Il 2003 viene indicato dai commentatori (Roccella 2007; Caruso 2007) come l’anno di inizio della seconda fase della SEO: abbandonata la tradizionale articolazione in quattro pilastri, le guidelines si sviluppano attraverso tre obiettivi generali (piena occupazione, qualità e produttività sul posto di lavoro, coesione e integrazione sociale) e dieci orientamenti specifici. La scelta di sfoltire e semplificare le guidelines si inserisce nel progetto più generale di riordino e razionalizzazione dei processi di coordinamento delle politiche, attraverso la sincronizzazione degli indirizzi di massima per le politiche economiche e dell’occupazione, stabilita nel Consiglio di Barcellona del marzo 2002 e definitivamente formalizzata nel 2005 con gli “orientamenti integrati”.
Negli orientamenti per il 2003, l’accesso dei lavoratori alla formazione, ma più in generale l’attuazione di strategie coerenti di apprendimento lungo tutto l’arco della vita, sono definiti strumenti indispensabili per il raggiungimento di tutti e tre gli obiettivi generali della rinnovata strategia per l’occupazione: in relazione all’obiettivo della piena occupazione, la formazione è concepita ancora una volta come misura di attivazione, strumento per il trasferimento di competenze chiave per l’ingresso nel mondo del lavoro e di incentivazione al lavoro; riguardo al secondo obiettivo, la partecipazione dei lavoratori alla formazione continua rappresenta un elemento di sicurezza fondamentale nelle strategie di flexicurity, volte ad aumentare la produttività e la sicurezza del
lavoro, e la competitività delle imprese19; la formazione è, inoltre, individuata come elemento determinante per lo sviluppo della coesione sociale (sia perché in grado di ridurre le disparità legate alle diverse opportunità di accesso alla conoscenza, sia in quanto propedeutica all’inserimento lavorativo degli “esclusi”, visto come priorità assoluta per l’integrazione delle persone svantaggiate e per la sostenibilità dei sistemi di protezione sociale).
In particolare, la formazione continua rileva dunque, ancora una volta, in riferimento all’adattabilità di imprese e lavoratori (orientamento specifico n.3), ed all’interno dell’orientamento 4 (promuovere lo sviluppo del capitale umano e l’apprendimento lungo l’arco della vita), dove si sottolinea la necessità che sia le imprese, sia gli individui, investano nella formazione degli adulti.
La relazione comune del 2003 prende atto della situazione di stallo nel processo di avvicinamento agli obiettivi fissati a Lisbona: l’impatto della recessione economica sui livelli di occupazione e di disoccupazione impone di aumentare gli sforzi volti a creare nuovi posti di lavoro ed a rilanciare le attività economiche in tempi brevi. Questo è precisamente lo spirito della relazione della Task Force sull’occupazione presieduta da Wim Kok20, che informa di sé la relazione congiunta del 2003 ed avrà un peso determinante nella riarticolazione della SEO del 2005. Le parole d’ordine sono produttività ed efficienza: sebbene la cornice della flessicurezza e l’orizzonte della qualità del lavoro rimangano apparentemente inalterati, si pone con più forza l’accento sulla necessità di aumentare la produttività del lavoro (per competere con le migliori performance degli Stati Uniti) e di razionalizzare gli investimenti in capitale umano in vista di un impiego più efficiente delle risorse.
Aspetto ancora più importante per il nostro tema è l’aumento dell’enfasi 19In particolare, si sottolinea la necessità di non trascurare il profitto derivante dagli investimenti in formazione, sia per i lavoratori che per le imprese ed il sistema economico in generale.
20 "Jobs, Jobs, jobs – Creating more Employment in Europe" Report of the Employment
sulla necessità di ampliare e modernizzare il concetto di sicurezza del lavoro, in modo che, inglobando la formazione continua, possa coprire “non solo la protezione dell'occupazione, ma anche lo sviluppo della capacità delle persone di mantenere un'occupazione e di progredire professionalmente”. L'eterno dilemma della conciliazione tra efficienza produttiva e qualità/sicurezza del lavoro si ripropone nel suggerimento di una mobilità “promozionale” nel mercato.
Alla luce della previsione del Consiglio Europeo di Bruxelles del marzo 2003 di attribuire agli orientamenti una prospettiva triennale, nel 2004 gli orientamenti dell’anno precedente vengono sostanzialmente riconfermati.
