi che lo stato antigiuridico debba di- pendere dalla volontà dell’agente nei reati permanenti colposi, della cui ammissibilità nessuno ha mai seriamente dubitato 306.

Invece, ci sembra tutt’altro che superflua la precisazione di quegli Au- tori che ricordano che non solo la condotta tipica, ma tutti gli elementi costitutivi del reato debbano protrarsi nel tempo perché sia data perma- nenza. Ciò, infatti, è chiaramente imposto dal «principio di legalità», che, come si è osservato, non può certamente «essere accantonato e perso di vista» «una volta che il reato sia consumato» 307.

Si muoverebbe, tuttavia, una critica ingiusta al resto della dottrina, se si lasciasse intendere che quest’ultima normalmente neghi la necessità del protrarsi nel tempo di tutti gli elementi costitutivi del reato per il ricono- scimento della permanenza. Al contrario, il riferimento al protrarsi della sola condotta tipica da parte del resto della dottrina ha sempre rappresen- tato, a nostro avviso, soltanto una sineddoche; nessuno, infatti, ha mai so- stenuto che un sequestro di persona debba essere addebitato all’agente per l’intero anche se, ad es., dopo un certo periodo di tempo questi sia im- provvisamente divenuto non più imputabile, o sia intervenuta, per qual- che motivo, una causa di giustificazione 308.

Del resto, la necessità che perdurino nel tempo tutti gli elementi costi- tutivi del reato è stata riconosciuta non solo nell’ambito della concezione maggioritaria, ma anche dai fautori delle altre tesi finora esaminate, che non hanno mai invocato, da questo punto di vista, uno status differenziato per il reato permanente, in termini di tipicità “minore” o di irrilevanza del giudizio di antigiuridicità o colpevolezza nei momenti successivi alla con- sumazione 309.

305 V. sul punto gli A. citati supra, § 13, nota 274. 306 Sul punto, v. supra, § 8.

307 S.P

ROSDOCIMI, Profili, cit., 177. La violazione del principio di «tipicità» che si verifi- cherebbe altrimenti è notata anche da R.BARTOLI, Sulla struttura, cit., 158. Nello stesso senso: G.COCCO, Unità, cit., 79; ID., Reato, cit., 383; F.PALAZZO, Corso, cit., 228.

308 V., con esempi differenti: ANTOLISEI,L.CONTI, Manuale, cit., 269; G.CONTENTO, Cor-

so, cit.,II, 441; G.DE FRANCESCO, op. loc. cit.; C.FIORE,S.FIORE, Diritto, cit., 206-207; M. PELISSERO,op. loc. cit.; A.MANNA, Corso, cit., 207 ss.; V.MANZINI, Trattato, cit., I, 703; G. MARINI, Lineamenti, cit., 595. Nel resto della dottrina, v.: L.ALIBRANDI, voce Reato, cit., 3-4; G. GRISOLIA, Il reato, cit., 51-52 e 80-81; A.PECORARO-ALBANI, Del reato, cit., 440 ss.; R. RAMPIONI, Contributo, cit., 42 ss. e 94 ss.

309 V. ad es., nell’ambito della concezione bifasica: G.LEONE, Del reato, cit., 446 ss. e 474

Da salutare con favore, inoltre, l’abbandono di ogni velleità di discerne- re il reato permanente da quello istantaneo a partire dalla natura (omissi- va o commissiva) della condotta incriminata. Del resto, una volta definita la permanenza come protrazione nel tempo di una fattispecie dotata di tutti i crismi della punibilità – e cioè, la conformità al Tatbestand, una persistente antigiuridicità e una perdurante colpevolezza – è del tutto na- turale che il problema relativo alla natura della condotta incriminata fini- sca per rivestire carattere secondario, risolvendosi in una questione “di parte speciale”, di mera esegesi della norma incriminatrice di volta in vol- ta presa in considerazione.

Infine, riteniamo sia da accogliere anche l’assunto per cui condizione necessaria, ma non sufficiente, perché un reato possa qualificarsi come permanente sia che la norma incriminatrice consenta una realizzazione del reato che si protragga nel tempo.

Ci sembra opportuno precisare, tuttavia, che, a nostro parere, la possi- bilità di qualificare un reato come permanente deve basarsi non tanto sul- la natura del bene giuridico – la cui natura comprimibile costituisce pur sempre un’evidente “luce verde” per un’eventuale qualificazione del reato come permanente – o su una “generica” esegesi della norma incriminatri- ce, quanto sull’individuazione puntuale di tutti i Tatbestandsmerkmale previsti dalla norma incriminatrice in considerazione.

Se, infatti, è il protrarsi nel tempo di tutti gli elementi costitutivi del reato a costituire la permanenza, è innanzitutto al Tatbestand che occorre guardare per verificare se sia logicamente pensabile che, dopo il momento di prima consumazione, possa presentarsi una fattispecie concreta ancora sussumibile per l’intero nell’ambito della stessa norma incriminatrice, così rinnovando o approfondendo l’offesa nei confronti del bene giuridico danneggiato al momento della consumazione del reato 310.

Per questo motivo e non per altri, ad es., è escluso che possano essere qualificati come permanenti tutti i delitti dove è prevista, quale elemento costitutivo del reato, la «morte» di un uomo; non tanto, cioè, perché il be-

concezione che richiede il mantenimento dello stato antigiuridico: G.FIANDACA,E.MUSCO, Diritto, cit., 210; F.MANTOVANI, Diritto, cit., 427-428; A.PAGLIARO, Il reato, cit., 339-340; R. RIZ, Lineamenti, cit., 114. Si noti che le divergenze tra gli A. citati e quelli che aderiscono al- la concezione in analisi – nell’intendere, ad es. il dolo del reato permanente, o l’antigiur- idicità –, non costituiscono corollari delle concezioni di permanenza di volta in volta accol- te, ma, piuttosto, derivano da opinioni differenti in merito agli istituti di parte generale in considerazione. Emblematico, in proposito, il dibattito relativo alla possibile applicazione della figura dell’actio libera in causa nell’ambito del reato permanente, possibilità evidente- mente condizionata dalla posizione dei vari Autori in merito, e non dalle rispettive opinioni in tema di permanenza: v. sul punto, R.BARTOLI, Sulla struttura, cit., 168 ss.; G.GRISOLIA, Il reato, cit., 45 ss.; G.LEONE, Del reato, cit., 434 ss.; G.RAGNO, I reati, cit., 56 ss.; R.RAMPIONI, Contributo, cit., 43 ss.

ne giuridico “vita” venga distrutto nel corso dell’azione criminosa, ma semplicemente perché, una volta defunti, non è logicamente pensabile che, come la Kim Novak di Vertigo, si possa morire due volte 311.

Questa lieve riformulazione delle condizioni “sine quibus non” della permanenza non è, a nostro avviso, inutile, perché – oltre a sottrarsi alle critiche di chi ha affermato che la caratteristica della “comprimibilità” del bene mal si adatterebbe ad alcuni beni giuridici collettivi 312 – spiega

in maniera convincente perché taluni reati omissivi propri, pur posti a tutela di beni giuridici che non vengono distrutti al momento della con- sumazione del reato, non possano in nessun caso essere qualificati per- manenti 313.

15. Segue: b) la questione della natura “normativa” o “empirico-