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La formazione continua in Europa: modelli istituzionali e quadro statistico.

2.2 Modelli di regolazione della formazione continua in Europa.

Lo studio dei modelli di regolazione della formazione professionale continua si inserisce nel più ampio dibattito sui rapporti tra economia, società ed istituzioni, volto a definire il ruolo e l'importanza della regolazione istituzionale nelle economie di mercato e ad individuare diversi modelli di capitalismo (Streeck, 1992; Dore, 1990): in particolare, a partire dagli anni ottanta del secolo scorso, il tema del rapporto tra istituzioni formative e performance dei sistemi produttivi è stato approfondito, nella consapevolezza del legame sempre più profondo esistente tra qualificazione delle risorse umane e sviluppo economico. Negli anni novanta il successo delle economie tedesca e nipponica ha attirato l'attenzione sui risvolti positivi di strategie competitive basate sulla centralità della formazione delle risorse umane nelle politiche economiche (Ambrosini, 1996): in Europa il "modello renano", caratterizzato da una stretta collaborazione tra imprese, lavoratori e istituzioni pubbliche, è stato assunto come parametro di riferimento da molti paesi. Tuttavia, gli studi

comparativi hanno ben presto svelato l'illusorietà di azioni imitative o di trapianti istituzionali (Regini, 2000), in quanto il segreto di un sistema formativo di successo risiede proprio nel suo radicamento nel tessuto sociale ed economico e nella sua capacità di rispondere alle necessità di un determinato sistema produttivo. D'altra parte, l'ormai lunga tradizione di studi sui modelli nazionali di formazione continua ha definitivamente chiarito l'importanza della regolazione istituzionale di questo bene pubblico fondamentale per lo sviluppo: sebbene, cioè, sia impossibile individuare un modello vincente esportabile, il successo dei paesi caratterizzati da una più ampia regolazione della formazione continua e dal coinvolgimento di tutti gli stakeholders nel processo di formulazione e di implementazione delle politiche conferma che la qualificazione delle risorse umane non può essere demandata alla pura regolazione di mercato. Inoltre, l'importanza della regolazione pubblica della formazione continua è legata al suo configurarsi, oltre che come fattore di competitività per i sistemi economici, anche come diritto sociale: da qui la necessità di garantire l'equità nell'accesso alle opportunità formative, ma anche certe caratteristiche dell'offerta di formazione che non sarebbero assicurate dal libero incontro tra domanda ed offerta sul mercato (ampiezza dei contenuti, programmazione a lungo termine delle esigenze formative, rispondenza ai bisogni individuali dei lavoratori oltre che a quelli dell'impresa, trasferibilità delle competenze).

Sulla base di queste considerazioni, il confronto tra i modelli nazionali di formazione continua deve basarsi innanzitutto su parametri quali il livello e le forme di regolazione: nel primo caso è possibile individuare una sorta di continuum ideale che va da un livello massimo ad uno minimo di intervento dei soggetti incaricati di definire il quadro normativo in questo settore; nel secondo caso, si tratta di individuare, per ogni modello, principi di funzionamento, attori principali e strumenti di regolazione prevalenti.

Il livello di regolazione fa riferimento, dunque, alla diversa intensità con cui lo stato o gli altri soggetti competenti in materia esercitano il loro controllo sul sistema di formazione continua: ciò può avvenire attraverso l'istituzione di un quadro normativo ampio ed articolato (dal riconoscimento del diritto individuale alla formazione nei testi costituzionali o nelle leggi, all'imposizione di obblighi formativi alle imprese, alla ratifica di accordi tra le parti sociali); attraverso l'organizzazione di un apparato amministrativo su diversi livelli, incaricato di dirigere e controllare l'esecuzione degli interventi in materia; attraverso la costituzione di una rete di servizi di formazione o la predisposizione di un sistema di finanziamento pubblico strutturato; attraverso la formulazione di politiche di promozione o di incentivazione degli investimenti in formazione (dagli sgravi fiscali ai contributi per le imprese). Ad un estremo di questo continuum potremmo trovare paesi in cui la formazione continua è regolata dalla legge e costituisce materia di competenza dell'amministrazione centrale o locale dello stato, che si occupa sia della formulazione delle politiche di dettaglio, sia della loro implementazione, attraverso centri di formazione pubblici. Lo spazio lasciato all'iniziativa privata, in questo modello ideale, è esiguo, ma gli interessi privati di lavoratori ed imprese possono essere comunque soddisfatti dall'efficienza e dalla generosità del sistema. All'altro estremo, troveremmo invece paesi in cui non esiste un quadro normativo specifico per la formazione continua, che viene demandata all'iniziativa privata, come qualsiasi altro servizio venduto sul mercato. La fissazione delle caratteristiche e dei livelli delle prestazioni deriva, in questo caso, dal libero incontro di una domanda ed un'offerta formativa "esplicita" e l'efficienza del sistema dipende dalla qualità e dalla flessibilità dell'offerta e dalla fluidità del mercato di riferimento.

