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Il dialogo sociale europeo: verso un modello di regolazione associativa della formazione continua?

La diffusione di politiche e pratiche nel campo della formazione continua è stata accompagnata, sia all’interno degli stati membri che a livello comunitario,

da un crescente coinvolgimento delle associazioni di rappresentanza di lavoratori e datori di lavoro. A livello comunitario, il dialogo sociale29 è diventato un elemento caratteristico della governance europea30 a partire dall’Atto Unico, che ha sancito esplicitamente l’importanza del metodo di concertazione inaugurato durante gli incontri tripartiti avviati nel 1985 a Val Duchesse, riconoscendone la rilevanza come forma di pressione e di orientamento dell’azione delle istituzioni comunitarie in materia sociale.

A partire degli anni ottanta, l’attività concertativa delle parti sociali a livello europeo31 ha prodotto, nel quadro istituzionale dei comitati paritari settoriali (oggi Comitati di dialogo settoriale) un’ampia mole di accordi, dichiarazioni comuni d’intenti e raccomandazioni; il successo del dialogo sociale di settore è legato alla convinzione, fatta propria anche dalla Commissione, che l’armonizzazione delle condizioni di lavoro e lo sviluppo dei fattori di competitività siano più facilmente perseguibili all’interno di un determinato settore.

La contrattazione collettiva europea si è sviluppata, d’altra parte, anche a livello interprofessionale, ed è stata particolarmente incisiva grazie alle disposizioni dell’art. 139 del TCE, che prevede la possibilità che, nelle materie

29 L’espressione “dialogo sociale” è ormai diffusamente utilizzata per fare riferimento ad

esperienze di concertazione tra le parti sociali a livello comunitario e nazionale. Nel contesto più specifico dei rapporti collettivi a livello europeo, l’espressione rimanda ad una delle tipologie (Roccella, Treu, 2007) della cosiddetta contrattazione collettiva europea, che comprende: attività collettive bilaterali e trilaterali di settore (per le quali non sarebbe in realtà appropriato il riferimento alla contrattazione, avendo piuttosto una funzione consultiva); attività bilaterali o trilaterali a livello interprofessionale (per le quali, in occasione degli incontri di val Duchesse, è stata coniata l’espressione “dialogo sociale”), che possono sfociare in pareri comuni vincolanti solo in una dimensione endoassociativa, o in accordi quadro, assumendo la denominazione di contrattazione collettiva comunitaria “istituzionale” o “tipica”.

30 “Il concetto di governance designa le norme, i processi ed i comportamenti che influiscono

sul modo in cui le competenze sono esercitate a livello europeo, soprattutto con riferimento ai principi di apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza” , Libro Bianco del luglio 2001 “La governance europea” [COM (2001) 428 final].

31 CES (Confederazione europea dei sindacati), UNICE (Unione delle industrie della comunità

europea, oggi BUSINESSEUROPE), CEEP (Centro europeo delle imprese pubbliche), sono le principali.

di competenza della Comunità, i contratti collettivi europei diventino fonte comunitaria, tramite recepimento in una decisione del Consiglio. L’azione delle parti sociali su questo fronte è diventata sempre più centrale, passando dall’elaborazione di documenti di indirizzo su questioni di rilevanza socioeconomica generale (formazione, nuove tecnologie, mobilità, strumenti di governo del mercato del lavoro, cooperazione per la crescita e l’occupazione, ecc…32), alla stipula di accordi, poi recepiti in direttive, su temi cruciali quali i congedi parentali ed il lavoro atipico33.

Per valutare lo sviluppo del dialogo sociale e la sua capacità di condizionare le politiche comunitarie e nazionali, bisogna d’altra parte considerare le particolari condizioni in cui si è realizzato a livello europeo. In primo luogo, rileva il parziale disaccordo tra i suoi stessi partecipanti circa gli obiettivi da perseguire: per i sindacati europei, infatti, il dialogo sociale è uno strumento destinato a creare standards sempre più elevati da applicare in tutta l’UE; per le associazioni dei datori di lavoro, invece, esso dovrebbe limitarsi a fornire un contributo alla reciproca comprensione e porsi, piuttosto, come strumento di facilitazione dei cambiamenti ritenuti via via necessari (Ales, 2007). Inoltre, il livello di incisività dell’azione delle parti sociali europee è legato al supporto delle istituzioni comunitarie e/o alla volontà/capacità di implementazione delle parti sociali a livello nazionale.

