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Capitolo 2 La filosofia come esercizio d’esperienza

2 Esercizi spirituali nell’antichità

2.1 Perché spirituali?

2.1.5 Dilatazione dell’io

Gli esercizi di dilatazione dell’io sono pensati per condurre l’uomo alla contemplazione dell’essere e del tempo e lo aiutano a ritrovare la propria posizione all’interno del cosmo. Diversamente dagli esercizi di concentrazione dell’io che agiscono sull’aspetto morale e richiedono che l’individuo sia massimamente concentrato su se stesso110, quelli di dilatazione, mirano, al contrario, ad una dilatazione dell’io nella totalità del reale, una distensione agapica attraverso cui abbracciare l’universalità del divino e dell’umano. Ritroveremo, a più riprese, questi stessi esercizi nelle opere di Nietzsche.

2.1.5.1 Espansione dell’io nel cosmo

Questo esercizio del pensiero e dell’immaginazione permette alla coscienza di comprendersi come parte di un Tutto. Nel contemplare la natura, l’anima s’immerge nella prospettiva dell’universo infinito: Essa può cogliere le regole perfette ed armoniose che lo governano mediante un atto intuitivo pur non avendone una completa conoscenza razionale. Riconosce così d’essere solo un elemento del Tutto, solo un punto di debole durata. Unito ad un profondo senso di piccolezza ed inadeguatezza, essa però può provare anche un sentimento di grandezza: un infinitesimale, eppure necessaria ed insostituibile, porzione della catena dell’essere.

Nell’ambiente stoico questo esercizio aiuta a dire di sì alla vita così come essa si presenta, ad accettare ogni istante, gioioso o meno, ad aderire al ciclico concatenarsi di tutti gli avvenimenti, nel suo essere eternamente identico a se stesso. Lo stoico non si

110 Essi partono dal presupposto che una radice di bene costituisce il centro profondo dell’uomo; nel tempo vi si sono aggiunte stratificazioni di male che hanno allontanato l’uomo dal centro di bene; ad essa è necessario unirsi, e che la conoscenza di sé passa attraverso una spoliazione di ciò che,

distende nell’infinità dello spazio e degli universi innumerevoli, bensì in quella dell’eterno ripetersi del tempo.

2.1.5.2 Lo sguardo dall’alto

In quest’esercizio s’immagina d’essere in un luogo isolato, talmente alto da permettere di guardare il panorama con un sol colpo d’occhio: un monte, una mongolfiera, una torre. Come una sentinella scruta l’orizzonte, così si osservano la realtà, la propria vita, il modo in cui le passioni avvolgono le consuetudini umane. Similmente al pensiero della morte, lo spirito si esercita a distaccarvisi così da svestirle del falso prestigio di cui sono ammantate; si esercita a cambiare la propria prospettiva, a mutare i propri giudizi di valore, ricollocando sé ed ogni altra cosa alla luce del vero bene.

2.1.5.3 La fisica come esercizio spirituale

Se è vero, come è stato sostenuto sinora, che la filosofia è di per sé un esercizio dello spirito, allora lo sono anche le singole discipline che convenzionalmente la tipizzano: logica, etica e fisica sono esercizi che attraverso il discorso filosofico trasformano l’agire pratico.

Mentre la logica educa al corretto uso della ragione insegnando tecniche grazie alle quali padroneggiare il discorso interiore e porre attenzione ai propri giudizi per individuarne eventuali errori di ragionamento o di valutazione, l’etica insegna a scegliere e fare il bene. Sebbene le scuole dell’antichità non concordino nella descrizione della sua connotazione essenziale, il bene viene da tutte concepito in stretta correlazione con il concetto di natura: esso è regola ordinatrice della natura stessa. Conoscere il bene significa conosce la natura all’interno della quale questo bene agisce e si manifesta, quel microcosmo che è l’uomo e quel macrocosmo che sono il mondo e l’universo. Tra l’etica

e la fisica antica intercorre uno strettissimo rapporto.

La fisica antica non ha la pretesa d’essere un sistema organico e completo, un’illustrazione della natura fedele e rigorosa; si limita a formulare principi generali capaci di spiegare i grandi processi della natura e per i particolari s’affida al principio della verosimiglianza – eulogon – piuttosto che a quello della certezza. Il discorso della fisica abitua la coscienza a conoscersi per gradi consequenziali, sviluppa la capacità di discernere la physiologia del vero bene disciplinando alle virtù della pazienza, della fortezza e della prudenza. Ci si consacra alla contemplazione e allo studio della natura per oltrepassare la condizione umana e conoscere “la misura di Dio”111.

La declinazione stoica di quest’esercizio è particolarmente interessante perché è affine alla weltanschauung nietzschiana. Oltrepassare la condizione umana e conoscersi, in ogni istante, come parte del divenire dell’intero universo; volere che ciò che accade accada esattamente così come accade e comprendere che ogni evento è parte del tutto; porsi in accordo con il divenire dell’universo; aprirsi, aderire ed amare la vita nella sua totalità equivale al nietzschiano dire «sì» alla vita: “Qualsiasi cosa ti accada, era già predisposta per te dall’eternità, e l’intrecciarsi delle cause ha da sempre tessuto insieme la tua sostanza e l’incontro con questo dato avvenimento”112, “l’evento che ti viene incontro, che ti è capitato, ti è stato preparato, è stato unito a te, è stato filato insieme a te fin dall’inizio, fin dalle cause più antiche”113.

La prospettiva stoica è forse quella che aiuta di più a capire quale sia la funzione degli esercizi spirituali antichi, come essi siano veri allenamenti di vivificazione della saggezza, un ripetere che diventa abitudine, “un’abitudine che diventa natura e spontaneità”114, che diventa cioè una seconda natura.

111 Seneca, Quaestiones naturales, I, Prologo, 17. 112 Marco Aurelio, I ricordi, 10.5.

113 Ivi, 4.6.12.