Per quanto riguarda, invece, le forme di regolazione, può essere utile trarre spunto dal modello teorico di Pais (2007), che ha preso in prestito categorie

concettuali elaborate da Streeck e Schmitter (1985) e da Polanyi (1944) in riferimento alle forme di interazione sociale in economia ed al rapporto tra economia, società ed istituzioni, applicandole al caso della formazione continua.

Secondo questo modello i sistemi di formazione continua regolati sulla base del principio della reciprocità sono quelli basati sull'apprendimento non formale, in cui la formazione viene trasmessa da un lavoratore all'altro procurando vantaggi al discente, ma anche all'organizzazione nel suo complesso, che si avvantaggia della condivisione delle competenze tra lavoratori. Sebbene questo modello sia oggi difficilmente riscontrabile, data la progressiva istituzionalizzazione di sistemi più o meno formali di apprendimento in quasi tutti i contesti produttivi, recentemente si assiste ad una sua rivalutazione: la crescente importanza attribuita all'appropriatezza ed alla flessibilità dei sistemi di formazione aziendale e la difficoltà di formalizzare le pratiche formative nelle piccole imprese hanno stimolato in molti paesi la diffusione di nuove pratiche (tutorship, coatching, counselling...) e l'avvio di politiche per il riconoscimento delle competenze acquisite in contesti d'apprendimento non formali.

Tab. 1 Le forme di regolazione della formazione continua

I sistemi formativi regolati prevalentemente secondo il principio dello scambio, invece, sarebbero quelli in cui è riservato più ampio spazio al mercato privato della formazione continua. Questa forma di regolazione è diversamente sviluppata nei paesi europei, ma sembra espandersi anche in quelli tradizionalmente caratterizzati da un forte apparato pubblico, come la Danimarca, sotto la spinta di trasformazioni economiche che reclamano una maggiore "reattività alla congiuntura" dei sistemi formativi (Regini, 2000).

La redistribuzione è la forma di regolazione tipica di modelli di governance basati su un forte ruolo dell'attore pubblico, con l'obiettivo di favorire la competitività del sistema economico, ma allo stesso tempo di ridurre i rischi di emarginazione sociale ed esclusione dal mercato del lavoro per i propri cittadini, attraverso un sistema pubblico di formazione continua.

Infine, l' associazione fa riferimento ad un tipo di regolazione caratteristica dei modelli in cui le parti sociali sono i principali protagonisti del sistema di formazione continua, che viene regolato attraverso la concertazione organizzativa. Questo modello, promosso dell'Unione Europea (vd. Cap.1), che da tempo incoraggia il coinvolgimento delle parti sociali nella gestione delle politiche formative, secondo Pais (2007) è destinato a diffondersi in molti paesi europei, in quanto ritenuto più efficace rispetto a soluzioni istituzionali più "rigide".

Le forme di regolazione finora descritte non si presentano quasi mai isolatamente nei diversi sistemi formativi europei, che possono essere al contrario descritti come combinazioni di forme di regolazione differenti, nonostante sia possibile individuarne una prevalente. Possiamo dunque provare ad elaborare una tipologia dei principali modelli istituzionali di formazione continua in Europa, precisando fin da ora l'impossibilità di ricondurre la realtà dei casi nazionali esclusivamente all'uno o all'altro modello.

potremmo immaginare che i tre modelli che seguono si dispongano lungo il continuum ideale prima immaginato, da un livello massimo ad uno minimo di regolazione.

Un primo modello istituzionale è quello statale, in cui la forma di regolazione prevalente è quella della redistribuzione. A questo tipo si avvicinano in linea di massima quasi tutti i paesi del Nord-Europa, in particolare Svezia, Finlandia e Danimarca, caratterizzati da un forte ruolo dello stato nella definizione del quadro legislativo e nella gestione del sistema di formazione continua.

Tab. 2 Modelli istituzionali di formazione continua in Europa.