32 In relazione ai principali temi oggetto del dialogo sociale in Europa, a partire dal 2000 esso si

è concentrato sul raggiungimento degli obiettivi di Lisbona connessi alla qualità del lavoro, sull’allargamento e la difficoltosa estensione ai paesi di nuova annessione dei modelli concertativi diffusi nei paesi first comers nel processo di unificazione, sul contributo del dialogo sociale stesso alla governance europea. La crisi finanziaria del 2008 ha comportato una battuta d’arresto nell’agenda delle parti sociali europee, imponendo uno spostamento del focus dal miglioramento delle condizioni di lavoro alla protezione del lavoro, in risposta alle iniziative di ristrutturazione che hanno interessato molti paesi europei.

33 Direttiva 96/34/CE del Consiglio del 3 giugno 1996 concernente l'accordo quadro sul

congedo parentale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES; Direttiva 97/81/CE del 15 dicembre 1997 concernente l’accordo quadro sul lavoro part-time concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES; Direttiva 99/70/CE del 28 giugno 1999 concernente l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES; Direttiva 2008/104/CE del 19 novembre 2008 relativa al lavoro tramite agenzia interinale.

Di conseguenza, nel valutare gli effetti del dialogo sociale sulle politiche europee di formazione continua occorre tener conto di questa autonomia imperfetta. Il terreno su cui il contributo del dialogo sociale europeo può essere meglio valutato diventa, allora, quello dell’attività di lobbying verso le istituzioni comunitarie e di promozione di buone prassi nei confronti dei partners nazionali.

D’altra parte, la valorizzazione del ruolo delle parti sociali è stata un elemento caratterizzante fin dal primo ciclo la programmazione del Fondo Sociale Europeo, che ha costituito uno straordinario fattore di stimolo della prassi concertativa in materia di occupazione e formazione continua, diffusasi a partire dagli anni novanta in molti paesi europei. Anche all’interno della SEO il dialogo sociale svolge un ruolo cruciale, essendo chiamato a partecipare all’elaborazione delle politiche occupazionali sia a livello comunitario- contribuendo alla formulazione degli orientamenti- sia a livello nazionale, nella stesura dei National Action Plans. Riguardo al ruolo delle parti sociali all’interno della SEO, Guarriello (2006) individua due fasi, la prima caratterizzata da una funzione meramente consultiva, la seconda- dopo Lisbona- da un maggiore coinvolgimento soprattutto in relazione al pilastro dell’adattabilità. Le ragioni di questa svolta sarebbero da ricercare, da un lato, nella ricerca da parte delle istituzioni europee di una legittimazione, attraverso la sussidiarietà orizzontale, del Metodo Aperto di Coordinamento, da più parti ritenuto scarsamente democratico34; dall’altro, nel mutamento degli assi di intervento della SEO, che enfatizzando le questioni della qualità del lavoro e della modernizzazione dei mercati del lavoro, chiamano con forza in causa gli attori delle relazioni industriali, invitati a guidare l’innovazione organizzativa sia attraverso un’azione propriamente regolativa (la contrattazione collettiva),

34 “Nell’attuazione che ha ricevuto, l’OMC si è caratterizzato come esercizio elitario, poco

trasparente e poco democratico, demandando per lo più all’attività di burocrazie ministeriali ristrette e al lavoro di esperti chiamati a dare supporto tecnico alla redazione dei NAPs” (Ferrera, Sacchi, 2006). Opinione omologa è espressa da Cella (2006).

che attraverso strumenti non vincolanti.

La formazione continua costituisce da sempre uno dei temi principali del dialogo sociale, ed il ruolo delle parti sociali in questo campo è stato promosso con particolare enfasi proprio a partire dall’avvio della strategia di Lisbona, che ha indicato tra gli obiettivi prioritari da raggiungere in vista della promozione della società della conoscenza l’elaborazione, di concerto con le parti sociali, di strategie nazionali volte a favorire l’occupabilità e l’inclusione sociale attraverso l’accesso permanente alla formazione. Anche in materia di formazione continua l’azione delle parti sociali europee si è sviluppata soprattutto a livello di settore, per via della similarità delle competenze richieste all’interno di una stesso settore nei diversi stati membri (Winterton, 2007).

Tuttavia, è possibile individuare una serie di iniziative di natura intersettoriale che mirano, da un lato, a stimolare l’attenzione delle istituzioni comunitarie su temi cruciali e trasversali quali l’innalzamento dei livelli di partecipazione degli adulti alle attività formative, la razionalizzazione e sostenibilità della spesa in formazione continua, la promozione della mobilità attraverso la trasparenza ed il riconoscimento delle qualifiche, ecc…; dall’altro, a promuovere un sempre maggiore coinvolgimento delle parti sociali nazionali nel governo delle politiche formative, anche attraverso il suggerimento di strategie d’azione e la diffusione di best practices.

