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La formazione per i lavoratori atipici in Europa: difficoltà e limiti dell'analisi comparata.

Lavoro interinale e formazione in Europa

3.1. La formazione per i lavoratori atipici in Europa: difficoltà e limiti dell'analisi comparata.

Come già anticipato nel Cap.2, in tutti i paesi europei l'accesso alla formazione è più difficile per i lavoratori atipici. Gli studi condotti dall'Eurofound, volti a ricostruire i profili della qualità del lavoro per diverse categorie di lavoratori in Europa, hanno documentato la persistenza di disuguaglianze tra atipici e lavoratori standard nell'accesso alle opportunità formative anche in paesi con quadri normativi più avanzati: in particolare, nel caso di contratti a tempo determinato, è proprio la breve durata degli impieghi a scoraggiare gli investimenti in formazione da parte delle imprese, mentre nel caso del lavoro interinale il quadro è ulteriormente complicato dalla natura triangolare del rapporto di lavoro. Se la capacità dello status occupazionale (tipologia contrattuale) di determinare l'accesso alle opportunità formative è ormai ovvia ed ampiamente documentata (Reyneri, 2011), meno spesso si riflette sul rischio che una prolungata permanenza nell'area del lavoro atipico possa incidere anche sull'occupabilità a lungo termine dei lavoratori.

Gli studi sopra citati (Eurofound 2002, 2006, 2007, 2009, 2010) individuano proprio nella formazione continua e nello sviluppo delle competenze degli aspetti chiave per l'aumento dell'occupabilità dei lavoratori che sperimentano percorsi instabili, definendo l'occupabilità con riferimento a tre dimensioni: accesso ad un impiego stabile, progressione nel lavoro, sicurezza del lavoro

(Ibidem, 2007). I livelli di partecipazione dei lavoratori atipici alle attività formative employer provided, le caratteristiche degli interventi formativi, i contenuti del lavoro, l'incidenza della formazione sulla probabilità di transizione ad un impiego stabile, sono gli aspetti più frequentemente indagati dalle ricerche nazionali e dagli studi europei che si sono occupati di questo tema.

Lo studio di questi aspetti trova, tuttavia, un forte limite nella scarsa disponibilità di dati comparabili. Il primo aspetto problematico riguarda la stessa definizione di lavoro atipico, che fa riferimento a molteplici tipologie contrattuali nei differenti paesi europei: al fine di rendere agevole la comparazione, gran parte degli studi condotti a livello europeo fanno riferimento esclusivamente al lavoro a termine ed al lavoro interinale, sebbene questa restrizione del campo d'analisi non elimini il problema della scarsa comparabilità tra differenti contesti. In molti paesi, d'altra parte, le principali indagini sulle condizioni di lavoro o sulla formazione continua non raccolgono dati sulla situazione dei lavoratori atipici e queste carenze sono amplificate, nel caso del lavoro interinale, dall'esiguità del numero di lavoratori coinvolti in questa tipologia d'impiego, che spesso rende i dati disponibili statisticamente non attendibili.

Da ciò emerge un quadro a macchia di leopardo, da cui è possibile estrapolare poche informazioni riferibili a diversi paesi europei. Un dato chiaro e comune riguarda i livelli di partecipazione dei lavoratori non standard alle attività di formazione (26% per i lavoratori interinali, 31% per i lavoratori a termine), in tutti i paesi più bassi rispetto a quelli dei lavoratori permanenti (39%) (EWCS, 2010). Inoltre, in tutti i paesi europei i lavoratori temporanei hanno maggiori probabilità di possedere un livello di competenze non adeguato al posto di lavoro occupato (succede nel 23% dei casi, a fronte del 16% per i lavoratori standard), per eccesso o per difetto (Ibidem). Un altro aspetto che

emerge chiaramente dal confronto tra indagini riferite a diversi paesi europei (Spagna, Germania, Repubblica Ceca, Finlandia) riguarda la durata degli interventi formativi, più spesso breve (da 1 a 5 giorni) rispetto ai lavoratori standard; i compiti cui sono assegnati i lavoratori temporanei sono spesso meno complessi e più ripetitivi e più raramente danno l'opportunità di apprendere nuove cose, rispetto ai compiti assegnati ai lavoratori standard. Infine, i lavoratori temporanei sono meno frequentemente coinvolti in piani di sviluppo delle carriere o in circoli di qualità (Eurofound, 2007).

Le difficoltà riscontrate sul piano della ricerca riflettono l'estrema eterogeneità del lavoro temporaneo (soprattutto nel caso del lavoro interinale) nei diversi paesi europei, tanto sul versante normativo, quanto su quello del profilo dei lavoratori coinvolti, della distribuzione settoriale e dei profili professionali prevalenti e le differenze aumentano se si guarda, in particolare, alla questione della formazione continua.

Sul piano normativo, sebbene in tutti i paesi europei sia formalmente riconosciuto il principio della parità di trattamento tra lavoratori standard e lavoratori temporanei, solo in alcuni casi esistono previsioni legislative o accordi collettivi volti a facilitare l'accesso di questi ultimi alle attività formative: è il caso della Francia, dove dal 2004 è riconosciuto anche ai lavoratori a termine con un contratto di almeno 4 mesi il diritto individuale alla formazione continua nella forma di un credito di 20 ore di formazione finanziata (calcolato pro rata); o del Portogallo, dove l'art.137 del Codice del Lavoro prevede un obbligo formativo per il datore di lavoro nei confronti dei lavoratori a termine (con contratti di durata non inferiore ai sei mesi), stabilendo un monte ore minimo proporzionale alla durata del contratto.

