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La posizione dell’uomo nel cosmo: verità, natura, società, individuo

Capitolo 1 Sulla spiritualizzazione n/della natura umana

1.4 La posizione dell’uomo nel cosmo: verità, natura, società, individuo

Per lo Schiller delle lezioni sulla filosofia della storia, educarsi alla verità, oltre ad essere propria del genere, è anche una destinazione sociale e personale. Domandosi: “Che cosa di più grande ha l’uomo da dare all’uomo della verità?”, Schiller asseriva che la verità è una realtà che esige d’esser condivisa.

Egli aveva ereditato quest’idea di destinazione sociale dallo studio di quegli scritti kantiani nei quali veniva congetturato un inizio della storia degli uomini che potesse considerarsi universale, cioè universalmente valida. Ivi, raffrontando l’evoluzione storico-morale dell’uomo con quella della sua postura, Kant postulava una destinazione

naturale di tipo sociale28. Già in occasione della recensione allo scritto di Moscati, nel

1771, aveva avuto modo di osservare come, sebbene la posizione quadrupede risponda alla “prima preoccupazione della natura”29 – “che l’uomo si conservi per se stesso e a

modo proprio in quanto animale”30 – in lui è “posto anche31 un germe (Keim)32 di ragione grazie al quale, se33 si sviluppa, egli è destinato alla società”34. Solo grazie a quel germe, o meglio, all’interrotto sviluppo di quel germe di ragione – che guida la soluzione adattiva umana – l’uomo, dopo aver conquistato la postura eretta, può mantenerla – “in forma

28 Con il termine postura si può intendere, in senso proprio, una soluzione adattiva che l’uomo ha messo, e mette, biologicamente in atto di fronte al progressivo mutare delle caratteristiche dell’ambiente circostante; in senso traslato, invece, si può intendere il progressivo rischiaramento – il farsi chiaro – della ragione, il suo esodo dalla servitù al suo primo padrone, l’istinto, quella “voce di Dio a cui tutti gli animali obbediscono”. Immanuel Kant, Recensione allo scritto di Moscati: Della essenziale differenza corporea fra la struttura di animali e uomini, in Scritti di storia, politica e diritto, Laterza, Bari, 2002, p. 5.

29 Ibidem. 30 Ibidem.

31 Il corsivo è mio.

32 L’utilizzo del termine Keim, in Kant, è duplice: indicando contemporaneamente l’ambito teleologico naturale e quello morale ne problematizza l’interazione.

33 Il corsivo è mio. 34 Ibidem.

permanente” scrive Kant – elevandosi al di sopra degli altri animali ed iniziando così a considerarli dalla differente prospettiva dell’oggettivazione, della presa di distanza di uno sguardo che impara a conoscere da lontano35. In questo senso la nuova posizione che

l’uomo raggiunge non è solo, e tanto, una soluzione adattiva rispetto ad un ambiente circostante, ma è la determinazione di quella destinazione sociale presupposta in quelle disposizioni naturali cui Kant si riferirà nel 1784: “tutte le disposizioni naturali (natürliche Anlagen) di una creatura sono destinate a dispiegarsi un giorno in modo completo e conforme al fine”36: ogni disposizione risponde ad un fine già dato, già posto,

e quello dell’uomo è la società.

I tempi ed i modi di questo dispiegarsi sono determinati dalla ragione – la facoltà di estendere le regole e gli scopi dell’uso di tutte le forze di una creatura molto oltre l’istinto naturale37 – la quale pur non conoscendo limiti nel travalicare i confini impostigli dall’istinto, non opera immediatamente, ma mediatamente nelle generazioni, “ha bisogno di tentativi, di esercizio e d’istruzione per progredire a poco a poco da un grado di conoscenza all’altro”38. “Un giorno” indica quindi un tempo che continuamente si

realizza, facendosi poietikòs. L’idea che permea tutte le congetture kantiane è che esista un’unitarietà che impronta il genere umano, un filo conduttore (Leitfaden – inteso come criterio e guida) che lavora al proprio promuovimento agendo in ragione di un fine intrinseco sconosciuto agli uomini, il quale opera a tutti i livelli dell’esistenza umana,

35 È da notare, per inciso, che qualche anno dopo, nel 1798, Kant avrà modo di ripetere che “il fatto che l’uomo possa rappresentarsi il proprio io, lo eleva infinitamente al di sopra di tutti gli altri esseri viventi sulla terra. Per questo egli è una persona e, in forza dell’unità di coscienza persistente attraverso tutte le alterazioni che possono toccarlo, egli è una sola e medesima persona, cioè un essere del tutto diverso, in grado e dignità, dalle cose”. Idem, Antropologia pragmatica, Laterza, Bari, 1993, p. 9.

36 Idem, Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in Scritti di storia, politica e diritto, Laterza, Bari, 2002, p. 31.

37 Cfr. Ibidem. È la capacità propria dell’uomo di poter usare - manipolare ed indirizzare - le proprie forze ben oltre le regole e gli scopi dettati dall’istinto.

biologica e storica, ed è presente anche alla ragione e la guida pur trascendendo l’accidentalità.

