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solo un reato omissivo, che punisce la mancata rimozione di uno stato antigiuridico

Al di là delle differenze tra la teorizzazione originale di Dall’Ora e quel- le successive di Adornato e Giuliani, si può affermare che il cuore delle te- si in analisi sia costituito dall’idea per la quale la permanenza potrebbe sostanziarsi soltanto in una condotta omissiva, consistente nella mancata rimozione di uno stato antigiuridico. Rispetto a tale condotta, la preceden- te lesione del bene giuridico mediante azioni positive rappresenterebbe, secondo Dall’Ora, soltanto la fase (eventuale) del tentativo diretto alla commissione di un reato permanente, oppure, secondo Giuliani, un fatto autonomamente punibile ai sensi della stessa norma incriminatrice del reato permanente in questione.

Più in particolare, le tesi di Dall’Ora e Giuliani hanno in comune alme- no tre fondamentali aspetti 245.

Il primo è rappresentato dall’unitaria premessa di natura ontologica: mentre una condotta commissiva non potrebbe mai assumere carattere permanente, poiché mai uguale a sé stessa ed incapace di protrarsi indefi- nitamente nel tempo, il mero non facere potrebbe sempre configurarsi come condotta tendenzialmente perpetua e, quindi, costitutiva di un reato propriamente permanente.

Il secondo aspetto comune è, poi, l’intendimento strettamente naturali- stico della condotta omissiva nella quale si sostanzia la mancata rimozio- ne dello stato antigiuridico, che viene presa in considerazione quale mera inerzia; con la conseguenza per cui tutte le condotte consistenti in movi- menti corporei dovrebbero considerarsi, in linea di principio, del tutto atipiche rispetto ad una norma incriminatrice che prevede un reato per- manente.

Propugnato sia Dall’Ora, sia da Giuliani, infine, è l’impiego di un crite- rio integralmente normativo per distinguere tra reati istantanei e reati

243 U.GIULIANI, La struttura, cit., 141. 244 U.GIULIANI, La struttura, cit., 140. 245 V. supra §§ 9 e 11.

permanenti; per entrambi gli Autori, infatti, l’elemento decisivo che con- sente di qualificare un reato come permanente è rappresentato dal con- tenuto positivo – anziché negativo – del comando posto dalla norma in- criminatrice.

Tuttavia, per Dall’Ora l’illecito sarebbe permanente ogniqualvolta il precetto imponga una condotta attiva, salvo i casi in cui sia previsto un termine finale entro il quale la condotta debba essere eseguita. Secondo Giuliani, invece, la sola osservazione della natura omissiva del precetto contenuto nella norma incriminatrice non sarebbe di per sé sufficiente ad escludere la natura permanente del reato, poiché la clausola di equivalen- za contenuta nell’art. 40 cpv. c.p. permetterebbe comunque di configurare un obbligo di agire anche ove la norma incriminatrice punisse espressa- mente soltanto il divieto di cagionare uno stato antigiuridico.

Prima di prendere in rassegna le obiezioni che possono essere mosse alle tesi in analisi, si deve innanzitutto osservare come, al netto delle evi- denti assonanze, la tesi di Dall’Ora non potrebbe essere intesa come una mera versione “tronca” di quella bifasica, che attribuisce penale rilevanza (a titolo di reato consumato) soltanto a quella che, secondo i fautori della concezione bifasica, rappresenta la seconda fase (omissiva) della condot- ta, successiva all’instaurazione dello stato antigiuridico; né la tesi di Giu- liani potrebbe essere interpretata come un mero “doppione” della conce- zione bifasica, che, rispetto a questa, giustifica esplicitamente la rilevanza penale della fase successiva alla consumazione a partire dalla c.d. clausola di equivalenza di cui al secondo comma dell’art. 40 c.p.

Nell’ambito della concezione bifasica, infatti, come più volte segnalato, la qualificazione delle condotte successive come condotte omissive avvie- ne su base meramente normativa, non negandosi affatto che eventuali condotte attive successive alla produzione dello stato antigiuridico siano comunque pienamente riconducibili alla (e rilevanti ai sensi della) norma incriminatrice che si vorrebbe costitutiva di un reato permanente 246. Gli

Autori in esame, invece, qualificano espressamente le condotte che inter- vengono nella fase della permanenza come naturalisticamente omissive, con il corollario per cui le condotte attive successive alla consumazione, sia pur necessarie a “mantenere in vita” lo stato antigiuridico, dovrebbero considerarsi sempre penalmente atipiche.

