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Capitolo 4 Ignazio di Loyola e gli Esercizi spirituali

8 Gli Esercizi spirituali

8.2 Il testo degli Esercizi

Come già accennato gli esercizi si dividono in quattro settimane. Ogni settimana differisce dall’altra per finalità e contemplazioni specifiche sebbene lo schema generale degli esercizi sia sempre il medesimo: orazioni iniziali, preludi, punti, note, colloqui e ripetizioni che possono variare di numero e frequenza.

Un apparato formato da venti Annotazioni, due sezioni chiamate Titolo e

«Praesupponendum» e un Principio e fondamento precede e prepara l’ossatura delle

quattro settimane, mentre la lunga serie de I misteri della vita di Cristo nostro Signore e di Regole per il discernimento degli spiriti, per il retto sentire e conoscere gli scrupoli, per sentire nella Chiesa e sull’amministrazione delle elemosine la segue completandola.

La prima edizione degli Esercizi, datata 1548, iniziava con alcune preziose

Regulae di Ignazio la cui lettura è molto importante non solo in ordine alla comprensione

del fare ignaziano, ma anche a quella degli aforismi dell’Arte della prudenza di Gracian. spesso erroneamente interpretati al di fuori dell’impronta gesuitica di cui lo stesso Gracian era esponente. L’esistenza stessa di queste Regulae, che indicano un modus

operandi e vivendi, ricollocano di fatto la filiazione dell’Oraculo all’alveo del sentire

ignaziano, come si vedrà successivamente.

Di capitale importanza sono le Annotazioni che servono per dare una qualche

idea (cioè Intelligenza) degli esercizi spirituali che seguono e per aiutare sia chi deve darli sia chi deve riceverli. Queste possono essere presentate prima di alcuni esercizi, in

215 Chi non si dispone alla conoscenza di una verità diversa da quella da lui preventivamente cercata, non saranno in grado di trarre frutto alcuno dagli Esercizi.

momenti diversi delle quattro settimane, ma possono anche essere omesse, a discrezione del direttore.

La 1 è significativa in ordine alla comprensione degli Esercizi, difatti definisce cosa s’intenda con l’espressione Esercizi spirituali.

La 2, invece, è particolarmente importante perché precisa il ruolo del direttore, dell’esercitante e dello Spirito ed enuncia il metodo216 proprio degli Esercizi: lectio,

meditatio, oratio, contemplatio. Vi è una sorta di lectio iniziale in cui il direttore narra la

storia della contemplazione o meditazione fedelmente, ma brevemente; spiega gli esercizi e li detta in modo che possano essere annotati, fornendo punti già scritti a chi non ha tempo. Il senso della storia deve essere suggerito chiaramente, ma la sua comprensione deve essere sentita – cuore – capita – intelletto – e gustata internamente – attraverso una ricerca che l’esercitante deve operare da solo: nella meditatio individuale trovare,

riflettendo e ragionando, qualcosa che “faccia più chiarire o sentire la storia”. Deve

essere la potenza divina a venirgli in soccorso illuminandolo, non il direttore. Il punto c dell’annotazione spiega benissimo come il dialogo non sia propriamente a tre – direttore, esercitante, Dio – ma a due: l’esercitante si tende verso Dio, il quale risponde illuminando ed aprendo sensi ed intelletto nell’oratio. La contemplatio, cioè il gustare internamente è, a ben vedere, il momento in cui si perviene ad una della sintesi della scissione. Essa è dono, o forse anche premio, dello Spirito Santo e significa attendere alle cose interiori, avere distinta conoscenza del Signore, dei beni da lui ricevuti e delle pene da lui patite; significa inoltre avere mozione dello Spirito, interne cognizioni per arrivare al giusto mezzo e letizia; infine significa anche avere distinta conoscenza dei propri peccati e delle altrui pene percependone il dolore ed il sapore amaro.

