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Disoccupazione, svantaggi educativi e lavoro interinale: le agenzie di somministrazione come “professioniste di insertion”.

Lavoro interinale e formazione in Francia

4.1 Disoccupazione, svantaggi educativi e lavoro interinale: le agenzie di somministrazione come “professioniste di insertion”.

Il lavoro interinale è molto diffuso in Francia, ed ha conosciuto una crescita straordinaria negli ultimi vent'anni, tale da rendere il mercato del lavoro interinale francese il quarto più grande al mondo dopo Stati Uniti, Giappone e Regno Unito (PRISME, 2010). Il comparto della somministrazione di manodopera appare piuttosto concentrato, il mercato è dominato da poche grandi agenzie (le prime tre detengono il 68% della quota di mercato). Secondo i dati della European Company Survey (2009), il 35% delle imprese francesi utilizza lavoro in somministrazione (a fronte del 23% delle imprese italiane51). Lo sviluppo del comparto è stato accompagnato da una progressiva professionalizzazione delle agenzie sul versante della gestione delle risorse umane tout court, oltre che della intermediazione di manodopera, che le ha spinte ad adottare una strategia competitiva basata sull'articolazione di politiche di valorizzazione delle risorse umane complesse, che vanno ben al di là degli interventi volti a soddisfare l'esigenza di adattare lavoratori poco qualificati a missioni specifiche. D'altra parte, come sostiene Vigneau (1997), l'impegno delle agenzie sul versante della formazione è stato un caposaldo per conquistarsi un'ampia legittimazione presso gli organi di governo e l'opinione

51 Anche considerando solo le piccole imprese (meno di 50 dipendenti), il 31% delle imprese

pubblica.

La recente crisi economica ha drasticamente ridotto il volume dell'occupazione interinale, soprattutto nel settore industriale, dove era più diffusa52, mentre il crescente ricorso al lavoro interinale ha accompagnato lo sviulppo dei servizi, fenomeno che ha cambiato sensibilmente anche la distribuzione degli interinali tra le categorie socio-professionali. Nel 2009 il 68% degli avviamenti si è verificato nel terziario e sono stati avviati soprattutto impiegati e quadri, in controtendenza rispetto alla tradizionale composizione del lavoro interinale in Francia; il numero di interinali nell'industria è tuttavia ritornato a crescere nel corso del 2010, recuperando buona parte dei posti soppressi a causa della crisi, mentre il trend di espansione di questa forma d'impiego nei servizi (soprattutto trasporti, commercio, turismo e ristorazione, amministrazione pubblica e servizi alla persona) continua, ma a ritmi più moderati (Ibidem). Nonostante la battuta d'arresto verificatasi tra il 2008 ed il 2009, ad oggi il numero di interinali in Francia (540000 equivalenti a tempo pieno) è tra i più alti fra i paesi europei, quasi quattro volte superiore a quello del nostro paese (145.13653), nonostante non sia regolato da una legislazione

particolarmente liberale.

A fronte di questa larga diffusione, la regolazione del lavoro interinale è stata da sempre caratterizzata da una visione “sospettosa” rispetto ai rischi connessi a questa tipologia d'impiego, che ha spinto a limitarne più severamente che in altri paesi le possibilità di utilizzo. Tuttavia, proprio questa diffidenza ha contribuito a sollecitare l'impegno del legislatore e delle parti sociali per la predisposizione di un sistema corposo di diritti e tutele dedicate per i lavoratori coinvolti (Auvergnon, 2004).

Oltre a prevedere, come in molti altri paesi europei, procedure di

52Nell'industria automobilistica sono stati soppressi quattro posti su cinque, equivalenti a tempo

pieno, nel 2009 (Dares, 2010).

autorizzazione specifiche per l'esercizio dell'attività di intermediazione di manodopera e solide garanzie di natura economica la legge individua dei casi tipici che possono giustificare il ricorso al lavoro interinale54ed una lista tassativa dei settori in cui esso è legittimo. Sono inoltre fissati dei limiti alla durata ed all’eventuale successione dei contratti di lavoro temporaneo nel tempo55 per impedire che la stessa posizione lavorativa sia occupata senza soluzione di continuità da lavoratori temporanei, rendendo legittimo il ricorso al lavoro temporaneo. In caso di violazione delle prescrizioni relative alla durata, il rinnovo o la stipula di contratti successivi, il lavoratore ha diritto alla conversione del proprio contratto in un contratto a tempo indeterminato con l'impresa utilizzatrice (Vigneau C., in Ahlberg et al., 2008).