Il pieno dispiegamento della ragione accompagna, non solo uno sviluppo corporeo in grado di procedere in accordo con le potenzialità psichiche ed intellettive dell’uomo, ma anche la possibilità di riflettere circa la sua nuova posizione. Infatti la postura eretta implica un cambiamento di posizione all’interno della scala naturae, una condizione esistenziale inedita, una disposizione – sia naturale che morale – differente rispetto a sé e al resto della natura; essa permette di considerare e di considerarsi sotto una nuova luce: nell’insieme degli animali, l’uomo occupa ora un posto nuovo, trova una nuova collocazione, la quale ingenera il bisogno di nuovi punti di riferimento ed una riorganizzazione dell’ambiente proprio, come ricorda lo Scheler della famosa conferenza del 1928 quando dice che nell’istante stesso in cui l’uomo si è posto “al di fuori della natura per farla oggetto del suo dominio […] ha dovuto ancorare il proprio centro in qualche modo al di fuori e al di là del mondo-ambiente. Essendosi posto tanto audacemente al di sopra del mondo-ambiente, egli non poteva più considerarsi come un semplice “membro” o “parte” di esso!”39. Riconosciamo qui il germe di ragione nel suo sviluppo.

Mentre il termine posizione, indica di per sé un porre, un porsi, un definirsi rispetto ad un contesto, un’orizzontalità - e quindi implica una relazione con l’ambiente circostante e con ciò che abita questo ambiente - il termine disposizione designa un porre in base ad un ordine, ad un fine, ed implica quindi una verticalità. Ed è proprio una simile verticalità a tendere la mano alla teleologia morale. Dopo aver riconosciuto nell’uomo

39 Max Scheler, La posizione dell’uomo nel cosmo, op. cit., p. 179. Cfr. “egli per un verso s’innalza infinitamente al di sopra degli animali, ma deve poi anche adattarsi agli incomodi che gli vengono dall’aver sollevato il suo capo”, Immanuel Kant, Recensione allo scritto di Moscati, op. cit. p. 5. Il contesto scheleriano è certamente differente rispetto a quello kantiano. Qui vale l’analogia solo per quanto concerne il riconoscimento di una differenza morale dell’uomo rispetto all’animale.

l’esistenza di disposizioni naturali è necessario riconoscere anche delle disposizioni

morali, intese come inclinazioni della volontà – quindi intenzioni – e dell’animo. Tali

inclinazioni determinano sia la sfera affettiva che quella più specificamente legata all’agire morale40, ed “è in questa capacità di assumere posizione verso una costellazione di valori ex-centrica rispetto a quella che orienta la condotta animale, che si esplicita la particolarità dell’uomo nel cosmo”41.

In questa capacità prende forma la storia universale, intesa quale cerchio all’interno del quale “sta tutto il mondo morale. Essa accompagna l’uomo attraverso tutte le situazioni che ha vissuto, attraverso […] la sua stoltezza e la sua saggezza, il suo peggiorare e il suo nobilitare, di tutto ciò che egli ha preso e dato deve rendere conto”42.

Poiché permette d’osservare l’uomo nel suo agire storico, attraverso la successione delle epoche, la storia universale ha il potere di rendere l’uomo all’uomo; essa gli parla direttamente e lo interroga personalmente, abituandolo ad esercitarsi attivamente – nella concretezza delle proprie azioni – alla ricerca della verità sulla propria intima natura; il suo studio diventa così un esercizio spirituale.

Da questa prospettiva è possibile comprendere come sia: “propriamente un’educazione a conoscersi e a riconoscersi quello che la storia universale consente. E per questo fine si studia la storia universale”43. Essa impone all’uomo ch’egli, nel

domandarsi quale sia il proprio posto nel cosmo, interroghi contemporaneamente il proprio io: “Chi sono io?”. Attraverso tale “conoscersi e riconoscersi” lo spirito filosofico raccorda la propria attività con la grande totalità del mondo, riporta a unità le forze

40 In Kant il dialogo tra teleologia della natura e disposizioni naturali da un lato e teleologia e disposizioni morali dall’altro non comporta, però, tout court la soluzione del problema della teleologia della Menschengeschichte, esso è solo tematizzato.

41 Guido Cusinato, Guida alla lettura, op. cit, p. 31.

42 Friedrich Schiller, Lezioni di filosofia della storia, op. cit., p. 48.

43 Lorenzo Calabi, Il sentiero della ragione e il tribunale del mondo. Introduzione di Lorenzo Calabi, op. cit., p. 27.

separate dell’animo, lega armonicamente testa e cuore, perspicacia ed arguzia, ragione ed immaginazione, e ricostruisce l’interezza dell’uomo. Nel conoscersi, riconoscersi e ricostruire l’interezza, in una parola, nell’educarsi ad essere uomo, ad un tempo, si compie l’umana destinazione schilleriana, e si rivela la posizione dell’uomo nel cosmo: la verità. Il sapere confluisce tutto in questa direzione e da essa si dipana nuovamente.

1.5 Dalla Bestimmung des Menschen al suo compimento nel der ganze Mensch