Nel caso specifico del lavoro interinale la comparazione è ancora più complessa: questa tipologia d'impiego è spesso esclusa dalle previsioni genericamente riguardanti il lavoro temporaneo ed oggetto di una disciplina

particolare. Le differenze normative tra i diversi paesi riguardano tanto la regolazione di settore (le procedure di autorizzazione e di controllo per l'attività di somministrazione di manodopera, i settori vietati), quanto quella dei contratti e degli incarichi (la natura della relazione contrattuale, la durata del contratto, la rappresentanza sindacale). La differenza è in linea generale tra paesi con un alto livello di regolazione su entrambi gli aspetti e paesi con un livello di regolazione basso (o che non prevedono alcun tipo di regolazione su uno dei due versanti). Provando a semplificare, possiamo dividere i paesi europei in tre gruppi: paesi con un alto livello di regolazione (Francia, Spagna, Belgio ed Italia); paesi con un livello di regolazione intermedio (Germania, Lussemburgo, Olanda, Portogallo); paesi con un livello di regolazione basso (Grecia, Irlanda, Regno Unito, Finlandia), in alcuni casi compensato dall'azione di controllo delle parti sociali (Danimarca, Austria, Svezia).

Come vedremo meglio nel prossimo paragrafo, è proprio all'interno dei sistemi con un livello medio-alto di regolazione che sono stati istituzionalizzati modelli formali e concertati di formazione per i lavoratori interinali, poiché un contesto istituzionale attento alle ripercussioni sociali di questa forma d'impiego ed una prassi consolidata d'intervento delle parti sociali nella definizione del quadro normativo per la formazione continua hanno costituito terreno fertile per lo sviluppo di tutele sempre più avanzate.

La comparazione tra i diversi quadri normativi, laddove possibile, è complicata anche dal fatto che il significato e le implicazioni della diffusione del lavoro tramite agenzia e la valutazione dei dispositivi approntati per renderlo più sicuro, tra cui la formazione, cambiano a seconda delle caratteristiche dei mercati del lavoro nazionali. Sebbene la diffusione del lavoro interinale sia stata incoraggiata, in molti paesi europei, dalla convinzione che la possibilità (per le imprese e per i lavoratori) di ricorrere a questa modalità d'impiego potesse contribuire a ridurre la disoccupazione,

l'impatto della diffusione di questi contratti con gli assetti istituzionali preesistenti e con le caratteristiche dei mercati del lavoro nazionali ha prodotto effetti diversi nei vari paesi. In paesi come l'Italia, caratterizzati da una disoccupazione da inserimento (che penalizza soprattutto i giovani all'ingresso del mercato del lavoro, anche i più istruiti e più le donne che gli uomini), l'effetto è stato il rafforzamento dei meccanismi di discriminazione già esistenti e di un mercato del lavoro dualistico, che relega le fasce deboli della forza lavoro nel settore secondario sub-garantito del lavoro atipico. La composizione del popolo dei lavoratori in somministrazione nel nostro paese conferma quanto affermato: si tratta soprattutto di giovani con meno di trent'anni con un livello medio-alto di istruzione. Il fatto che il lavoro interinale si configuri soprattutto come canale d'ingresso di giovani istruiti nel mercato del lavoro impone considerazioni differenti da quelle che si possono formulare in altri contesti sulle caratteristiche e sui possibili esiti degli interventi formativi.

Presupposti e condizioni di efficacia diversi sono individuabili, infatti, in altri paesi, come ad esempio la Germania, dove il lavoro in somministrazione rappresenta uno sbocco soprattutto per i lavoratori poco qualificati, la durata delle missioni è in media più lunga che negli altri paesi europei (dai 6 ai dodici mesi) e più del 60% dei lavoratori è assunto a tempo indeterminato dalle agenzie, soprattutto nell'Est, dove sono più alti livelli di disoccupazione (IdeaConsult, 2009).

D'altra parte, la formazione per i lavoratori interinali deve essere contestualizzata all'interno del sistema generale di formazione continua. Nonostante la recente tendenza ad un coinvolgimento sempre maggiore delle parti sociali nel governo della formazione continua, che ha fatto parlare di “convergenza” verso un modello comune di natura associativa (Winterton, 2007; Pais, 2009), l'analisi condotta nel Cap.2 ha messo in luce anche le profonde differenze esistenti anche tra sistemi di formazione continua

caratterizzati da livelli e forme di regolazione simili: provando a semplificare, in linea di massima è possibile distinguere paesi con sistemi generali di formazione generosi ed accessibili a tutti i lavoratori e paesi con sistemi meno generosi e frammentati.

All'interno dei paesi appartenenti al primo gruppo le opportunità formative sembrano essere meglio distribuite fra i cittadini: in questi casi, è possibile che non emerga la necessità di programmi specifici per i lavoratori in somministrazione, in quanto questi ultimi possono accedere al sistema generale. Nei secondi, in presenza di un quadro istituzionale non unitario e lacunoso, le scelte degli attori economici (in primo luogo le aziende) hanno un peso molto rilevante, tale da creare differenze enormi tra coloro i quali possono accedere a buone opportunità di formazione (all'interno delle grandi aziende, nelle regioni più attive, nei settori economici più dinamici sul versante della qualificazione delle risorse umane) e coloro che ne sono esclusi: in questi casi, è possibile che l'istituzione di fondi o programmi specifici per i lavoratori in somministrazione sia motivata proprio dalle difficoltà, per questi ultimi, di beneficiare di opportunità formative offerte a tutti i lavoratori dal sistema generale.

3.2. La formazione per lavoratori interinali: alcune dimensioni di

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