Anche la creazione di un sistema di formazione specifico per i lavoratori interinali rientra in quest'ottica garantista, poiché esso ha lo scopo di agevolarne la progressione di carriera e l'accesso ad impieghi temporanei più qualificati o a contratti più stabili, grazie a diverse tipologie di interventi formativi che possono integrare il livello di istruzione iniziale o valorizzare le competenze pregresse. Come vedremo più avanti, in realtà, la nascita di un sistema specifico di formazione per i lavoratori interinali ha risposto tanto ad imperativi di tutela dei lavoratori, quanto di sviluppo ed istituzionalizzazione del comparto (Vigneau, 1997).

54Sostituzione di un lavoratore, aumento temporaneo dell’attività dell’impresa, impieghi

temporanei per loro stessa natura, comunque esclusivamente “per lo svolgimento di un compito preciso e temporalmente limitato”.

55La durata massima (rinnovi compresi) è di 18 mesi: tuttavia, essa è ridotta a nove mesi in

caso di attesa dell’entrata in servizio effettiva da parte di un lavoratore assunto con contratto a tempo indeterminato, quando oggetto del contratto sia la realizzazione di lavori urgenti necessari per delle misure di sicurezza. Essa è invece portata a ventiquattro mesi quando la missione debba essere svolta all’estero o nei casi di allontanamento definitivo di un lavoratore precedente alla soppressione del proprio posto di lavoro (c. trav., art. L. 124-2-2, II). Il contratto può essere rinnovato una sola volta; due o più contratti successivi aventi ad oggetto la stessa posizione lavorativa sono consentiti solo previo rispetto di un periodo di sospensione (pari alla metà della della durata della missione se inferiore a 14 giorni, ad un terzo se superiore a 14 giorni) anche se si tratta di lavoratori diversi, mentre per mansioni diverse è possibile reimpiegare anche lo stesso lavoratore senza alcuna sospensione.

Passando al profilo dei lavoratori interinali in Francia, il 26% ha meno di 24 anni. Quasi il 7% dei giovani in questa classe d'età è un lavoratore interinale, a fronte del 2% degli individui con un'età compresa tra i 25 ed i 49 anni (Insee, 2009). I lavoratori interinali francesi sono soprattutto uomini (71% uomini, 29% donne), in gran parte (52%) con un livello di istruzione medio-basso, complessivamente inferiore a quello dei colleghi di altri paesi europei (IdeaConsult, 2009) e ciò sarebbe in parte riconducibile all'alta percentuale di lavoratori che transitano al lavoro interinale dalla disoccupazione (che in Francia colpisce soprattutto i meno istruiti). Il lavoro interinale sembra dunque giocare un ruolo determinante per ridurre le difficoltà di accesso al lavoro da parte dei lavoratori meno qualificati, in particolare per i giovani che escono dal sistema formativo senza qualifica o con qualifiche troppo deboli per competere con i coetanei più istruiti su altri canali di inserimento.

In questo paese, infatti, la disoccupazione riguarda soprattutto i giovani ed è legata tanto al livello quanto al tipo di istruzione: il tasso di disoccupazione diminuisce con il crescere del livello d'istruzione ed è più alto per i giovani diplomati nella filiera professionale (CAP o BEP56) che per quelli con un diploma di insegnamento superiore, a loro volta più disoccupati dei diplomati nella filiera dell'insegnamento superiore tecnico57 (Givord, 2005). Nonostante l'aumento generale della partecipazione all'istruzione dei giovani francesi ed il prolungamento ormai sempre più frequente dell'istruzione anche dopo il superamento dell'età dell'obbligo, e nonostante ormai un giovane francese su tre si inscriva all'Università, la popolazione dei giovani in cerca di lavoro è sempre meno qualificata, in ragione di molteplici fattori. Sebbene l'allungamento generalizzato degli studi riduca sempre di più il numero di

56 Certificat d'Aptitude Professionnelle e Brevet d'Études Professionnelles.

57 Questa condizione non cambia con il tempo, poiché anche da adulti il rischio di

disoccupazione è legato al livello di qualificazione: se si guarda, infatti, ai tassi di disoccupazione specifici per categoria socio-professionale, gli operai sono tre volte più disoccupati dei quadri (Insee, 2008).

giovani che escono dal sistema scolastico con qualifiche basse, tra i giovani che cercano lavoro la proporzione di quelli poco qualificati è maggioritaria, e lo diventa sempre di più all'aumentare del numero di giovani che proseguendo gli studi restano fuori dal mercato ed entrano in competizione con i meno istruiti secondo un meccanismo ben noto di distribuzione “a cascata” del rischio di disoccupazione (Reyneri, 2010). D'altra parte, la sostituzione della norma sociale che collegava la fine dell'istruzione obbligatoria alla ricerca del lavoro con quella che sia necessario proseguire gli studi per “riuscire”, fa sì che i giovani meno istruiti siano automaticamente considerati “meno qualificati”. Ne consegue che i giovani attivi non diplomati o con qualifiche professionali sono sempre più penalizzati, anche se più competenti dal punto di vista lavorativo (Drancourt, Roulleau-Berger, 2002).