Rispetto al primo profilo, al di là del ruolo consultivo assegnato loro all’interno della SEO, le parti sociali europee sono coinvolte nell’attuazione delle politiche economiche e sociali dell’Unione attraverso l’attività del Vertice sociale tripartitico per la crescita e l’occupazione35, che si riunisce una volta

35 Istituito con la Decisione del Consiglio 2003/174/CE, il Vertice sociale tripartitico

istituzionalizza le riunioni tra presidente della Commissione, Troika dei capi di Stato e di governo, ministri dell'occupazione e degli affari sociali e parti sociali, svoltesi a partire dal dicembre 2000. La sua istituzione risponde alle sollecitazioni espresse dalle parti sociali nel loro contributo comune al Consiglio europeo di Laeken del 14 e 15 dicembre 2001: in quella sede, le parti sociali avevano sottolineato che il Comitato permanente dell'occupazione non

l’anno, prima del Consiglio di primavera. È possibile, inoltre, individuare iniziative autonome che assumono la forma di dichiarazioni, risoluzioni, documenti rispetto ai quali si sollecita l’interesse delle istituzioni comunitarie, invitandole a considerarne le implicazioni nell’elaborazione delle politiche di formazione.

A questi testi si affiancano linee guida e quadri d’azione per le parti sociali nazionali, volti a coordinarne l’azione in vista delle priorità individuate.

Nel 2002 ETUC, UNICE E CEEP hanno firmato un quadro di azioni per lo sviluppo delle competenze e delle qualificazioni lungo tutto l’arco della vita36. Nel documento lo sviluppo delle competenze e dei livelli di qualificazione viene collegato a maggiori opportunità di inclusione e promozione sociale e si sottolinea la necessità di perseguire, in un quadro di responsabilità condivise da tutti gli attori coinvolti nella formazione continua, quattro priorità: identificazione ed anticipazione delle competenze richieste; riconoscimento e validazione delle competenze e delle qualificazioni; informazione, supporto ed orientamento; mobilitazione e ripartizione dei costi. Si tratta di priorità già ampiamente riconosciute negli orientamenti comunitari, per cui il documento sembra essere rilevante più sul versante dei rapporti endoassociativi che come strumento di pressione nei confronti delle istituzioni europee, e più sul profilo procedurale che su quello contenutistico.

Sembra, infatti, che l’elemento più significativo del documento sia la previsione di un meccanismo di monitoraggio annuale dei progressi compiuti a livello nazionale, accompagnato da una procedura di valutazione triennale ad opera del gruppo ad hoc su Educazione e Formazione del Comitato di dialogo sociale. Queste procedure di controllo, ispirate al Metodo Aperto di rispondeva alle esigenze di coerenza e sinergia tra i diversi processi di concertazione in cui esse sono coinvolte e reclamato l’istituzione di una nuova forma di concertazione trilaterale stabile.

36 ETUC, BUSINESSEUROPE, CEEP, UEAPME, “Framework of actions for the lifelong

Coordinamento, hanno, al di là della loro efficacia, un significato in primo luogo simbolico, testimoniando la volontà di superare alcuni nodi critici del dialogo sociale europeo, primo fra tutti l’assenza di un efficace coordinamento con l’azione delle parti sociali a livello nazionale.

Attraverso l’ibridazione tra tecniche del MAC e dialogo sociale, secondo Guarriello (2006), si tenta di sbloccare l’impasse in cui versa il dialogo sociale europeo, stretto tra “l’insufficiente europeizzazione degli attori sociali e le difficoltà sinora incontrate nel definire le modalità attuative che facciano appello alle risorse organizzative interne per riprendere i contenuti dei tavoli europei a livello nazionale o territoriale, in mancanza di forza obbligatoria degli stessi”.