STATALE ASSOCIATIVO DI MERCATO

Forma di regolazione prevalente

Redistribuzione Associazione Scambio

Quadro

normativo Leggi specifiche sulla formazione continua (regolamentazione del diritto individuale alla f.c., dei finanziamenti, degli obblighi per le imprese)

Framework generale stabilito da ministeri competenti e contrattazione a vari livelli fra le parti sociali

Regolazione indiretta, attraverso sistemi di incentivi, sgravi fiscali. Regolazione centralizzata delle procedure di valutazione e certificazione Attori principali Stato (ministeri, amministrazioni locali)

Parti sociali Imprese

Ruolo Parti

Sociali Consulenza nella formulazione/gestione delle politiche

Articolazione del quadro normativo, gestione dei finanziamenti, fornitura servizi

Associaz. Rappresentanza datori di lavoro: consulenza/gestione fondi Associaz. Rappresentanza lavoratori: consulenza Tipo di offerta formativa prevalente

Servizi pubblici Servizi privati (categoriali) Servizi privati

Modalità di

regolazione Coercizione Accordi/patti Contratti Livello di

centralizzazio ne

Controllo e coordinamento centrale con decentramento verticale/ amministrativo Decentramento verticale e orizzontale Decentramento non coordinato Requisiti per il successo Efficienza apparato pubblico, alta spesa pubblica

Inclusività del sistema (rappresentatività delle organizzazioni), controllo degli interessi particolari

Qualità dell'offerta, fluidità e trasparenza del mercato, efficienza dei sistemi di valutazione e certificazione

In questi paesi, lo sviluppo della formazione continua è parte integrante di vere e proprie strategie governative di diffusione del lifelong learning, portate avanti attraverso un impegno assiduo tanto sul versante della predisposizione di politiche e programmi per l'aumento dei livelli di partecipazione, quanto su quello del finanziamento degli interventi (la Danimarca, ad esempio, investe lo 0,5 del PIL in formazione, dato nettamente superiore alla media europea) (Lodigiani, 2008). La formazione continua è tradizionalmente materia di competenza statale ed è gestita attraverso l'azione degli apparati dei Ministeri competenti e di istituzioni specifiche. Tuttavia, questi soggetti sono affiancati in tutte la fasi (dall'elaborazione all'implementazione delle politiche) da commissioni composte dalle associazioni di rappresentanza di lavoratori e datori di lavoro, in una quadro di forte collaborazione coerente con le tradizioni cooperativistiche in materia di governo del mercato del lavoro, tipiche di questi paesi. Lo stato fissa attraverso leggi quadro i principi basilari del sistema di formazione professionale scolastica e degli adulti, normando con provvedimenti specifici la formazione continua (o mediante i regolamenti di specifici programmi, come in Danimarca, o demandando alla contrattazione collettiva di settore, come in Finlandia). L'intervento dello stato si manifesta anche attraverso l'organizzazione di una rete capillare di servizi pubblici: la maggior parte degli interventi nel campo della formazione continua certificate- oriented (o formale) è erogata da centri per l'educazione/formazione per gli adulti, che organizzano corsi tanto per i disoccupati ed i soggetti più vulnerabili, quanto per gli occupati, poichè anche le aziende si rivolgono spesso a strutture pubbliche per la soddisfazione dei propri bisogni formativi. In Finlandia, d'altra parte, è molto sviluppato, sul modello anglosassone, anche il settore della formazione professionale superiore, promossa da Università e Politecnici per i lavoratori cui accedono giovani e adulti. A fronte di un'offerta pubblica così generosa, la formazione su iniziativa aziendale non è regolata da

provvedimenti specifici, ma nonostante ciò, questi paesi registrano i più alti livelli di investimento pubblico e privato in formazione continua. A partire dagli anni novanta si è assistito a spinte verso una maggiore flessibilità, mediante privatizzazioni di istituti di formazione professionale superiore, semplificando il quadro nazionale delle qualifiche, introducendo valutazioni di merito per la concessione di finanziamenti pubblici e promuovendo l'individualizzazione dell'offerta formativa rispetto ai bisogni specifici di aziende e lavoratori, tutte iniziative intraprese con il consenso e la collaborazione delle parti sociali. É evidente come, sebbene lo Stato abbia un ruolo molto forte e la gestione del sistema di formazione continua sia centralizzata in quasi tutti i suoi aspetti, in questi paesi si assista ad un'ibridazione tra due forme di regolazione: quella della redistribuzione e quella dell'associazione, che è la forma prevalente nel secondo modello istituzionale individuato, che descriviamo di seguito.

