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La questione della qualità del lavoro nell'Agenda di Lisbona ed il ruolo della formazione continua, tra equità e sviluppo economico.

L’Agenda di Lisbona segna una svolta all’interno del primo ciclo della SEO: sebbene la struttura ed i contenuti della strategia europea per l’occupazione rimangano sostanzialmente invariati, almeno fino al 2003, è possibile cogliere negli orientamenti post-Lisbona chiari riferimenti ai temi chiave dell’Agenda ed alla questione della qualità del lavoro: da un maggiore coinvolgimento delle parti sociali (cui viene demandata l’attuazione della strategia di flexicurity), alla promozione della responsabilità sociale delle imprese; dal suggerimento di modelli organizzativi flessibili più vantaggiosi tanto per le imprese, quanto per i lavoratori, alla valorizzazione del tema della salute e sicurezza sul luogo di lavoro; dall’attenzione per le nuove forme d’impiego15 alla promozione della mobilità dei lavoratori attraverso la trasparenza e la certificazione delle qualifiche.

Il concetto di qualità del lavoro proposto dall’Agenda di Lisbona è stato 15Attenzione testimoniata, nell’Agenda Sociale, dalla sollecitazione rivolta alle parti sociali a dare seguito agli accordi sul lavoro temporaneo.

sottoposto a critiche che vertono soprattutto sulla difficoltà di conciliare due dimensioni distinte, che possono entrare in contraddizione: da un lato, la qualità del lavoro per i lavoratori, intesa come miglioramento dei contenuti e delle condizioni di lavoro, aumento della sicurezza (sul lavoro e del lavoro), maggiori possibilità di conciliare lavoro e vita privata, maggiori possibilità di scelta; dall’altro, la qualità del lavoro per le imprese e per i sistemi economici, che si esprime in un incremento dell’efficienza, della produttività, della flessibilità e della cooperazione all’interno dei sistemi di relazioni industriali. Più brevemente, si è guardato con sospetto al nesso qualità-produttività, già ipotizzato da Soskice nel 1989, allorché individuava le cinque condizioni essenziali per accrescere la competitività in Europa evitando la competizione regressiva sul prezzo ed orientandosi verso produzioni flessibili di qualità: gestione manageriale lungimirante, qualificazione delle risorse umane, cooperazione tra management e lavoratori, cooperazione con clienti e subfornitori, contenimento salariale. Il nesso tra qualità del lavoro e produttività è centrale anche nel modello della solidarietà competitiva teorizzato da Streeck (2000), in cui la competitività dei paesi europei è legata alla qualificazione delle risorse umane ed alla specializzazione produttiva in nicchie di mercato al riparo dalla competizione al ribasso dei paesi emergenti, e la solidarietà non si basa più sulla protezione ex post dai rischi del mercato, ma sulla dotazione iniziale di vantaggi competitivi (arricchimento del capitale umano), che favorisce allo stesso tempo la protezione dei lavoratori e la produttività dei sistemi economici.

Più di recente, è stata ribadita (Trigilia, 2002) la necessità, per i paesi europei, di sfidare la competizione al ribasso, percorrendo una “via alta” (capace di “dinamismo, innovazione e condizioni più favorevoli in produzioni diversificate e di qualità”). All’interno di questi modelli, la qualità del lavoro è interconnessa e multidimensionale: un lavoro di qualità è un lavoro produttivo

ed efficace per l’impresa, ma è anche un lavoro inclusivo, soddisfacente e conciliabile con altre sfere esistenziali (Caruso, 2007). La pluridimensionalità del concetto di qualità del lavoro contenuto nell’Agenda è, in linea di principio, conciliabile con questa prospettiva, ed è coerente con il modello dell’integrazione tra politiche economiche, occupazionali, sociali che caratterizza l’Agenda.

Tuttavia, la conciliabilità tra le esigenze di qualità del lavoro di imprese e lavoratori non può essere considerata scontata né automatica, poiché è condizionata dall'asimmetria delle relazioni fra le parti e deve essere “costruita socialmente” in relazione alla specificità dei contesti istituzionali, attraverso negoziazioni multiple che si giocano in diversi ambiti (dai luoghi di lavoro al sistema politico) e su più livelli (dal locale al sovranazionale). La praticabilità di una “via alta alla competitività” in Europa dipende proprio dagli esiti di queste negoziazioni e non può essere postulata aprioristicamente.

Altra questione è, quindi, valutare i limiti macroscopici della visione utopica (Massimiani, 2006) sottesa all’Agenda “alla prova dei fatti”. La trasposizione della prospettiva sopra enunciata negli orientamenti della SEO, in particolare dopo il 2005, comincerà ad essere inquinata ad opera dei sempre più frequenti richiami al collegamento tra sviluppo economico, deregolazione e adeguamento salariale.