La questione dell’implementazione delle indicazioni espresse a livello europeo dalle parti sociali è stata sollevata dalle istituzioni comunitarie37 proprio a partire dalla constatazione della scarsa trasparenza dei risultati delle loro attività e della difficoltà di monitorarne l’attuazione ad opera dei partners nazionali. Il problema si pone soprattutto in relazione ai cosiddetti “testi di nuova generazione”, in particolare quelli di carattere procedurale, cioè quadri di azione, orientamenti e linee guida in cui le parti sociali si impegnano autonomamente ad influenzare l’azione delle parti nazionali su temi di particolare interesse. Nel Rapporto sulle relazioni industriali in Europa del 2008, la Commissione riconosce come non esistano strumenti in grado di misurare con esattezza l' “impatto benefico” del dialogo sociale europeo su quello nazionale, sebbene esista una percezione diffusa della sua efficacia: da ciò il suggerimento di elaborare strumenti di verifica dell’implementazione, differenziati a seconda della tipologia di testo adottato (accordi autonomi, frameworks o linee guida), di cui il sistema adottato per il Framework del 2002 costituisce un esempio.

Dall’analisi dei follow-up reports38 del Framework, documenti che registrano annualmente i progressi compiuti dalle parti sociali all’interno degli stati membri in relazione alle quattro priorità fissate a livello europeo, emerge in primo luogo l’estrema diversità delle risposte date a livello nazionale, coerente con la forte differenziazione in termini di tradizioni concertative e di organizzazione complessiva dei sistemi di formazione iniziale e continua.

Emerge, inoltre, la difficoltà di individuare gli apporti della dimensione europea distinguendoli dalle azioni intraprese dalle parti sociali nazionali a prescindere dagli orientamenti del Framework. Spesso, infatti, le iniziative riportate rientrano in processi interni indipendenti, avviatisi prima dell’adozione del quadro d’azione, come nel caso della messa a regime dei Fondi interprofessionali per la formazione continua in Italia, che sebbene avvenga dopo l’adozione del Framework e risponda alle indicazioni espresse in quella sede, deve essere ricondotta ad una lunga gestazione che affonda le sue radici nella ricca stagione concertativa italiana degli anni novanta.

D’altra parte, non deve essere trascurato l’apporto del quadro d’azione in termini di agenda-setting: esso, cioè, ha senza dubbio contribuito a porre al centro del dibattito alcune tematiche e fornito l’occasione di divulgare una visione condivisa delle priorità da perseguire e del ruolo delle parti sociali, oltre che stimolato concrete occasioni di incontro e di dibattito, se non altro in sede di stesura del rapporto annuale.

La problematica dell’implementazione degli orientamenti del dialogo sociale europeo a livello nazionale si inserisce nel più ampio dibattito relativo alle possibilità di successo di una dimensione europea della contrattazione collettiva sulla formazione continua, viste le differenze significative tra gli stati membri sia sul versante delle relazioni industriali che su quello dei sistemi di

38 ETUC, BUSINESSEUROPE, CEEP, UEAPME, “Framework of actions for the lifelong

development of competencies and qualifications” Follow-up Report (2003, 2004, 2005, 2006) http://www.etuc.org/r/662.

formazione continua.

In uno studio di qualche anno fa sullo sviluppo del dialogo sociale in materia di formazione professionale, sia a livello europeo che all’interno degli stati membri, Winterton (2007), dopo aver individuato diversi modelli nazionali di concertazione della formazione a seconda della combinazione tra focus (aziendale o scolastico) e regolazione (statale o di mercato) dei sistemi formativi, avanza la tesi della convergenza attraverso la diversità: secondo questa tesi39, il dialogo sociale in materia di formazione professionale tenderebbe alla convergenza (tra gli stati membri) attraverso la sperimentazione di percorsi differenziati per via della diversità della struttura delle relazioni industriali e dei sistemi di formazione.

La tesi della convergenza è sostenuta anche dalla Commissione Europea, che nell’ultimo Rapporto sulle relazioni industriali in Europa (Commissione, 2008) riconduce questo processo a quattro fattori: la necessità di rispondere a sfide interne ed esterne comuni; l’affermazione, nello spazio europeo, di principi e valori comuni; l’azione dell’Unione in materia sociale, attraverso l’esercizio del potere regolativo, ma soprattutto attraverso la fissazione di obiettivi che impegnano tutti gli stakeholders; i risultati del dialogo sociale a livello europeo.

Bisogna sottolineare come, secondo queste tesi, l’aspetto su cui le forme del dialogo sociale dei diversi paesi sembrerebbero convergere è quello connesso alla maggiore partecipazione delle parti sociali all’elaborazione, implementazione e promozione delle politiche formative. A prescindere, cioè, da fattori di differenziazione quali il riconoscimento giuridico dell’azione delle parti sociali, la diffusione della contrattazione collettiva sulla formazione, il livello (nazionale, locale, aziendale) d’azione o i risultati ottenuti, in tutti i

39 Questa tesi era stata già avanzata da Regini a proposito del più generale processo di

convergenza dei modelli di capitalismo europei nelle principali aree di regolazione del lavoro (Regini, 2000).

paesi si assisterebbe ad un maggiore coinvolgimento delle parti sociali nelle tre aree sopra elencate, assecondando priorità e obiettivi fissati a livello europeo, soprattutto a partire dall’Agenda di Lisbona.