Tutto ciò premesso, che il fondamento ontologico delle tesi di Dall’Ora e Giuliani sia alquanto fragile, ci sembra inequivocabilmente dimostrato dalla sussistenza di fattispecie permanenti realizzate mediante condotte esclusivamente commissive. Si pensi al caso, immaginato da Pecoraro- Albani, «di un sequestro di persona, realizzato da un individuo di robusta corporatura, che tenga stretta tra le sue braccia per tre ore consecutive la

vittima, non avendo possibilità di evitarne diversamente la fuga» 247. Nella

descritta evenienza ci pare che il reato verrebbe inequivocabilmente rea- lizzato da «un agire» «manifestamente [...] positivo» 248, del quale sembre-

rebbe assai arduo negare il carattere permanente.

Ma non solo. Di fronte a una fattispecie del genere, o a fattispecie ana- loghe in cui un reato permanente viene sicuramente realizzato soltanto tramite condotte manifestamente commissive, l’applicazione rigorosa del- la tesi perorata da Dall’Ora, imporrebbe due alternative parimenti insod- disfacenti: o considerare le condotte dell’agente parte di quell’eventuale prologo attivo punibile solo a titolo di tentativo nel quale, secondo l’Auto- re in parola, si “dissolverebbero” le condotte attive che producono lo stato antigiuridico, con la conseguenza assurda di punire l’agente, nell’esempio de quo, soltanto per il reato di sequestro di persona tentato; oppure di considerare rilevante per l’integrazione del reato la sola “mancata libera- zione” della vittima, così finendo per considerare “un grezzo elemento di fatto”, penalmente atipico, la condotta consistita nel bloccare con la sola forza muscolare il sequestrato, e cioè, proprio la condotta senza la quale non sarebbe stato possibile realizzare, nel caso di specie, il sequestro di persona.

Anche la tesi di Giuliani, del resto, se applicata a casi così modulati, condurrebbe ad alternative non meno insoddisfacenti: o considerare pe- nalmente rilevante, a titolo di sequestro di persona consumato, solo la condotta commissiva che, per la prima volta, realizza la norma incrimina- trice in questione, così qualificando irrimediabilmente il reato come istan- taneo; oppure considerare tipica, nella fase successiva alla consumazione, la sola condotta omissiva consistente nella “mancata liberazione” della vit- tima, con ciò negando rilevanza all’unica condotta davvero essenziale per la privazione della libertà personale del sequestrato.

Del resto, non ci appare per nulla arduo immaginare casi in cui un rea- to permanente venga realizzato da un misto di condotte (naturalistica- mente) attive e omissive, rispetto alle quali la pretesa degli Autori in esa- me di considerare penalmente atipico tutto l’insieme delle condotte di na- tura commissiva apparirebbe, ancora una volta, del tutto illogico.

Si pensi, sempre in relazione all’ipotesi di un sequestro di persona, agli «atti di natura positiva volti a rafforzare e a fare più adeguatamente svol- gere la condotta illecita», come ad es. il «trasferimento della vittima da un luogo all’altro», o l’«apposizione di nuovi congegni alle porte e alle finestre per evitarne la fuga» 249: riesce difficile comprendere per quale motivo

247 A.PECORARO-ALBANI, Del reato, cit., 431. Così anche A.SANTORO, Manuale, cit., 315-

316.

248 A.PECORARO-ALBANI, op. loc. cit.

condotte certamente essenziali ai fini della realizzazione del reato do- vrebbero essere semplicemente espunte dal penalmente rilevante.

Nella sola tesi di Dall’Ora, inoltre, si può osservare un maldestro tentati- vo di manipolazione del Tatbestand legale analogo a quelli che abbiamo rimproverato alle altre teorie finora esaminate, nonostante la dichiarata in- tenzione dell’Autore di sviluppare una definizione del reato permanente ten- denzialmente tatbestandsorientiert, che rintracci nella norma incriminatrice – e solo nella norma incriminatrice – i segni distintivi della permanenza.