Il modello che abbiamo definito associativo è caratterizzato dal protagonismo di soggetti associativi privati, in primo luogo le associazioni di rappresentanza di lavoratori e datori di lavoro, nella regolazione e gestione della formazione continua. Il sistema austriaco fornisce un buon esempio di questo modello istituzionale, sebbene anche in questo caso si assista ad una combinazione di principi regolativi: in Austria non esiste un quadro legislativo specifico per la formazione continua, che è affidata all'azione delle parti sociali ed all'iniziativa privata in un sistema che Cedefop (2009b) definisce a combined corporatist-market model. Il sistema della formazione continua, nettamente separato da quello della formazione professionale iniziale e dell'educazione degli adulti, gestiti dallo Stato, è imperniato sui principi del decentramento e della concertazione e regolato da corpi collegiali composti da rappresentanti eletti delle forze sociali. Al di là degli schemi predisposti dal governo centrale (corsi per disoccupati o voucher individuali per i lavoratori) i

fondi per la formazione continua provengono soprattutto dalle autorità regionali o dagli investimenti delle imprese, incentivati da politiche di sgravi fiscali. Le parti sociali gestiscono i finanziamenti pubblici attraverso le commissioni di cui fanno parte, ma sono allo stesso tempo i principali providers di formazione continua, attraverso i propri centri formativi, detentori di un primato storico (insieme alle associazioni religiose) nel campo della qualificazione dei lavoratori. Esse sono responsabili, a livello locale, della predisposizione dei contenuti dell'offerta formativa, ed hanno un importante ruolo anche all'interno delle aziende, esercitando all'interno dei consigli di fabbrica diritti di partecipazione a tutte le decisioni concernenti la formazione aziendale.

Infine, i sistemi imperniati prevalentemente sulla regolazione di mercato sono caratterizzati dall'assenza di disposizioni di legge vincolanti in materia di formazione continua, sebbene sia necessario distinguere, anche in questo caso, tra formal e non-formal training, da un lato, e tra formazione continua per i disoccupati e formazione per gli occupati (lasciata alla libera iniziativa delle aziende), dall'altro. Nel Regno Unito, ad esempio, in un quadro tradizionalmente caratterizzato dalla prevalenza del mercato privato e dal lassez-faire in materia di formazione dei lavoratori, la formazione per adulti certificate-oriented, erogata dai Further Education Colleges o dalle Università, rientra nelle competenze dei ministeri dell'educazione delle quattro nazioni ed è quasi sempre finanziata pubblicamente, così come la formazione per disoccupati, che rientra però tra le competenze del Department of work and pensions ed è gestita attraverso rigidi schemi di welfare to work. Al contrario, la formazione degli occupati non orientata ad una qualifica formale è affidata alle imprese, supportate dall'azione dei Sector Skill Councils (strutture di rappresentanza delle associazioni degli imprenditori che si occupano dell'identificazione dei fabbisogni formativi e della determinazione degli

standards occupazionali). Le imprese ed i lavoratori coprono quasi interamente i costi della formazione, nonostante i recenti sforzi del governo volti a sostenere finanziariamente l'accesso alle opportunità formative attraverso prestiti individuali e programmi di supporto per le imprese. Gli investimenti privati sono incoraggiati, da un lato, attraverso incentivi e campagne di promozione; dall'altro, attraverso un impegno costante del governo sul versante della valutazione dell'offerta formativa e del riconoscimento delle qualifiche.

La coesistenza di diversi tipi di regolazione, del resto già bene esemplificata dai casi finora citati, in alcuni sistemi nazionali è ancora più evidente, come nei casi francese e ed italiano, che analizzeremo più dettagliatamente nei capitoli successivi. Per ora sarà sufficiente sottolineare l'evoluzione di entrambi i sistemi verso il modello della regolazione associativa, in contesti caratterizzati, tuttavia, da situazioni di partenza differenti: in Francia, l'organizzazione di un sistema paritetico per la gestione della formazione continua risale agli anni settanta del secolo scorso ed è stata accompagnata dalla predisposizione di un quadro legislativo forte imperniato sul riconoscimento del diritto individuale alla formazione continua e sull'obbligatorietà degli investimenti in formazione per le imprese; in Italia, il recente tentativo di importare il modello paritetico francese con la costituzione dei Fondi interprofessionali per la formazione continua si è inserito in un quadro normativo debole e disarticolato, nonostante il succedersi quasi frenetico, negli ultimi due decenni, di leggi ed accordi sulla formazione continua.