La condizione dei giovani sul mercato del lavoro è caratterizzata anche da un'ampia diffusione del lavoro a termine. Se è vero, infatti, che le formes particulières d'emploi non rappresentano che una minoranza del totale dell'occupazione, dagli anni ottanta ad oggi la probabilità di fare ingresso nel mercato del lavoro con un contratto a tempo indeterminato si è ridotta moltissimo per i giovani francesi ed oggi, tra le persone entrate nel mercato del lavoro da meno di cinque anni, una su tre ha un impiego atipico (Blasco, Givord, 2010).

Sul ruolo del lavoro interinale come veicolo di insertion si è discusso molto in Francia, poiché la professionalità delle agenzie e la loro profonda conoscenza dei mercati del lavoro locali le hanno da sempre candidate ad un ruolo da protagoniste nelle azioni di inserimento lavorativo. A partire dagli anni novanta, questa consapevolezza ha condotto, da un lato, all'istituzione delle ETTI (Entreprises de Travail Temporaire d'Insertion), agenzie no-profit specializzate nell'inserimento dei soggetti svantaggiati, il cui scopo è principalmente favorire una permanenza il più possibile lunga dei beneficiari

all'interno di una impresa utilizzatrice, per accrescerne le chances di inserimento stabile; dall'altro, alla collaborazione tra le agenzie e l'ANPE (Agence Nationale Pour l'Emploi), volta a utilizzare l'esperienza interinale come veicolo di inserimento e re-inserimento nel mercato del lavoro dei soggetti a rischio di esclusione.

Tuttavia, a fronte di un riconoscimento del ruolo positivo delle agenzie come professioniste di insertion, la loro credibilità e la loro visibilità hanno continuato a trovare un limite invalicabile nella “irriducibile precarietà” (Vigneau, 1997) delle occupazioni che sono in grado di proporre, per loro stessa natura temporanee.

Negli anni più recenti, tuttavia, la situazione sembra essere cambiata. Dopo la Loi de programmation pour la cohesion social del 18 gennaio 2005, che le ha autorizzate a svolgere attività di placement, attraverso l'offerta alle imprese clienti di servizi di intermediazione e valutazione di candidati in vista di un'assunzione con contratti a tempo determinato o indeterminato, le agenzie sono arrivate ad assumere una posizione ormai concorrenziale rispetto agli stessi servizi pubblici per l'impiego, che le ha trasformate in attori a pieno titolo delle politiche di regolazione del mercato del lavoro.

Senza dubbio, per le agenzie, questo ampliamento di funzioni non rappresenta solo un passo avanti nel processo di istituzionalizzazione che ne ha decretato il successo, ma soprattutto uno strumento di competitività, se è vero che esse oggi sono in grado di proporsi alle aziende per tutte le questioni connesse alla gestione delle risorse umane e, inoltre, questo nuovo ruolo in materia di inserimento “stabile” permette loro di attirare un numero sempre maggiore di candidati con esigenze diversificate.

Se da un lato, dunque, sempre più spesso il lavoro interinale costituisce un modo per favorire o accelerare l'ingresso nel mercato del lavoro dei lavoratori poco qualificati, dall'altro, si distinguerebbe da altre tipologie di impiego

atipiche per la sua capacità di aiutarli ad accrescere e mantenere la loro occupabilità anche durante il percorso lavorativo, attraverso il succedersi delle esperienze e delle opportunità di qualificazione e riqualificazione offerte dal sistema. Come vedremo nel prossimo paragrafo, in Francia, come in molti paesi europei, infatti, gli svantaggi educativi influenzano non solo le chances di trovare un impiego, ma anche l'accesso alle opportunità di formazione successive, sicché l'esperienza di lavoro interinale potrebbe costituire un canale privilegiato per il recupero di questi svantaggi, laddove offra l'occasione di colmare deficit relativi alle competenze di base o accrescere progressivamente il proprio livello di qualificazione.