Come si è notato, infatti, «l’eliminazione del momento della realizza- zione degli elementi costitutivi dalla struttura del reato, inevitabile conse- guenza di questa impostazione [...] conduce [...] ad uno svilimento della fattispecie legale assai più significativo di quello rimproverabile alla teoria bifasica» 250; addirittura, secondo alcuni, una «abnormità» che «si tocca

[...] con mano solo che si consideri [...] che il privare qualcuno della liber- tà personale è così poco al di fuori della fattispecie oggettiva del delitto di sequestro di persona che ne costituisce all’opposto, l’unico momento rile- vante» 251, senza il quale – si nota – «non sorgerebbe neppure il problema

della permanenza» 252.

Peraltro, occorre rilevare che – una volta espunto l’indimostrato postu- lato secondo il quale soltanto l’omissione può assumere carattere perma- nente – l’argomentazione spesa dal Dall’Ora per affermare che i reati per- manenti sarebbero tutti reati omissivi si riduce in definitiva all’argomento – evidentemente invalido – per cui, siccome un tipico reato permanente come il sequestro di persona può manifestarsi in forma completamente omissiva, allora anche tutti gli altri reati permanenti sarebbero necessa- riamente omissivi 253.

Ma ancor più che nel “trasferimento” della prima fase della condotta nella sfera del tentativo, la tendenza di Dall’Ora a manipolare la lettera della legge emerge chiaramente, a nostro avviso, nelle pagine dedicate alla dimostrazione della natura – rispettivamente, istantanea e permanente – dei reati di furto e sequestro di persona.

Nell’escludere la natura permanente del reato di furto, infatti, l’Autore in parola evidenzia come la formulazione della norma indicherebbe che il legislatore avrebbe preso «in considerazione soltanto l’atto comprimente» e che «diversamente sarebbe stato se la legge, anziché formulare l’art. 624 così come oggi è scritto nel codice penale (“chiunque si impossessa...”), avesse disposto che è punito chiunque “ritiene la cosa mobile altrui di cui

250 G.DE FRANCESCO, Profili, cit., 566. In questo senso anche R.BARTOLI, Sulla struttura,

cit., 163-164.

251 R.RAMPIONI, Contributo, cit., 16 e 31. 252 A.PECORARO-ALBANI, Del reato, cit., 400.

253 Più precisamente, il ragionamento sarebbe corretto se e solo se tutti i reati fossero...

si è impossessato...”» 254; soltanto allora «il furto sarebbe un reato perma-

nente» 255.

Sennonché, l’incrollabile fedeltà alla lettera della legge si fa di colpo negoziabile quando, nell’affrontare il problema della natura del reato di sequestro di persona, pur riconoscendo che la norma di cui all’art. 605 c.p. descrive un «atto di privazione della libertà personale» 256 e, dunque, una

condotta attiva, Dall’Ora afferma che comunque si dovrebbe «intendere che nell’art. 605 c.p.» venga descritta una condotta omissiva, e cioè «il fat- to di chi tiene taluno in istato di privazione della libertà personale», «non [...] l’atto di privazione, ma solamente il mantenimento» 257, al solo scopo

di qualificare il reato come permanente.

Appare allora evidente che, anziché riconoscere «che l’obbligo statuito dalla singola norma è quello che è [...] e non può alterarsene la natura, trasformandolo sempre in un obbligo di fare, che darebbe così luogo a una omissione» 258, non si esita, a fronte di condotte commissive o, tutt’al

più, miste, a disconoscerne la natura pur di non abbandonare la petizione di principio per cui solo le condotte omissive potrebbero assumere carat- tere permanente.

La stessa obiezione relativa al mancato rispetto del Tatbestand legale, invece, non può essere mossa a Giuliani, il quale, come si è visto, non ne- ga l’impossibilità di ravvisare un reato omissivo dove la norma incrimina- trice non imponga un comando di agire, bensì afferma che la rilevanza penale della fase omissiva del reato permanente, successiva alla produzio- ne dello stato antigiuridico, deriverebbe dal sorgere di un obbligo di im- pedimento ex art. 40 cpv. c.p.

