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Il monachesimo ed i Padri del deserto

Capitolo 3 Esercitarsi a tradire Il passaggio della filosofia come modo d

5 Il monachesimo ed i Padri del deserto

La storia della filosofia e della mistica cristiana primitiva, di lingua greca, si lega ai successivi sviluppi occidentali per via del monachesimo e dell’eredità dei grandi Padri della chiesa orientale che venero tradotti in latino. A partire dal IV secolo sorse in Egitto169, soprattutto a Celle e Scete a sud di Alessandria, per poi passare e svilupparsi soprattutto Palestina e Siria e ritornare da lì in Occidente, il fenomeno del monachesimo. Una volta diradate, se non terminate, o forse talvolta anche in seguito a, le persecuzioni subite dai cristiani, durante le quali aveva dominato il modello comportamentale del martirio, alcuni cristiani che aspiravano alla perfezione cristiana, cioè ad un’aderenza quanto più possibile alla vita del Cristo, si ritirarono, proprio come Gesù, nei deserti ove condussero una vita totalmente votata ad una rigorosa ascesi ed alla meditazione, realizzando così con la loro intera vita l’imperativo del Signore di pregare continuamente. Si passò dal martirio all’imitazione della vita di Cristo e ad una pratica – ed una mistica – eroica dei consigli evangelici.

Senza voler scendere troppo nella complessa storia di questo fenomeno, sarà sufficiente dire che il monachesimo antico non si configurò univocamente. Non sarebbe inesatto affermare che furono molteplici e varie le forme in cui un generalizzato bisogno

167 Non ci soffermeremo su Evagrio, ma è importante sottolineare che fu il primo autore cristiano a fare uso –ed in modo massivo, cioè nella maggior parte delle sue opere – della centuria, cioè aforismi, non di rado enigmatici, organizzati per gruppi di cento. Nonostante l’uso di questo genere letterario sia più diffuso nelle opere filosofiche greche, Evagrio trasse ispirazione dall’insegnamento monastico primitivo in cui l’abba dava una parola di consiglio al discepolo neofita.

168 Marco Vannini, Storia della mistica occidentale, Le Lettere, Firenze, 2016, p. 116.

169 L’Egitto aveva già conosciuto prima del cristianesimo forme proprie di eremitaggio a servizio di Serapide; senza contare che coeve a Gesù e Filone erano le comunità ascetiche di contemplativi come gli Esseni, di cui la setta di Qmrān è un esempio, e di poco posteriori i Terapeuti.

di radicalismo religioso – inteso come urgenza di un’esperienza radicale – si incarnò. Ad un primissimo spontaneo ascetismo apotattico –che potrebbe essere definito proto- comunitario – legato al cristianesimo rurale non organizzato, corrisposeun ascetismo di tipo anacoretico – anche femminile – intorno a cui fecero cerchio processioni di afflitti in cerca di direzione spirituale, cui fece seguito una tendenza cenobitica stretta intorno ad una più organizzata regola di vita. Seppur molti anacoreti, così come molti iniziatori di comunità cenobitiche, provenissero dalle più importanti scuole catechetiche, buona parte del monachesimo primitivo prese vita dai non colti, da persone che spesso non avevano alcun rapporto con la filosofia, ma solo con il Vecchio ed il Nuovo Testamento. Il fatto che in tutte le forme di monachesimo siano presenti esercizi spirituali pressoché identici a quelli praticati nel mondo greco antico e tardo-antico dimostra, ancora una volta, come essi siano una disposizione naturale dell’uomo – non ascrivibile ad alcun codice morale di condotta o sistema di credenze e dogmi; ma forse anche, ad un tempo, testimonia in che misura facessero parte della cultura e del quotidiano dell’epoca.