216 Il metodo ignaziano segue la tradizionale lectio divina di Pacomio: “la lettura è portare alla bocca cibo solido; la meditazione mastica e tritura; l’orazione procura sapore; la contemplazione è la stessa dolcezza che allieta e rifocilla”.

Gli Esercizi ruotano intorno al verbo sentire: si comprende sentendo. Vale per l’ermeneutica ignaziana la formula che Whitehead applicò alla filosofia di Platone: “il concetto è sempre rivestito di emozione”217, è esperito. La comprensione cui si riferisce

qui Ignazio passa attraverso un coinvolgimento totale della persona; la nozione di conoscenza pura, ossia di puro intendimento, fornisce una conoscenza e una comprensione parziale se non è accompagnata da una comprensione cordiale e sostenuta da tutti i dinamismi dell’uomo. La metanoia, la conversione, è vera e duratura se e soltanto se raggiunge le radici dell’io. Gli Esercizi promuovono in questo senso la formazione integrale dell’uomo.

La 4 introduce e spiega i temi delle quattro settimane ed i suoi tempi.

Le altre annotazioni si dividono, come suggerito dal titolo, in due classi. Da un lato consigli per una migliore direzione: Ignazio fissa i modi ed i tempi delle visite e dell’interlocuzione con l’esercitante; distingue il ruolo del direttore da quello del confessore; ricorda al direttore che suo compito è quello di disporre l’esercitante e non d’influenzarlo, poiché l’istruzione per via di ragionamento, ispirazione e mozione dell’affetto è prerogativa del Creatore; suggerisce tecniche per trattare più efficacemente certi temperamenti e peccati, per esempio seguendo il principio dell’agere contra, cioè l’avversare una mozione o un pensiero con il suo opposto.

Dall’altro avvertenze e spiegazioni per gli esercitanti inerenti alla disposizione da tenere verso il Creatore per un maggiore profitto; il movimento delle mozioni interiori – cioè delle consolazioni, delle desolazioni e delle tentazioni –; quello degli spiriti unita alla spiegazione delle loro differenti nature; esortazioni circa i tempi della preghiera e della contemplazione.

Importantissima infine è la 20 che spiega quale sia la conditio sine qua non per trarre profitto dagli esercizi: separarsi “da tutti gli amici e i conoscenti e da preoccupazione terrena, cambiando la casa dove abita, per abitarvi il più segretamente possibile, così che possa frequentare ogni giorno messa e vespri senza essere distolto”218. A ben guardare essa è una conditio ad imitatio Christi219. Negli Esercizi separarsi significa dis-locarsi per dis-trarsi: ci si disloca e distrae dalla propria storia – sospendendo temporaneamente la propria autonomia decisionale, distendendosi in quella del direttore e di Dio – per poi ri-entrarvi.

Nella breve sezione Titolo e «Praesupponendum» Ignazio denuncia lo scopo degli

Esercizi: vincere se stessi per imparare a prendere decisioni non legate ad affezioni

disordinate e così ordinare la propria vita.

Ma più interessante del Titolo è il Praesupponendum:

“Perché tanto chi dà gli esercizi come chi li riceve si aiutino e si avvantaggino di più, bisogna presupporre che ogni buon cristiano dev’essere pronto a salvare la proposizione del prossimo che a condannarla;

b. e se non può salvarla, cerchi di sapere che cosa voleva dire; c. e, se si sbaglia, lo corregga con amore;

d. e se non basta, cerchi tutti i mezzi convenienti perché, intendendola rettamente, si salvi”.

Il Praesupponendum chiarisce la filosofia della storia ignaziana, per cui non ci si salva da soli, ma ognuno nell’essere custode del proprio destino è custode anche di quello dell’altro. Così, negli esercizi, il direttore spirituale nel promuovimento dell’esercitante lavora contemporaneamente anche al proprio. È sul principio della cura che deve maturare il rapporto di fiducia tra chi dà e chi riceve gli esercizi. Un rapporto intessuto non di tolleranza, ma di totale rispetto e apertura all’altro che nell’esercizio si dona.