In realtà, la partecipazione delle associazioni di rappresentanza al governo della formazione è un elemento comune alle tradizioni regolative di molti stati membri. Nei paesi europei, le parti sociali intervengono nel campo della formazione continua a tre livelli: partecipazione a comitati d’impresa o altri organismi che coinvolgono i sindacati nelle decisioni riguardanti la formazione dei dipendenti; contrattazione della formazione continua (intersettoriale, settoriale, aziendale); gestione paritetica di enti e fondi per la formazione. In ognuna di queste aree, la forma di interazione prevalente nella regolazione della formazione è la concertazione organizzativa, attraverso la quale le associazioni di interesse negoziano patti per la soddisfazione di interessi legati a beni categoriali, sebbene suscettibili di trasformarsi in beni collettivi. L’emergere della forma associativa nella regolazione della formazione continua, nelle varianti riconducibili alle tradizioni dei diversi paesi europei, è legata, secondo Pais (2007), da una lato, alla diffusione, presso gli attori statali, della consapevolezza che la formazione continua rappresenta un ambito privilegiato di composizione degli interessi; dall’altro all’assunzione, da parte dei sindacati, di una nuova visione della formazione continua non più come interesse esclusivo dell’impresa, ma anche del lavoratore. Su entrambi gli aspetti, le istituzioni europee avrebbero esercitato un’azione strutturante, nell’ambito del Metodo Aperto di Coordinamento, che avrebbe favorito l’isomorfismo nella governance della formazione continua.

L’incidenza della dimensione comunitaria nella diffusione di questi orientamenti è sottolineata dall’autrice in particolare proprio con riferimento all’Italia, dove, secondo le testimonianze da lei raccolte presso i principali attori coinvolti, l’intervento dell’Europa avrebbe agito, in questo campo, come

legal irritant40 (Teubner, 1998): esso, cioè, innestandosi negli assetti

preesistenti (il clima degli anni novanta, favorevole alla concertazione delle politiche formative) avrebbe stimolato cambiamenti in direzione della logica di cui era portatore, contribuendo alla definizione, con la costituzione dei Fondi paritetici interprofessionali, di un vero e proprio governo privato della formazione continua, guidato dal principio della concertazione organizzativa.

Provando a trarre un bilancio delle riflessione raccolte, da un lato, sembra non si possa disconoscere il ruolo dei processi di apprendimento istituzionale nella definizione delle strategie di intervento nazionali, soprattutto in materia di formazione continua, tema centrale nel processo di coordinamento europeo delle politiche occupazionali, proprio per via del pregiudizio favorevole relativo alla sua natura di luogo elettivo di confronto fra le parti; dall’altro, permane la difficoltà, comune a tutti gli ambiti del coordinamento aperto, di stabilire con certezza nessi di causalità tra gli orientamenti comunitari e le azioni intraprese a livello nazionale.

Riguardo alla promozione del dialogo sociale in materia di formazione continua, ben pochi dubbi sull’influenza dell’azione comunitaria rimangono se si guarda, invece, alle procedure di finanziamento del Fondo Sociale Europeo, che hanno “costretto” gli stati membri e le autorità di gestione dei progetti di formazione a negoziarne i contenuti con le parti sociali (su quanto, poi, si sia trattato di una negoziazione effettiva o di una partecipazione “sulla carta”, gli studi sui patti territoriali offrono interessanti spunti di riflessione41).

40 “Legal institution cannot be easily moved from one context to another, like the transfer of a

part from one machine into the other. […] When a foreign rule is imposed in a domestic culture, it is not transplanted into another organism, rather it works as a fundamental irritation which triggers a whole series of new and unexpected events. It irritates, of course, the mind and the emotions of tradition-bound lawyers, but, in a deeper sense- and this is the core of my thesis- it irritates law’s binding arrangements” ( Teubner, 1998).

41 Nonostante uno dei principali vantaggi riconosciuti ai sistemi di regolazione del lavoro basati

sulla concertazione locale sia proprio la dimensione partecipativa dei processi decisionali, studi empirici sulle esperienze pattizie dimostrano come, in alcuni casi, le dinamiche negoziali

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