5.1 L’esperienza del deserto

L’esperienza del deserto costituisce uno snodo fondamentale per la storia e la pratica degli esercizi spirituali. Separarsi per un tempo – o rompere definitivamente con la società ed abbandonarla – è l’atto primo e fondante di quel processo di con-versione condotto alla luce di, e verso, una scelta esistenziale definita. Il cambiamento geografico assurge a segno visibile del cambiamento interiore a cui si vuole pervenire; i punti di riferimento non solo cambiano, ma vengono stravolti, per cui diventa indispensabile un’accurata esplorazione della geografia interiore dell’anima. Così il deserto è esso stesso – come i quarant’anni del cammino biblico nel deserto – un esercizio fisico e spirituale, il primo di una lunga serie di altri esercizi anch’essi fisici e spirituali. Al grido di dolore

“Come posso cambiare la mia vita?” il deserto risponde esperienzialmente attraverso un rito di continua dissociazione e riappropriazione: conoscere se stessi, nelle proprie profondità oscure, per diventare, anche per loro tramite, del tutto straniero alla propria vita precedente e così trascendersi, acquisire una seconda natura, diventare padrone di se stessi, per raggiungere la terra promessa. Le tre tentazioni di Cristo nel deserto, del pane, del mondo e della storia, interrogano l’uomo nell’attualità del proprio presente storico. E lo ricapitolano da cima a fondo. Nell’introspezione solitaria, aiutati da un abba o da una

amma, cioè da un padre o una madre spirituale, si impara a vigilare su se stessi, a guardarsi

da diverse prospettive ed altezze, ma soprattutto ad obbedire, a dire sì – alla storia di salvezza della volontà di Dio – a digiunare nella carne per imparare a digiunare dalla propria volontà disordinata e tirannica, soggetta alla frammentarietà. Si impara a dire di sì ad una volontà diversa dalla propria e per lo più incomprensibile.

5.2 Le fonti del monachesimo

La principale fonte storica delle fasi iniziali del monachesimo primitivo sono i

Dicta Patrum, conosciuti anche come Apophthegmata Patrum. I Dicta sono una raccolta

di massime e racconti orali risalenti al IV secolo. Dal VI secolo in poi si formarono altre due collezioni, una alfabetica, l’Alphabeticon, che riporta detti e racconti dei più famosi eremiti di ambo i sessi; ed una sistematica – cioè organizzata per tematiche spirituali – ed anonima tradotta in latino intorno alla metà del 500 da un testo greco andato perduto e oggi nota come Verba Seniorum (o Vitae Patrum nella collezione pubblicata dal gesuita Heribert Rosweyde nel 1615); fu questo testo ad essere assai letto nel Medioevo, ed oltre, e ad esercitarvi grande influenza. Ad esse si accostano ben altre due raccolte sui santi del deserto: una è la traduzione di Rufino della Historia Monachorum in Aegypto, il cui

originale greco data al 394, l’altra è la Historia lausiaca di Palladio di Galazia, scritta intorno al 420 e subito tradotta in latino.

È importante notare come gli apoftegma (o apotegma, in greco αποφθεγμα) – sostantivo derivante dai verbi greci apophthénghesthai, "enunciare una sentenza", o apophtheggomai, "enunciare una risposta in forma definitiva" – dei Dicta pur configurandosi come "detti", "sentenze" o "massime" di tipo aforistico volti a sintetizzare una verità profonda e stringente, non possano essere ridotti semplicemente ad alcuna di queste forme; ciò in virtù del loro carattere eminentemente storico: essi si legano ad una precisa situazione storica, sono risposte o chiose che racchiudono un evento, ragion per cui sono sempre interamente autoconclusive e dunque prive di quel carattere universale tipico, per esempio, dei proverbi. Pur avendo come protagonisti delle persone reali, essi non sono mere esemplificazioni, giacché hanno sempre una rilevanza per sé. Questa loro natura li rende, per forma ed intenzione, precursori – ed in qualche caso modello – di quello che sarà il metodo ignaziano dei consigli, delle trecento sentenze dell’Oracolo

manuale e arte di prudenza del gesuita Baltasar Gracián y Morales e degli aforismi