Un altro elemento dell'Agenda che ha suscitato perplessità è il perseguimento di una crescita, oltre che qualitativa, anche quantitativa del lavoro, con la fissazione dell'obiettivo della (quasi) piena occupazione in lavori di qualità entro il 2010. Tuttavia, alla base di questa visione troppo ottimistica delle possibilità di sviluppo congiunto della qualità e della quantità del lavoro in Europa, c'è forse anche la necessità di esprimere un orientamento (valoriale prima che operativo) forte, di fronte alla terziarizzazione delle economie (incoraggiata anche nell'Agenda) che, oltre a promettere un incremento dei

livelli occupazionali, paventava lo spettro della diffusione dei cattivi lavori (i

bad-jobs statunitensi)16. Come già anticipato, questi orientamenti si riflettono

sui contenuti della SEO.

Sulla scorta della forte enfasi posta dall'Agenda sul rapporto tra potenziamento del capitale umano, sviluppo economico ed equità sociale, negli orientamenti per il 2001 viene ribadito l’invito a migliorare i sistemi di istruzione e formazione continua, sottolineando la necessità di favorire l’accesso alla formazione da parte di tutti i lavoratori, compresi quelli con contratti atipici (per la prima volta esplicitamente nominati all’interno della SEO). Gli stati membri vengono inoltre invitati ad agevolare la mobilità dei lavoratori attraverso il riconoscimento di qualifiche, conoscenze e competenze. Anche all'interno del pilastro dell’adattabiltà è possibile cogliere sfumature nuove, se si confrontano gli orientamenti 15, 16 e 17 del 2000 con gli orientamenti 14 e 15 del 2001. La sollecitazione a favorire l’adattabilità delle imprese introducendo forme d’impiego flessibili, è accompagnata infatti, nel 2001, dalla raccomandazione a conciliare la maggiore flessibilità con una maggiore sicurezza, che sia compatibile non solo con le esigenze delle imprese (come negli orientamenti degli anni precedenti), ma anche con le aspirazioni dei lavoratori.

L’imperativo dell’adattabilità delle imprese è ricondotto definitivamente alla più generale cornice del lifelong learning, sottolineando come la promozione delle competenze all’interno delle imprese sia un elemento fondamentale dell’apprendimento permanente, di interesse comune alle parti sociali. Qui è possibile cogliere un ribaltamento di prospettiva: negli orientamenti precedenti le imprese sono viste come attori cruciali nelle strategie nazionali di lifelong

16Appurata l'illusorietà degli standard quantitativi fissati a Lisbona in materia di aumento dei

tassi di occupazione, è importante, tuttavia, sottolineare la valenza innovativa dell'Agenda, che concentra l'attenzione sull'aumento dell'occupazione più che sulla riduzione della disoccupazione, sottolineando il nesso tra aumento della partecipazione al lavoro delle fasce deboli (soprattutto le donne) e crescita occupazionale.

learning e si affida il compito di incentivare la formazione in azienda agli stati membri, chiamati a rimuovere attraverso sgravi ed incentivi fiscali gli ostacoli agli investimenti in formazione; negli orientamenti del 2001 l’obiettivo di promuovere l’adattabilità delle imprese è affidato, invece, ad accordi tra le parti sociali e finalizzato ad offrire ad ogni lavoratore “un’opportunità di apprendere le tecniche della società dell’informazione”. A questo scopo, alle parti sociali si richiede di stipulare accordi volti ad assicurare a tutti i lavoratori opportunità di apprendimento soprattutto nel campo delle tecnologie dell’ICT. La formazione, infine, assume grande rilevanza in materia di salute e sicurezza del lavoro, ambiti nei quali viene richiesto, ancora una volta agli stati membri di concerto con le parti sociali, un maggiore impegno.

La relazione comune per il 2001 constata come l’obiettivo della qualità sia stato perseguito dalla maggior parte degli stati membri più sul versante del miglioramento dell'offerta di lavoro che su quello della qualità dell’occupazione. Inoltre, si rileva come l’obiettivo della creazione di posti di lavoro più numerosi e di migliore qualità possa essere perseguito solo attraverso la combinazione delle politiche all’interno dei diversi pilastri, per cui vengono sollecitati maggiori sforzi sul versante dell’imprenditorialità e dell’adattabilità. Per quanto concerne in particolare la formazione continua, il rapporto congiunto sottolinea come la maggior parte delle azioni, basate su accordi o iniziative congiunte o tripartite, riguardi l'accesso alla formazione individuale o di gruppi a rischio, il riordino o il potenziamento dei fondi. Tuttavia, si sottolinea l’assenza, nei NAPs, di riferimenti alla predisposizione di strumenti che garantiscano ad ogni lavoratore l’accesso alla formazione nel settore dell’ICT.