Un’ulteriore riforma della SEO viene invece attuata nel 2005, attraverso la messa a punto di un insieme integrato di orientamenti per l’occupazione e di indirizzi di massima per le politiche economiche, avente lo scopo di ricentrare la strategia di Lisbona sfruttando meglio le sinergie tra politiche economiche, sociali ed ambientali “in un contesto generale di sviluppo sostenibile”21. Accanto agli obiettivi generali già fissati nel 2003, appaiono adesso tre priorità: attrarre in modo permanente un maggior numero di persone verso il mondo del lavoro; accrescere la capacità di adattamento dei lavoratori e delle imprese; aumentare gli investimenti in capitale umano, migliorando l’istruzione e le qualifiche.
La formazione continua, ancora una volta, è un filo rosso che percorre trasversalmente le priorità fissate in ambito occupazionale: strumento di integrazione attiva dei disoccupati e degli inattivi nel mercato del lavoro; sostegno per i lavoratori destabilizzati dalle trasformazioni delle economie e dalle ristrutturazioni che ne derivano; tassello imprescindibile del più generale processo di potenziamento e miglioramento degli investimenti in capitale umano, cui si affida il compito di sostenere la competitività dell’economia
europea, fondata sulla conoscenza e sui servizi. Proprio in quest’ultima accezione essa torna ad offrire un esempio di quadratura del cerchio rispetto al progetto di integrazione tra obiettivi occupazionali ed economici: l’investimento in sistemi “abbordabili ed accessibili” di formazione continua (orientamento 23) viene, infatti, ricondotto all’orientamento integrato n.7 (aumentare e migliorare gli investimenti nella ricerca e nello sviluppo, in particolare nel settore privato, in vista della creazione di uno spazio europeo della conoscenza), definendo uno spazio di compatibilità tra strategie di sviluppo economico basate su qualità ed innovazione e qualificazione dei lavoratori coerente con la filosofia dell'Agenda di Lisbona.
La prospettiva dell’integrazione fra politiche economiche ed occupazionali appare, invece, più controversa, se si guarda agli orientamenti relativi all’adattabilità. Qui si fa infatti riferimento ad un modello di sviluppo economico diverso, che lega competitività e crescita occupazionale alla deregolazione dei mercati del lavoro ed alla moderazione salariale, obiettivi difficilmente compatibili con l’obiettivo di creare posti di lavoro più numerosi e di migliore qualità (a questo proposito è del resto significativo che il titolo della relazione della commissione Kok, che come abbiamo sottolineato ha avuto un peso determinante nella nuova articolazione della SEO, faccia riferimento solo all’aspetto quantitativo della crescita occupazionale: “Jobs, jobs, jobs: creating more employment in Europe").
In questa prospettiva, anche l’appello ad articolare strategie di formazione continua che offrano sicurezza e garanzie di sviluppo professionale ai lavoratori appare meno convincente, se esse diventano un “palliativo” per subordinare la protezione dei lavoratori all’imperativo della crescita economica, all’interno di una visione, a dire il vero, poco equilibrata dell’integrazione tra le diverse politiche.
come l'espressione principale dell’ambiguità di alcuni aspetti della strategia di flexicurity ricorrenti nella SEO, che segna un definitivo sbilanciamento sull'obiettivo della flessibilità, indotto dalla necessità di raggiungere gli obiettivi occupazionali fissati a Lisbona.