Prima di introdurre l'analisi statistica delle performances dei diversi paesi, possiamo dunque provare a riassumere le considerazioni fin qui svolte collocandoli lungo le coordinate disegnate dai fattori istituzionali analizzati: livello di regolazione (alto, basso) e modello istituzionale (statale, associativo, di mercato).

Tra i paesi caratterizzati da un più alto livello di regolazione ritroviamo, da un lato, paesi del nord come Danimarca e Svezia, in cui la legge determina la struttura istituzionale, le procedure di finanziamento e di controllo del sistema di formazione professionale (iniziale e continua) nel suo complesso; dall’altro, i paesi dell’Europa meridionale (Italia, Spagna e Portogallo), in cui, nonostante un quadro normativo più frammentato, il diritto alla formazione professionale continua è riconosciuto all’interno della Costituzione ed il sistema è stato oggetto, negli ultimi decenni, di numerose riforme mediante approvazione di testi di legge e ratifica di accordi tra le parti sociali. Il caso emblematico per ampiezza del quadro regolativo rimane, comunque, la Francia: in questo paese il diritto individuale alla formazione continua è tutelato da un’apposita legge ed assicurato da specifici congegni istituzionali e la formazione dei dipendenti è obbligatoria per le imprese. In Germania, invece, a fronte di un quadro normativo molto rigido in materia di formazione professionale iniziale, la formazione continua è lasciata alla libera iniziativa delle aziende, nonostante l'esistenza di numerosi accordi collettivi (di settore, locali o aziendali) in materia. Austria, Regno Unito e Irlanda presentano livelli di regolazione molto bassi, anzi, in questi paesi non esiste un quadro normativo specifico per la formazione continua, che è affidata al mercato ed alle scelte/possibilità di imprese e lavoratori.

Riguardo invece al modello istituzionale, come già anticipato, l'ibridazione di forme di regolazione diverse rende difficile collocare i paesi all'interno dei tre modelli (statale, associativo, di mercato) individuati: in realtà, la combinazione tra redistribuzione ed associazione sembra essere una caratteristica comune a molti paesi europei, seppure diversamente articolata. I diversi modelli istituzionali sembrano cioè convergere verso un modello misto statale/associativo: sebbene, infatti, i paesi del Nord-Europa (Danimarca, Svezia, Finlandia, Islanda) siano riconducibili al modello che abbiamo definito

statale, per via della predominanza del ruolo dell'attore pubblico nella regolazione e nella gestione della formazione continua, non è trascurabile l'importante ruolo giocato dalle parti sociali nell'elaborazione ed implementazione delle politiche formative; la Francia presenta un modello istituzionale ibrido, tra quello statale e quello associativo, così come l'Italia e gli altri paesi dell'Europa meridionale (Spagna, Grecia, Portogallo), in cui la formazione continua è regolata dalla legge, ma gestita soprattutto dalle parti sociali attraverso istituzioni bilaterali o tripartite. Il modello che abbiamo definito associativo è ben esemplificato dai sistemi di formazione continua di Belgio ed Austria, anzi quest'ultimo, come già anticipato, è probabilmente il paese in cui la forma associativa si è affermata più chiaramente, considerata la posizione quasi monopolistica delle associazioni di rappresentanza di lavoratori e datori di lavoro nel campo della formazione dei lavoratori; i sistemi di formazione continua in Germania, Olanda, Regno Unito e Irlanda, seppur riconducibili al modello della regolazione di mercato, sono soggetti a trasformazioni che vedono le parti sociali giocare un ruolo sempre più attivo. Un discorso a parte, infine, meritano i paesi dell'est (Estonia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Slovacchia), dove non si sono ancora sviluppati sistemi organici di formazione continua e l'azione dello Stato spesso si limita alla predisposizione di documenti politici o è condizionata dalla disponibilità di aiuti ed all'avvio di programmi europei. In linea di massima, si assiste a sistemi pubblici frammentati e carenti e ad un mercato privato poco sviluppato e spesso dominato dall'azione di providers stranieri.

Le tradizioni regolative e gli assetti istituzionali osservati per i sistemi generali di formazione continua nei diversi paesi influenzano le risposte date alla crescente diffusione di modalità d'impego atipiche ed alla conseguente emersione del problema dell'accesso alla formazione continua da parte dei lavoratori non standard. Sebbene il principio di parità di trattamento tra

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