Tuttavia, come si è già rilevato in sede di critica alla concezione bifasi- ca, non esiste nel nostro ordinamento un obbligo, penalmente rilevante ai sensi del secondo comma dell’art. 40 c.p., di disinnescare fonti di pericolo derivanti da una precedente ingerenza nella sfera giuridica di soggetti ter- zi 259. È quindi a fortiori meno convincente che si pretenda di rintracciare

tra le fonti di una posizione di garanzia nella consuetudine, il che è una- nimemente negato da tutta la dottrina più recente 260.

Peraltro, desta perplessità anche l’identificazione, da parte di Giuliani, di un limite alla possibilità di configurare una tale posizione di garanzia –

254 A.DALL’ORA, Condotta, cit., 160-161. 255 A.DALL’ORA, Condotta, cit., 161. 256 A.DALL’ORA, Condotta, cit., 182. 257 A.DALL’ORA, Condotta, cit., 184.

258 Così, in polemica con la concezione in esame, A.PECORARO-ALBANI, Del reato, cit.,

411. La stessa osservazione anima le obiezioni di F.COPPI, voce Reato, cit., 322-323.

259 V. supra, § 5.

e, dunque, un reato permanente – nell’incompatibilità del dolo della con- dotta attiva «nella sua configurazione astratta [...] con l’intenzione di ri- muovere le conseguenze della condotta» 261, in ragione del principio per il

quale il precetto penale non potrebbe rivolgersi a coloro per i quali «l’espletamento della controazione doverosa» sarebbe «psicologicamente impossibile»; come ad es., rispetto agli autori di un reato di furto o di eva- sione, ai quali non potrebbe chiedersi, rispettivamente, di restituire la re- furtiva o di costituirsi 262.

Se, infatti, appare del tutto condivisibile, sul piano dei principi fonda- mentali, far discendere la responsabilità penale dell’agente dalla possibili- tà che questi abbia avuto modo in concreto di adempiere al precetto – lo impone il principio costituzionale di colpevolezza –, non pare dogmati- camente accettabile far dipendere, in astratto, la sussistenza o meno di un precetto penale – e cioè, di una norma – dalla possibilità di conformarvisi, peraltro valutata soltanto con riferimento ad alcune ristrette cerchie di au- tori di reati determinati.

Infine, non convince il riconoscimento dato – per vero, dal solo Dal- l’Ora – alle categorie del reato necessariamente, eventualmente e alternati- vamente permanente. Dell’inaccettabilità della prima categoria abbiamo già detto in precedenza 263; come, del resto, abbiamo già sottolineato per-

ché, a nostro avviso, il riconoscimento della categoria dei reati eventual- mente permanenti rappresenti una contraddizione in termini per una teo- ria che pretende di cogliere nelle caratteristiche della norma incriminatri- ce (del precetto) i tratti della permanenza 264.

Pertanto, non ci sembra necessario ripetere osservazioni già tratte in precedenza; si rilevi solamente che, a nostro avviso, anche l’originale cate- goria dei reati alternativamente permanenti appare del tutto superflua.

Se, infatti, come ritiene Dall’Ora, «le due fattispecie legali», «di cui l’una suscettibile di essere realizzata istantaneamente e l’altra suscettibile di essere realizzata permanentemente», appartengono comunque a uno stesso «reato» 265, si tratta semplicemente di modalità alternative di realiz-

zazione della stessa norma incriminatrice e, dal punto di vista pratico, la categoria appare indistinguibile da quella dei reati eventualmente perma- nenti, i quali sono appunto definiti come reati suscettibili di essere realiz- zati, oltreché in forma permanente, anche in forma istantanea.

In conclusione, anche la concezione che ricostruisce il reato permanen- te come mera mancata rimozione di uno stato antigiuridico, nelle due

261 U.GIULIANI, Sulla struttura, cit., 136. 262 U.GIULIANI, Sulla struttura, cit., 138. 263 V. supra, § 9.

264 V. supra, § 5.

versioni elaborate da Dall’Ora e Giuliani, non ci pare che riesca ad illumi- nare la nozione di reato permanente e, dunque, dovrebbe essere a nostro avviso accantonata 266.

13. Il reato permanente come risultato del perdurare della condotta (e

degli altri elementi costitutivi del reato) nel pensiero del resto della