Eppure, di una svolta definitiva della SEO in questa direzione non si può ancora parlare: nel giro di pochi mesi, una comunicazione della Commissione22, la pubblicazione del rapporto congiunto 2005-2006 e le conclusioni del Consiglio di primavera del 24 marzo 2006, dimostrano come l’attenzione delle istituzioni comunitarie ai risvolti sociali delle scelte operate in campo economico ed occupazionale ed alle plurime dimensioni della qualità del lavoro sia ancora forte, o addirittura rafforzata, proprio dall’emergere della preoccupazione che la strategia di flessicurezza, suggerita negli anni precedenti, stia subendo una distorsione determinata dall’accoglimento parziale, da parte degli stati membri, degli orientamenti comunitari in materia. Così, riprendendo le considerazioni espresse nella comunicazione della Commissione “È ora di cambiare marcia”, il rapporto congiunto del 2005-2006 sottolinea come gli stati membri abbiano mancato l’obiettivo di coniugare maggiore flessibilità con maggiore sicurezza, concentrandosi sulle riforme dei mercati del lavoro, senza impegnarsi a sufficienza nella predisposizione di politiche che favoriscano in modo attivo ed efficace le transizioni nel mercato del lavoro, né nella costruzione di sistemi affidabili ed innovativi di apprendimento permanente. Rispetto a quest’ultimo punto, viene sottolineato come, nonostante gli sforzi degli stati membri volti a raggiungere migliori risultati in termini di partecipazione alle attività formative e qualificazione dei sistemi di istruzione e formazione, nessun paese abbia aumentato gli investimenti pubblici e privati nella formazione, e pochi siano in grado di fornire risposte globali al problema dell’accesso dei lavoratori (soprattutto i
22 “E’ ora di cambiare marcia: il nuovo partenariato per la crescita e l’occupazione”,
meno qualificati) alla formazione continua. Rispetto a questo quadro appare quasi rituale il riconoscimento da parte della Commissione dell’importanza della formazione continua all’interno della strategia di flexicurity. Seguendo una linea di continuità con il passato, le conclusioni del Consiglio di primavera dello stesso anno ritornano sulla crucialità degli investimenti in formazione rispetto all’aumento dei livelli occupazionali ed allo sviluppo complessivo dei sistemi economici, ricostruendo il quadro di un modello competitivo basato soprattutto sulla qualificazione delle risorse umane.
Questo percorso - iniziato nel 2003 a fronte della delusione per i risultati insoddisfacenti della strategia di Lisbona; segnato da occasionali abbandoni ad afflati efficientisti, che sembrano adombrare l’ambizioso obiettivo di una crescita basata sulla quantità e la qualità del lavoro; intervallato da puntuali ritorni ad un progetto originario, basato su un’idea di sviluppo (economico) sostenibile e su un’idea di crescita (occupazionale) inclusiva; infine, complicato dalla difficile gestazione di un modello comune di flessicurezza, che si auspicava risolvesse un’ambiguità protrattasi ormai per anni - culmina nella promulgazione del Libro verde del 200623.
Non è questa la sede per entrare nel merito del dibattito suscitato dal Libro verde, sia perché ciò esulerebbe dal nostro tema centrale, sia perché esso è già stato autorevolmente affrontato in altre sedi, a cui si rimanda24. Ciò che è interessante notare è l’effetto suscitato da alcuni affermazioni in esso contenuto, che riteniamo essere quello di aver svelato l'ambiguità di alcuni assunti che, partoriti già da tempo dal pensiero liberista in sede teorica, erano
23 “Libro verde: modernizzare il mercato del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo”,
Bruxelles, dicembre 2006 [COM (2006) 708 final].
24A questo proposito, v. il contributo di numerosi studiosi e pratici del diritto del lavoro
riportato in: I giuslavoristi e il Libro verde “Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo”, Una valutazione critica e propositiva, www.lex.unict.it/eurolabor/news/doc_libroverde.pdf ; Leonardi S., Sul Libro Verde “Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo”, in Rivista Giuridica del lavoro, n.1, 2007.