4.2 La formazione continua in Francia: luci ed ombre di un sistema di eccellenza.

Gli studi comparativi sui sistemi nazionali di formazione continua hanno da sempre guardato al caso francese come ad una best practice, per via del “circuito virtuoso” che coinvolge Stato, imprese e parti sociali in un impegno comune e costante per la qualificazione dei lavoratori. Il risultato unanimemente ritenuto più importante dell'organizzazione complessiva del sistema è la partecipazione delle imprese alla qualificazione dei lavoratori, stimolata dall'obbligo legale di versare contributi per la formazione (variabili a seconda delle caratteristiche delle imprese, e dunque crescenti in funzione della dimensione) ad organismi bilaterali (OPCA- Organismes Paritaires

Collecteures Agrée58) incaricati di raccogliere e redistribuire i fondi. Tutte le

58 Gli Organismes Paritaires Collecteurs Agrées, enti bilaterali incaricati di raccogliere la

contribuzione obbligatoria versata dalle imprese per la formazione continua, sono stati istituiti nel 1994 (art. 74 Loi quinquennale du 20 dicembre 1993; Accord Interprofessional 5 juillet 1994) per sostuite il sistema in vigore dal 1971: questo si basava pur sempre sui principi della contribuzione obbligatoria e della mutualizzazione delle risorse ad opera di organismi istituiti a livello di settore professionale, ma aveva di fatto portato alla moltiplicazione degli organismi di mutualisation (circa 250), i quali erano d'altra parte gestiti esclusivamente dalla parte padronale. L'estrema complessità del

imprese sono tenute ad aderire a questo sistema di finanziamento della formazione, sebbene le più grandi possano scegliere di versare solo una parte del contributo obbligatorio ad un OPCA, utilizzando comunque la parte restante nell'organizzazione autonoma di interventi formativi per i propri dipendenti.

Da un lato, dunque, la contrattazione collettiva e più in generale il coinvolgimento delle parti sociali svolge un ruolo cruciale nel sistemadi formazione professionale, sia nei processi decisionali che in quelli gestionali; dall'altro, il sistema è sottoposto al controllo vigile dello Stato e della legge: dal 1971 i diritti connessi alla formazione professionale costituiscono un libro del Codice del lavoro e l'evoluzione della normativa negli ultimi quarant'anni (recependo in molti casi i risultati della contrattazione collettiva) è andata nella direzione dell'affermazione del diritto individuale alla formazione continua (consacrato definitivamente dalla legge del 4 maggio 2004) e dell'estensione dell'agibilità di questo diritto alle diverse categorie sociali e professionali. Nel 2009 (Loi n°2009-1437 du 24 novembre) le parti sociali ed il Governo sono di nuovo intervenuti sul sistema di formazione continua con l'intenzione di attuare una riforma in grado di rispondere alle sfide più recenti, ed a quelle inevase, riguardanti l'accesso alla formazione da parte dei meno qualificati, la trasferibilità del diritto individuale alla formazione continua per i lavoratori che sperimentano percorsi discontinui, la semplificazione e l'efficienza del tradizionale modello istituzionale bilaterale (OPCA).

Per quanto l'architettura istituzionale l'articolazione delle competenze, il governo della formazione continua in Francia coinvolge il livello nazionale e un'amministrazione decentrata: i ministeri svolgono funzioni di coordinamento sistema e l'iniquità della coincidenza tra soggetto "finanziatore" ed "erogatore" hanno spinto il Governo e le parti sociali ad attuare una riforma che avrebbe dovuto avere i seguenti obiettivi: riordinare il sistema, istituendo OPCA di settore a livello nazionale (filiera principale) ed interprofessionali a livello regionale (filiera sussidiaria); la generalizzazione della regola del paritarisme a tutti gli organismi che operavano in questo campo.

e di controllo e regolano la formazione generale e professionale iniziale, mentre le politiche di formazione continua sono state devolute alle regioni, responsabili anche degli schemi di apprendistato, attraverso un processo di decentramento iniziato negli anni ottanta e definitosi negli anni duemila. A tutti i livelli le parti sociali fanno parte di commissioni di controllo e ad esse è affidata la gestione della formazione continua all'interno delle OPCAs (raccolta e redistribuzione dei fondi, oltre che una serie di attività di monitoraggio, ricerca, partenariato con le istituzioni pubbliche per la promozione dell'occupazione, ecc...).

La formazione continua si compone di due macro-categorie: la formazione per i disoccupati e quella per gli occupati. Nella prima tipologia rientrano programmi specifici varati dalle istituzioni pubbliche di concerto con le parti sociali, da un lato; dall'altro, contratti di inserimento che comprendono momenti di formazione, durante i quali i disoccupati percepiscono una certa percentuale del salario minimo e il datore di lavoro beneficia di incentivi all'assunzione. Gli occupati, invece hanno accesso a tre tipologie di formazione: Plan formation (piani di formazione aziendali); CIF- congé individuel de formation (congedi retribuiti per la partecipazione a corsi di formazione scelti dal lavoratore); DIF-droit individuel de formation (diritto a 20 ore annuali di formazione retribuite fuori dall'orario di lavoro per tutti i dipendenti con un contratto a tempo indeterminato, o con un contratto a termine, proporzionalmente alla sua durata).