218 Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali. Ricerca sulle fonti, edizione con testo originale a fronte a cura di Pietro Schiavone sj, San Paolo, Milano, 2012, p. 93.

La sezione intitolata Principio e fondamento inquadra e struttura l’antropologia ignaziana: l’uomo è creato per lodare, fare riverenza e servire Dio nostro Signore. Negli

Esercizi Dio è sempre seguito dall’appellativo nostro Signore220, il che evidenzia una volta di più il richiamo alla dimensione cavalleresca del servizio, dove servire è amare con i fatti. Ma, cosa molto più sorprendente, Ignazio rammenta qui come la dimensione propria dell’uomo debba essere quella della lode, cioè del riconoscimento e ringraziamento gioioso221 per il dono della vita. L’uomo non è dunque stato creato affinché si ripieghi su se stesso soffermandosi sulle proprie debolezze, ma per compartecipare alla creazione attraverso il servizio222, cioè alla diffusione del bene universale. Qui volontà di Dio e bene coincidono perché Dio oltre ad essere lui stesso il vero Bene, vuole che ogni creatura viva– partecipi della – la natura di questo bene nella propria carne, cioè che sia felice. In questo senso, conoscere ed aderire alla volontà di Dio significa destinarsi alla felicità. Ma tale volontà è già radicata nella corporalità di ogni singolo uomo; per cui la strada che porta alla felicità passa per la conoscenza di sé. Tutta la creazione, quindi anche la materia, partecipa a questo parto dell’uomo nel bene e a questa destinazione: entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Difatti essere figli di Dio altro non significa che aderire alla sua volontà di bene. In questo senso va letto Romani 8, 22 in cui Paolo dice che tutta la creazione soffre e geme nelle doglie del parto aspettando la liberazione.

Questa liberazione, questa Pesach, cioè questo passaggio del Signore, può avvenire solo a due condizioni: la prima è che ci si conosca, la seconda è che si insegni

220 In questo senso potremmo dire che per Ignazio Dio sia sempre, riprendendo un’espressione cara al Vecchio Testamento, Sabaoth, cioè Dio degli eserciti.

221 Negli Esercizi si parla non meno di 140 volte di servizio, 28 di servizio e lode di Dio e 105 di gloria. 222 Ritorna qui la stessa accezione di servizio già incontrata in Schiller: “Cosa ha di più grande l’uomo da dare all’uomo della verità?”.

agli altri a conoscersi. In questo consiste il servizio divino: conoscere sé per conoscere Dio.

Si ritrova qui la mistica greca, ma con un elemento totalmente nuovo e dirompente: mentre la grecità voleva liberare l’uomo dalla materia ritenuta cattiva, il cristianesimo non libera dalla materia, bensì libera la materia stessa223.

Questo passaggio del Signore inoltre libera l’uomo da ogni legame morboso. Il processo di autoconoscenza nel suo progredire insegna appunto a farsi indifferenti – a tutte le cose mutabili – di modo che “non desideriamo più salute che malattia, ricchezza che povertà, onore che disonore, vita lunga che breve”. Come già per lo stoicismo, l’indifferenza non è una condizione statica di apatia e disinteresse, bensì di signoria sui propri pensieri e desideri, tendenze ed inclinazioni, sentimenti ed affetti; è ancora più supremamente, apertura e disponibilità all’Assoluto. L’indifferente è bilanciato: non si lascia dominare da niente e da nessuno, ma tutto domina e coordina in funzione del fine. In specie, il punto e, ricorda che il fine è la scelta: scegliere ciò che più avvicina al fine per cui si è stati creati. La scelta però non deve essere imposta, ma va desiderata, deve essere cioè un desiderio che nasce intimamente durante il percorso degli Esercizi. Non si desidera semplicemente, ma si aspira al più, al sempre di più, al meglio. L’indifferenza non inerisce il fine, riguarda i mezzi, solo nei solo confronti bisogna tenersi aperti e disponibili.