latenti anche all’interno della SEO. Accanto all’esaltazione tout court della deregolazione, al suggerimento di ridurre le tutele dei lavoratori standard per evitare la segmentazione dei mercati del lavoro, alla riproposizione della metafora della “gabbia dorata” in riferimento al lavoro dipendente a tempo indeterminato tipico dell’impresa fordista, particolarmente rilevante, per il nostro tema, appare il riferimento alla formazione nel mercato del lavoro come alternativa alla protezione del posto di lavoro. Parte di questi assunti, nonostante la nube di polemiche addensatasi da subito intorno al Libro Verde, anche grazie alla pubblicità del processo di discussione dei suoi contenuti, traghetta all’interno della SEO e traspare dal rapporto congiunto 2006-2007. Qui, si lamenta la scelta della maggior parte degli stati membri di optare per una “flessibilità ai margini” del mercato del lavoro ed il rifiuto di riformare il lavoro standard25. L’obiettivo cui si dovrebbe puntare, si legge nel rapporto, è invece quello di fare in modo che “i lavoratori scambino la tradizionale sicurezza dell'occupazione con la sicurezza sul mercato”, la quale deve, ovviamente, essere favorita da moderni sistemi di sicurezza sociale e di formazione professionale. Al contrario, gli stati non hanno ancora fatto progressi nella articolazione di strategie globali di apprendimento permanente: sul versante della formazione continua, in particolare, si è assistito addirittura ad una riduzione dei livelli di partecipazione, mentre rimane inevasa la sollecitazione ad una razionalizzazione della spesa in formazione ed alla ripartizione dei costi tra imprese, pubbliche autorità e privati. Si sollecita, a questo proposito, un ripensamento relativo alle priorità di investimento in
25“Nei paesi dell'Europa centro-occidentale, le politiche tendono a introdurre la flessibilità ai
margini del mercato e ciò aggrava il rischio di segmentazione malgrado alcuni progressi in materia di occupazione. Sono attuate politiche attive del mercato del lavoro, ma sarebbe opportuno migliorarne l'efficacia attraverso un effetto combinato dei "bastoni" e delle "carote". I paesi dell'Europa sud-occidentale costituiscono spesso mercati del lavoro fortemente segmentati a causa delle politiche applicate in precedenza per introdurre flessibilità ai margini del mercato, senza agire sui mercati del lavoro tradizionali, estremamente statici, e senza lottare contro il lavoro nero” Rapporto congiunto 2006-2007.
materia di formazione: la valorizzazione dell’istruzione superiore, sebbene importante, non può essere considerata una “panacea”, bisogna, cioè, investire maggiormente nella formazione continua per l’adattamento delle imprese e dei lavoratori, promuovendo modelli organizzativi innovativi come quello dell’“apprendimento discrezionale”26.
Nonostante il persistere di ambiguità ed incertezze rispetto alle priorità ed agli strumenti più idonei a scongiurare il rischio del fallimento della strategia di Lisbona, la seconda fase della SEO è evidentemente segnata dalla perdita di rilevanza di quella prospettiva personalistica che ha caratterizzato le politiche della formazione comunitarie negli anni novanta e nella prima fase della SEO. Smarrita “la bussola” costituita da un’idea di sviluppo basata sulla libertà effettiva e sulla dignità della persona, la SEO comincia a navigare a vista (Caruso, 2007), nel tentativo di inseguire le congiunture economiche e di funzionalizzare politiche strutturali (come quelle formative) al raggiungimento di risultati immediati: l’enfasi sulla necessità di ampliare le competenze trasversali (le uniche in grado di ridurre le disuguaglianze nell’accesso alla formazione, dotando gli individui della “capacità di apprendere”) si affievolisce, mentre l’invito a creare sistemi integrati, inclusivi ed efficienti di istruzione e formazione è accompagnato dal monito ad un impiego più efficiente delle risorse; si sgombra il campo ad una visione più efficientistica
26 All’interno di un discorso più generale volto a promuovere sia la flessibilità esterna che
quella interna e ad enfatizzare il rapporto tra flessibilità, innovazione ed apprendimento, nelle Conclusioni Fondamentali della Relazione sull’occupazione in Europa nel 2007 [COM (2007) 733 final] si definisce il modello dell’ “apprendimento discrezionale” come variante della flessibilità interna avanzata, che combina maggiori aspettative nei confronti dei lavoratori, in termini di responsabilità e soluzione dei problemi, con una maggiore autonomia sul lavoro. A questo proposito la Commissione sottolinea che “i modelli caratterizzati dalla discrezionalità sul lavoro […] sono il modo più efficace di sviluppare l’innovazione interna all’azienda, mentre il modello tutelato, caratterizzato da un basso grado di autonomia e dalla preminenza
di rotazione delle mansioni e lavoro di squadra, tendea comportare l’adozione e/o modifica di
tecnologie esistenti. Il coinvolgimento dei lavoratori nella comprensione e soluzione dei problemi connessi con la produzione sembra quindi essere un fattore cruciale per le attività di apprendimento e innovazione, oltre al completamento dell’istruzione classica (secondaria) e/o alla partecipazione alla formazione professionale continua.”
degli investimenti in formazione continua, che devono rispondere alle richieste del mercato, secondo il modello della reattività alla congiuntura teorizzato da Regini (2000).
1.6. L’impatto della crisi finanziaria globale sulla SEO e gli sviluppi più