Gli sforzi fatti dalle parti sociali e dai governi succedutisi negli ultimi trent'anni per la promozione della formazione continua sono stati enormi, tanto da spingere qualche commentatore (Verdier, 2006) ad affermare che questo impegno quasi ossessivo ha portato a dimenticare i problemi connessi alla formazione iniziale, che rimane ancora l'elemento determinante nel segnare i destini dei percorsi occupazionali.

Due elementi importanti del sistema francese di formazione continua riguardano, infine, la rilevazione dei fabbisogni formativi e la validazione delle competenze: sul primo versante, lo Stato e le parti sociali hanno predisposto numerosi meccanismi di rilevazione dei fabbisogni di regioni, comparti, settori professionali e imprese59. Sul versante della certificazione delle competenze, di particolare interesse il dispositivo di VAE (Validation des Aquis de l'Expérience) che consente a tutti i cittadini con tre anni di esperienza di lavoro o volontariato di ottenerne la certificazione (attraverso un diploma o un certificato di qualificazione professionale) chiedendo all'OPCA di riferimento o al FONCECIF60 di sostenere i costi della preparazione per l'esame.

Rispetto a questo quadro, il diritto alla formazione continua trova un duplice fondamento ed una doppia legittimazione: da un lato, dunque, trova le sue radici nel contratto di lavoro, in risposta alla duplice obbligazione gravante sul datore di lavoro (dell'adattamento del lavoratore al posto di lavoro e di mantenimento della sua occupabilità61), che si esplica nel quadro dei piani formativi aziendali (plan formation); dall'altro, i dispositivi giuridici che riguardano il riconoscimento di diritti individuali all' orientamento, alla formazione, al riconoscimento/certificazione delle competenze sembrano trasporre la formazione continua dal piano dei contratti di lavoro a quello dei percorsi professionali. Proprio sul riconoscimento della necessità di integrare queste due logiche giuridiche si sono basati i recenti tentativi di riforma in direzione di quella che è stata definita la securisation des parcours professionnels.

59I contratti EDEC (engagements de développement de l’emploi et des compétences) che

prevedono incentivi rivolti soprattutto alle piccole imprese per promuovere l'attività di rilevazione dei fabbisogni professionali; i CEP (contrat d’études prospectives) condotti dalle parti sociali a livello territoriale o di settore e cofinanziati dallo Stato; i GPEC (gestion provisionnelle des emplois et compétences), obbligatori per le grandi imprese con più di 300 dipendenti.

60 Organismo bilaterale intersettoriale per la gestione del Congées Individuels de Formation. 61 Rispettivamente, articoli L.930-1 e L.321-1 del Codice del lavoro.

I risultati di questo sistema sono buoni se si guarda alle medie generali di partecipazione agli interventi formativi: in Francia la quota di adulti che partecipa alla formazione continua (35%) non si discosta dalla media europea (36,4%)62, ma il tasso di partecipazione è più elevato se si guarda ai soli occupati (46%, a fronte di una media europea del 33%)63. Le imprese investono in formazione anche oltre l'obbligo legale, soprattutto le più grandi, mentre le piccole e piccolissime imprese hanno orientamenti più incerti rispetto alle spese in formazione. Per far fronte a queste disparità, la legge ha previsto il meccanismo della mutualisation: ogni OPCA redistribuisce le risorse tra le imprese aderenti secondo criteri stabiliti dal Consiglio di Amministrazione, sicché non c'è una corrispondenza tra contributi versati da ogni impresa e prestazioni offerte dall' OPCA, proprio per rendere possibile una redistribuzione delle risorse a favore delle imprese più piccole. Tuttavia, nei fatti la mutualisation ha finito per operare al contrario, consentendo inaspettatamente un costante trasferimento di risorse dalle piccole imprese, che hanno più difficoltà ad utilizzare i fondi a loro disposizione, alle grandi, che, come già rilevato, investono volentieri in formazione e per di più versano solo parte dei loro contributi agli OPCA potendo assolvere all'obbligo legale di investimento in formazione con mezzi propri64.

Le disparità, d'altra parte, si giocano non solo sul piano delle dimensioni aziendali, ma anche all'interno della stessa impresa tra lavoratori con diversi livelli di qualificazione ed inquadramenti professionali. Sebbene, infatti, la

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