Gli orientamenti per il 2002 non introducono sostanziali modifiche, ma è interessante notare come all’interno del primo pilastro venga ribadita la necessità che gli stati membri si dotino di sistemi efficienti di riconoscimento

delle qualifiche, delle competenze e delle conoscenze, specificando come queste debbano essere validate sia se acquisite in contesti formali di istruzione e formazione, che in contesti informali ed attraverso l’esperienza: questo orientamento si inserisce nel dibattito sulla validazione delle competenze e sulla trasparenza dei sistemi di qualifiche, aperto dal Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente del 2000, che accosta al concetto di lifelong learning quello di lifewide learning, promuovendo l’importanza delle conoscenze e delle competenze acquisite trasversalmente a tutti i contesti di vita (dal lavoro, al tempo libero, al volontariato). Questo orientamento sostiene ed incentiva esperienze già diffuse, o in via di sperimentazione, in quasi tutti i paesi europei: tra i paesi con sistemi già consolidati di validazione delle competenze la Francia, dove proprio nel 2002 la legge di modernizzazione sociale17estende all’insegnamento universitario il riconoscimento delle competenze acquisite attraverso l’esperienza lavorativa, valido fin dal 198518 all’interno dell’insegnamento superiore.

Il rapporto congiunto del 2002 evidenzia le stesse criticità del rapporto precedente, affrontando con maggiore dettaglio la questione della conciliazione di flessibilità e sicurezza: la formazione continua e lo sviluppo delle carriere sono definiti come aspetti essenziali della sicurezza del lavoro. Nonostante tutti gli stati membri abbiano intrapreso iniziative per sviluppare, anche mediante accordi tra le parti sociali a livello intersettoriale e settoriale, i sistemi di formazione continua, questi sforzi non sono inseriti, nella maggior parte dei casi, in approcci olistici al tema della modernizzazione dell’organizzazione del lavoro: alla sempre maggiore diffusione di interventi di flessibilizzazione dei mercati del lavoro (ed alla crescente diffusione di modalità d’impiego atipiche)

17 Loi de modernisation sociale du 17 janvier 2002, che ha istituito la Validation des Acquis des

Expériences (VAE), Ministère Éducation National, http: // www.education.gouv.fr/cid1106/ fonctionnement -de-la-v.a.e.html.

18Décret du 23 août 1985, Ministère Éducation National, http :

non corrispondono, cioè, iniziative globali atte a promuovere l’apprendimento e l’innovazione sul posto di lavoro. Si sottolinea, inoltre, l’aggravarsi delle discriminazioni nell’accesso alla formazione continua, destinate a creare spaccature tra i più qualificati ed i meno qualificati, tra i lavoratori delle grandi imprese e quelli delle piccole e piccolissime imprese, riproducendo disuguaglianze che mettono a rischio il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di Lisbona.

Provando a riassumere gli orientamenti comunitari presenti all’interno della SEO in questa prima fase, emerge una forte valorizzazione dell’intero spettro funzionale della formazione continua, nelle sue molteplici accezioni di bene pubblico, privato e collettivo (Caruso, 2007): essa figura sia come risorsa pubblica da canalizzare direttamente sulle persone per agevolare il loro accesso al lavoro (bene pubblico), sia come strumento di qualificazione produttivistica del lavoro (bene privato, seppur condiviso da imprese e lavoratori), sia come bene collettivo (Trigilia, 2005) alla cui produzione possono concorrere le parti sociali attraverso il metodo del partenariato, fortemente promosso dalle istituzioni comunitarie. Secondo Caruso (2007), dopo Lisbona sarà la sua accezione di bene pubblico funzionale allo sviluppo della libertà della persona ad emergere con più forza. In un ponte ideale con le riflessioni dei documenti comunitari degli anni novanta (Libro verde del 1993, rapporto Delors), la formazione continua diventa funzionale al lavoro di qualità ed alla realizzazione delle aspirazioni degli individui; essa, inoltre, figura per la prima volta come strumento di sicurezza nel lavoro flessibile, oltre che di adattamento del lavoro standard, e si sottolinea la necessità di rendere trasferibili le competenze acquisite. Questa concezione della formazione costituirebbe, del resto, uno dei fili conduttori della politica comunitaria, non solo all’interno della SEO, ma anche nelle disposizioni costituzionali nascenti: nel Trattato per la Costituzione europea, che incorpora la Carta dei diritti

sociali approvata a Nizza nel 2000, il diritto alla formazione continua figura come diritto fondamentale che, collegato al diritto all’istruzione, garantisce la libertà effettiva della persona attraverso la conoscenza (Caruso, 2007).

1.5. La seconda fase della SEO: l’ambiguità irrisolta della strategia di

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